La serie: The Patient, 2022. Creata da: Joel Fields e Joe Weisberg. Cast: Steve Carell, Domhnall Gleeson, Linda Emond, Andrew Leeds, Laura Niemi, David Alan Grier, Alex Rich. Genere: thriller psicologico, drammatico. Durata: 30 minuti ca./10 episodi. Dove l’abbiamo visto: in anteprima stampa su Disney+, in lingua originale.
Trama: Il terapeuta Alan Strauss si risveglia in una stanza di un seminterrato incatenato a un letto. Scoprirà che a rapirlo è stato un suo ex paziente, Sam Fortner, un giovane uomo che si rivela essere un serial killer; quello che vuole, è che il dottor Strauss lo aiuti a combattere la sua compulsione a uccidere.
Dagli stessi autori della pluripremiata serie The Americans, Joe Wiseberg e Joel Fields, arriva anche in Italia la serie targata FX in dieci episodi The Patient. Abituati al respiro epico degli show della passata stagione (Lord of The Rings: The Rings of Power e House of the Dragon su tutti), questo nuovo serial si sottrae alla maestosità visiva e alla cornice leggendaria per mettere in scena una storia di tensione psicologica che individua nei suoi due protagonisti, e nel setting minimalista sfrondato da ogni orpello, la potenza di un racconto che si fa dramma verticale. Cerchiamo quindi di analizzare insieme alcuni degli aspetti più interessanti di questa nuova perla nera (disponibile sulla piattaforma Disney+) nella nostra recensione di The Patient.
La trama: In Treatment incontra Hannibal
Era da un po’ che non capitava di imbattersi in una serie drammatica che non fosse tratta da una storia vera o da un libro ispirato a una storia vera. Lo spunto iniziale è tanto semplice quanto seducente: Alan Strauss (Steve Carell), un terapeuta afflitto dalla prematura scomparsa della moglie e dal progressivo deterioramento del rapporto col figlio, viene rapito da un suo ex paziente, il giovane Sam Fortner (Domhnall Gleeson). Risvegliatosi nella camera di un seminterrato con un’ampia porta vetrata che dà su un paesaggio di aperta (e isolata) campagna, il dottor Strauss ha una catena al piede che gli consente un raggio d’azione di pochi passi dal letto. Entro breve scopre che a tenerlo in ostaggio è proprio il suo vecchio paziente, convinto di potersi servire di lui per placare la sua compulsione a uccidere.
A poco servono i ragionevoli tentativi di far capire al giovane quanto i requisiti per il buon esito di una terapia non possano prescindere da un rapporto di fiducia reciproca e da un setting percepito come “safe” da entrambi i partecipanti. Fortner capisce, ma “non ha scelta”, perché il dottore rappresenta la sua ultima possibilità di avere una vita normale. E così anche Strauss si ritrova a non averne, di scelta, e a doversi adeguare alla situazione pur di sopravvivere; ad una condizione, però: che il ragazzo si impegni a non commetter alcun omicidio durante il corso della terapia coatta. Comincia quindi un gioco paradossale che si sviluppa su due binari: quello che ha come obiettivo la sopravvivenza fisica, per Strauss, e della sopravvivenza a se stesso, per Fortner. Entrambi giocatori, entrambi vittime ferite.
È un dramma che rinuncia alla molteplicità di setting e di spazi a favore di uno sviluppo verticale: se però un vero accesso alla mente del serial Killer ci viene precluso, e siamo costretti a interpretare e prevedere le sue reazioni sulla base della fenomenologia dei suoi comportamenti e di quello che dice, la mente del dottore si spalanca e ci introduce sia nel suo momento presente che nel suo vissuto, mettendoci in mano la chiave d’accesso della vita di un uomo spezzato e rassegnato. Quello che emerge attraverso i numerosi flashback è un background potente e dalla scrittura raffinata, che episodio dopo episodio compone un mosaico solido e tridimensionale della personalità di Alan Strauss.
