La serie: Somebody , 2022. Creato da: Jung Ji-Woo. Cast: Kim Young-Kwang, Kang Hae-Lim, Kim Yong-Ji, Kim Soo-Yeon, Kim Soo-Yeon e Choi Yu-Ha. Genere: Thriller, drammatico. Durata: 50-55 minuti ca./8 episodi. Dove l’abbiamo visto: su Netflix.
Trama: La giovane e geniale Kim Sum (Kang Hae-Lim) ha sviluppato una particolare applicazione di social network destinata a mettere insieme future coppie: Somebody. Tutto sembra procedere bene ma l’applicazione è altresì utilizzata da un letale serial killer.
Da pochissimi giorni il palinsesto di Netflix si è arricchito di una nuova serie coreana: Somebody, mini-serie di 8 episodi (doppiata in italiano) di circa 50 minuti l’uno; un formato tipico di Netflix e ultimamente abbracciato da diverse serie coreane che pian pianino stanno diminuendo il loro format fluviale, di circa 16 episodi dalla durata media di 70/80 minuti, per abbracciare archi temporali più brevi (pensiamo a Squid Game oppure a The Silent Sea, due note serie coreane marchiate Netflix).
Somebody, come vedremo a breve, è un’opera altamente distintiva, vicina a un certo cinema coreano e non a caso il regista è Jung Ji-Woo, uno dei padri del new korean cinema; regista internazionalmente noto per aver diretto il thriller dalle tinte erotiche Happy End, film più volte rievocato nella serie in questione. Andiamo quindi ad esplorarla insieme in questa nostra recensione di Somebody.
La trama: donne forti, serial killer e app d’incontri
La giovane e geniale Kim Sum (Kang Hae-lim) ha sviluppato una particolare applicazione di social network destinata a mettere insieme future coppie: Somebody. Kim Sum riversa tutte le sue energie sul lavoro, a causa anche di una difficile integrazione sociale; lei è una ragazza con la sindrome di Asperger, spesso discriminata per la sua condizione. Un giorno, sfruttando l’app di sua invenzione, incontra un ragazzo enigmatico e misterioso: il progettista architettonico Seong Yun-o (Kim Young-Kwang).
Fin da subito scopriamo uno dei lati oscuri del giovane, che sfrutta l’app per commettere brutali omicidi. Nel mentre, l’uomo incontrerà altre donne tra cui la poliziotta Yeong Gi-Eun, costretta sulla sedia a rotelle a causa di un incidente, e la sciamana Im Mok-won. Le tre giovani donne si conoscono abbastanza bene e tutte e tre si interfacceranno in modi diversi con il letale killer. La caccia ha inizio.
Un noir tenebrante
Somebody è una serie altamente stratificata che tuttavia fin dai primi minuti è intrisa di tinte noir e thriller, generi molto noti e amati in Corea. Non a caso le prime immagini sono ambientate in un vicolo stretto della periferia di Seul; vicolo avvolto dalle tenebre dell’oscurità e da una pioggia incessante. Pochi secondi e veniamo catapultati all’interno di un piccolo centro commerciale fatiscente, nei cui sotterranei si trova una vera e propria bisca clandestina. Un inizio che potremmo definire stimolante.
Ad ogni modo, la serie pur avendo un andamento volutamente lento e autoriale, pronto a scavare sia nella psiche dei soggetti sia a riflettere su problematiche contemporanee, tende a dare il meglio di sé nei momenti più cruenti e disturbanti. Il primo episodio a tal proposito si conclude con un alto tasso d’inquietudine laddove emerge il talento cristallino del regista Jung Ji-Woo, maestro del new korean cinema.
L’arte dell’omicidio
Stacco di montaggio repentino ed ecco che veniamo di colpo catapultati in un tetro bagno, laddove il killer Seong Yun-o è intento a violentare una giovane donna: entrambi sono all’interno di una vasca da bagno piena d’acqua e parallelamente allo stupro, la giovane viene letteralmente annegata. La regia propone prima un’inquadratura a piombo atta a schiacciare al massimo la ragazza, oltre che enfatizzare la maestosità fisica del killer (un novello Apollo). Poi la camera proporrà un primo piano – in contre-plongée – sul protagonista, il cui viso è immerso sott’acqua e letteralmente gioisce per l’omicidio in atto.
Oppure memorabile l’assalto – sempre del killer – subito da un noto professore d’architettura. L’ignaro uomo viene condotto, con l’inganno, in un silus abbandonato; in un primo momento il suo viso viene schiacciato ripetutamente nella parete del silus, per poi essere trascinato giù dalle scale. La camera, ora, effettua gradualmente un movimento estensivo all’indietro enfatizzando la tensione drammatica, azione unita a una leggera accelerazione dei fotogrammi (fast-motion) che sembrano quasi conferire al killer abilità demoniache. Nel corso della serie troveremo poi omicidi in ellissi, fuori campo, oppure ripresi nei minimi particolari con una regia sempre attenta al dettaglio macabro, ma contemporaneamente propensa a effettuare riflessioni o anticipazioni simboliche-narrative. Omicidi degni del miglior Kim Jee-woon o Park Chan-wook.
