La serie: Shantaram, 2022. Creata da: Eric Warren Singer. Cast: Charlie Hunnam, Antonia Desplat, Elektra Kilbey, Shubham Saraf.Genere: Drammatico, thriller. Durata: 50 minuti ca./12 episodi. Dove l’abbiamo visto: in anteprima su Apple Tv, in lingua originale.
Trama: Dopo essere scappato di prigione, il detenuto Dale Conti fugge a Bombay con un passaporto falso e una nuova identità. Nella grande città indiana, tra amore e criminalità, intraprende un percorso di crescita personale che lo costringe ad affrontare le proprie paure.
Un’impresa titanica, quella di Shantaram. Il titolo è già pop culture: da quando è apparso in libreria nel 2003, il romanzo autobiografico di Gregory David Roberts è stato subito oggetto di interesse dei produttori cinematografici, intenzionati a trarne una grande trasposizione. Interesse comprensibilissimo: il libro di Roberts è uno di quei romanzi mastodontici che riescono a smuovere qualcosa nell’immaginario letterario del grande pubblico – complice, in questo caso, il mix sapiente tra dramma umano e fascinoso esoticismo.
Un’impresa anche a livello creativo, perché Shantaram, oltre a essere lunghissimo, è una storia dalle molte sfaccettature. In questo adattamento seriale, increators Eric Warren Singer e Steve Lightfoot sembrano averne privilegiato la componente crime, imbastendo il racconto su di un tono che ne sottolinea soprattutto gli intenti “di genere”. Un progetto riuscito? Lo scopriamo nella recensione di Shantaram, disponibile dal 14 ottobre sulla piattaforma Apple TV+ e di cui abbiamo visto i primi tre episodi in anteprima.
La trama: redenzione a Bombay
Shantaram è innanzitutto il racconto di un viaggio, forse il viaggio definitivo – inteso come itinerario parallelo fra anima e corpo, interno ed esterno. Il primo episodio si apre con una illuminante dichiarazione del protagonista Dale Conti, un eroinomane chiuso in carcere dopo un furto in banca, sulla natura del percorso che lo aspetta fuori, su quello che dovrà imparare per stare al mondo. Da dietro le sbarre, Dale sogna la libertà di riscoprire sé stesso, di affrontare gli errori del passato e di ricominciare da capo. Per raggiungere questo obiettivo, sceglie di fuggire dalla prigione.
Dale raggiunge Bombay con un passaporto falso e un’altra identità: quella di Lindsey, detto Lin. Un nuovo inizio, lontano dalle violenze del carcere. Se non fosse che, in un secondo, Dale-Lin viene catapultato nel circuito della malavita internazionale di Bombay. Girando per le strade della città, scopre un bar dove si riuniscono alcune delle personalità più singolari del circondario. Fra queste vi è anche Karla, figura suadente e misteriosa verso cui Lin prova un’immediata attrazione. Ma la donna si diletta in attività losche e poco raccomandabili, e il protagonista rimane presto invischiato nel giro criminale della città.
Si tratta di un racconto giocato tutto sull’ambivalenza del contenuto. Shantaram, sulla carta, è un tv drama semplice e diretto, costruito su un modello adatto al pubblico appassionato di thriller e crime. Ma la dimensione caratteriale della storia sembra direzionare la serie verso orizzonti più ampi. Il presupposto di genere rappresenta per Dale/Lin l’occasione di riscattarsi, di sperimentare un’esistenza diversa da quella che le sue scelte passate sembravano prefissare. Quello che inizia come un semplice dramma carcerario, allora, si rivela ben presto per quello che è: una storia di redenzione.
Un crime esotico
Shantaram, insomma, offre molteplici prospettive su cui orientare la storia. Nella forma che Apple TV ha scelto di dargli, sotto la guida di Singer e Lightfoot, la serie si presenta nelle vesti di un dramma dalle tinte scure. Il primo episodio è esemplificativo dell’approccio adoperato dagli autori, che puntano tutto sulla costruzione dell’atmosfera appiccicosa (e pure patinata) dell’ambiente criminale di Bombay. Pestaggi, fughe rocambolesche, giri di spaccio, ladruncoli incalliti al limite dello stereotipo: siamo dalle parti dei crime più classici.
Non è casuale, in questo senso, la scelta di Justin Kurzel per la regia delle prime due puntate. L’autore australiano, formatosi nell’ambito del dramma suburbano (Snowblood, 2011), ha la mano giusta per condurre il racconto sul tono delle sue produzioni più cupe. Sotto la sua guida, il primo e il secondo episodio (il terzo è diretto dall’indiano Bharat Nalluri) settano la scena con un uso efficace delle ambientazioni: Shantaram si muove con dinamismo attraverso gli interni di una Bombay oscura e in penombra, osserva con occhio preciso le attività illegali a cui Lin e i suoi conoscenti prendono parte, pedina i personaggi mentre attraversano lo squallido grigiore della metropoli. Un discorso cittadino che rintraccia nei vicoli di Bombay il male da cui il protagonista scappa, e che si esplicita sotto forma di un thriller alquanto canonico.
Questione di genere
In fin dei conti, è proprio questa lealtà all’impianto crime ad appiattire il risultato finale. Nello scegliere l’angolatura della storia, Singer e Lightfoot hanno le idee decisamente chiare, e mantengono un tono compatto e coerente per tutti e tre gli episodi. Ma la loro cifra stilistica si rivela troppo rigida per sostenere le innumerevoli sfumature del romanzo originale. Di conseguenza, all’interno del formato “di genere”, le componenti più strettamente drammatiche del racconto (amore, tradimento, amicizia) finiscono per sembrare fuori luogo, spaiate, artificiose.
Un esempio sopra tutti: l’invadente voice-over del protagonista, che accompagna i primi episodi con una serie di commenti didascalici e sostanzialmente irrilevanti, tradisce una fiducia limitata nei confronti delle potenzialità drammaturgiche della serie. Non aiuta, poi, una fedeltà ai canoni del genere che rasenta il manierismo: le figure legate alla Bombay criminale hanno attorno a sé un’aura di triste scontatezza, come se il loro valore non fosse insito al personaggio in sé, ma al ruolo che devono ricoprire nello schema narrativo. E Charlie Hunnam, pur prestandosi volenterosamente nella parte di Lin, non riesce a trovare una prospettiva interpretativa che renda vero e attuale il dramma del protagonista.
Tutto questo influisce pesantemente sull’impatto generale della serie, che passa dall’accattivante allo scontato nel giro di qualche sequenza. Persino l’ambientazione finisce per sembrare posticcia, quasi un elemento circostanziale, un contenitore da stimolare, e non stimolante. Shantaram, in questo modo, appiattisce violentemente l’afflato tematico del romanzo. Doveva essere un crime dal piglio spirituale, di spessore umano, espanso oltre i confini del genere di riferimento. Da quanto emerge nei primi tre episodi, però, Shantaram si limita alla sua impostazione più basica, senza mai davvero respirare come vorrebbe. Le prossime puntate ci daranno un’idea più precisa della destinazione finale, ma quello che si prospetta è un viaggio più semplice e banale di quanto fosse lecito aspettarsi.
La recensione in breve
Progetto titanico dalla lunghissima produzione, Shantaram si perde fra le strade di Bombay, annacquando le suggestioni spirituali del racconto nei toni di un crime patinato e artificioso.
- Voto CinemaSerieTv