La potenza del vissuto familiare
Se da un lato quello che conosciamo riguardo i traumi legati al passato del serial Killer restano confinati a una narrazione orale volutamente evasiva (nonostante le ripetute richieste di dettagli riusciamo a sapere solo che è stato vittima di un padre violento e abusante), costruendo una maschera impermeabile in cui intravediamo solo a sprazzi quella fiamma di umana empatia che Strauss cerca di contattare e di andare a sollecitare, i conflitti interiori del dottore ci vengono mostrati sotto forma di flashback del passato. Veniamo quindi a sapere che, oltre alla recente morte per malattia della moglie, il grande conflitto drenante e irrisolto riguarda il figlio che, dopo essersi convertito al giudaismo ortodosso, si è progressivamente allontanato dalla famiglia, che mai è riuscita ad accogliere le rigidità delle norme abbracciate dal figlio.
I fantasmi del conflitto irrisolto, il tema dell’incomunicabilità e della rabbia silenziata che si converte in frustrazione, si ripropongono quindi nel rapporto fra medico/ostaggio e paziente/aguzzino, andando a disegnare una complessità che trova piena espressione nella misurata e millimetrica interpretazione di uno Steve Carell che come non mai riesce a rendere tutte le sfumature di una lotta interiore fra rassegnazione e istinto di sopravvivenza, fra stanchezza fisica e slancio animalesco. Con lui ci è concesso entrare in piena empatia, così da controbilanciare la (nostra) frustrazione nel non riuscire a mettere mai veramente a fuoco la figura di Sam Fortner.
Una messa in scena da pièce teatrale
Quella degli autori Joel Fields e Joe Weisberg è una scelta stilistica che vuole condensare la potenza delle emozioni espresse e represse all’interno di uno spazio circoscritto, seppur non propriamente claustrofobico. Una delle quattro pareti è composta da un’ampia porta vetrata, una porta tanto vicina quanto irraggiungibile e dalla quale ogni sera rientra Fortner, dopo aver svolto il proprio lavoro di ispettore nel settore della ristorazione, con in mano un sacchetto di cibo etnico: un espediente che consente ai due di mettersi a sedere uno di fronte all’altro e proseguire così la terapia.
Una messa in scena intimista che se da una parte ricorda quella di una pièce teatrale, dall’altra fa pensare a quelli che, in linguaggio seriale, vengono chiamati bottle episode. Un cast ridotto all’osso e un set già predisposto, in cui il dinamismo della narrazione è affidato quasi esclusivamente alle dinamiche relazionali e alle performance attoriali. Forse è anche per questo che gli autori hanno optato per un format inusuale per un thriller psicologico, andando a costruire episodi dal minutaggio contenuto (per la maggior parte, siamo sui venti minuti) che si concludono sempre con un cliffhanger, contribuendo così a ravvivare un andamento che, soprattutto nei primi episodi, rischierebbe di soffrire di un certo ristagno.
Il cast: Steve Carell trionfa colpendo nel profondo
Se sul fronte comico Steve Carell non ha più niente da dimostrare, su quello drammatico qui l’attore ha la sua definitiva consacrazione. Lo avevamo già visto e ampliamente apprezzato in The Morning Show, dove però risplendeva insieme a un cast altrettanto fulgido. Qui, invece, sembra finalmente confermare la massima secondo cui se un attore è un grande comico ci sono ottime probabilità che sia egualmente un grande interprete drammatico. Tramite la costruzione certosina di un personaggio che è una supernova di emotività compressa, Carell riesce a restituirci in pieno la difficoltà del conflitto interiore che si agita dietro una facciata faticosamente mantenuta di fronte al suo sequestratore.
Dall’altro lato della seduta, Domhnall Gleeson trasmette in modo efficace la costante tensione del suo personaggio, costretto a vivere nel profondo disagio di essere se stesso, sprovvisto di qualsiasi forma di elementare linguaggio empatico ma disperatamente risoluto a farsi aiutare, esigendo l’impossibile, pretendendo di contravvenire ai pilastri sui quali si fonda la scienza dell’ascolto, perché l’urgenza di essere altro da sé è pressante quanto la sua compulsione a uccidere. Sfortunatamente per lui, e per noi tutti, la psicoterapia non è magia, e ciò che desideriamo non sempre può realizzarsi nei tempi e nei modi da noi dettati.
La recensione in breve
The Patient è un thriller che intriga con una idea iniziale semplice quanto stuzzicante. Sfruttando una messa in scena che ricorda quella di una pièce teatrale, il dramma del terapeuta rapito dal suo ex paziente si sviluppa in modo verticale, svelando una ricchezza di temi e contenuti psicologici magistralmente portati su schermo da uno Steve Carell eccezionale in ogni inquadratura.
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