Tra Asperger e pericolosità social
Un altro aspetto distintivo della serie riguarda la rappresentazione della sindrome di Asperger, ripresa in varie fasi dello sviluppo umano, il tutto mediante la storia della protagonista Kim Sum. Tramite flashback la vediamo, insieme alla madre, intenta ad apprendere le più basilari emozioni a lei sconosciute; la bimba mostra un’intelligenza sopra la media, tuttavia non è in grado, almeno all’inizio, di comprendere cosa siano felicità, tristezza o paura. Crescendo la ragazza dovrà vedersela con le brutte piaghe sociali della xenofobia e dell’abilismo, ma riuscirà sempre a cavarsela egregiamente bene. La serie tratta la questione con il giusto realismo, evitando banalità o finto perbenismo.
Un altro topos dell’opera, riguarda l’analisi della pericolosità di alcune applicazioni di messaggistica e d’incontri. Applicazioni spesso lasciante in balia del caos più totale, laddove chiunque è in grado di fingersi un’altra persona. Applicazioni difficili da monitorare e che possono davvero portare a conseguenze estreme e letali. Non a caso, nella serie il serial killer incontra le sue vittime con una facilità disarmante servendosi dell’applicazione Somebody; oppure, sempre tramite app, viene organizzato un party di stupro brutale e ignobile.
La serie, ad ogni modo, tende ad affrontare altre importanti questioni sociali: si parla di disabilità, di inettitudine delle forze dell’ordine, di riqualificazione scellerata e di quanto sia implementato nella società coreana lo sciamanismo che non sempre porta a soluzioni idilliache: l’ex presidente della Corea del Sud Park Geun-hye si è rovinata la vita, e la carriera, a causa delle sue assidue frequentazioni con la sciamana e amica Choi Son-sil.
Erotismo conturbante e disturbante
Un ulteriore aspetto di rilievo della serie, riguarda un certo erotismo messo in scena splendidamente, laddove sequenze carnali o metaforiche si sposano alla perfezione. In Corea del Sud le scene di sesso sono un po’ un tabù, ma non per il regista Jung Ji-Woo che già nel 1999, con l’eccelso Happy End sorprendeva pubblico e critica tra omicidi e sequenze sotto le lenzuola.
Nel primo episodio, ad esempio, assistiamo a una scena clamorosa densa di allusioni sessuali. Il presunto Killer sta insegando alla protagonista come si suona il piano. L’uomo effettua lenti e strani movimenti ondulatori del corpo che sembrano richiamare senza mezzi termini un atto sessuale.
Nel terzo episodio invece assistiamo a una sequenza altamente erotica degna del miglior Tinto Brass. Non mancano succulenti preliminari, fino al culmine dell’azione; azione ripresa in maniera assai atipica sfruttando un’inquadratura supina, il cui asse visivo riprende uno specchio; specchio che duplica l’immagine alludendo alla doppia vita di Seong Yun-o: architetto latin lover di giorno, letale serial killer di notte.
Oppure pensiamo all’approccio in un lounge bar tra la sciamana e una ricca manager. Sequenza sensuale, tra particolari ravvicinati o telecamera posizionata al di là di vani e vetrate, quasi ad alludere all’impossibilità della loro relazione. Erotismo messo in scena nei modi più disparati possibili, sempre all’insegna di una regia eccelsa e ricercata.
Una narrazione criptica atemporale
Concludiamo questa recensione parlandovi dell’atipica struttura narrativa. Essenzialmente abbiamo quattro protagonisti che tendono spesso a interfacciarsi tra di loro, creando fitte reti di collegamento. Protagonisti che appaiano e scompaiono dallo schermo. Non di rado, il regista decide di troncare improvvisamente una situazione saliente spostando quindi l’attenzione su altri lidi, per poi riprendere il tutto nell’episodio successivo tramite flashback. Soluzioni intricate ma che trovano sempre un motivo logico, e un collegamento concreto posto in ogni sequenza: basta una battuta, un telefono che squilla, una particolare immagine ed ecco che il mosaico narrativo prende forma. Genialità pura.
La recensione in breve
Somebody è una serie tanto autoriale quanto di genere. Un prodotto in grado di scavare nei meandri della psiche umana oltre che proporre interessanti riflessioni sociali. Una serie a tratti disturbante ma incredibilmente realista nella sua macabra messa in scena.
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