Infilmabile. Inadattabile.
Così veniva descritto The Sandman, il fumetto scritto da Neil Gaiman che nel corso degli anni è stato più volte vicino a ricevere una trasposizione sul grande e sul piccolo schermo.
Un’opera complessa che faceva del linguaggio del fumetto il suo punto di forza, lo spremeva fino in fondo per creare tavole oniriche, per trasformare i personaggi, per valorizzare le parole dello scrittore. Inoltre, nei 75 episodi che compongono la serie, poi raccolta in 10 volumi, la trama non sempre è orizzontale, anzi. Spesso e volentieri la narrazione si interrompe, alternando episodi autoconclusivi ambientati in altre epoche, con diversi personaggi principali che si relazionano anche solo brevemente con il protagonista Morfeo. Difficile, quasi impossibile, riuscire a replicare questo fragile equilibrio tra scrittura e disegni, tra narrazioni che si incastrano, tra ambientazioni diverse a cavallo tra la realtà e la fantasia più estrema.
Come abbiamo raccontato nella nostra recensione di The Sandman, la serie Netflix ha però rotto questa maledizione, regalando agli abbonati della piattaforma un adattamento fedele all’opera originale, che non solo potrà far contenti gli spettatori più casual, ma farà tirare un sospiro di sollievo a tutti i fan del fumetto. Il merito non è solo per la supervisione dello stesso Gaiman, quasi un marchio per proteggere la qualità della sua creatura più personale e memorabile, ma di una capacità di scrittura che ha saputo mantenere vivo il cuore pulsante della storia, anche a scapito di qualche differenza necessaria (non parliamo di quelle sul cambio di sesso ed etnia di alcuni personaggi, ininfluenti al fine del racconto e criticate dai soliti integralisti a cui non va dato spazio).
Come è accaduto il miracolo? Come si è arrivati ad avere una serie così rispettosa dell’opera originale e capace di funzionare perfettamente sul piccolo schermo? Analizziamo uno degli episodi più belli della serie a fumetti e della prima stagione, quell’episodio 6 dal titolo Il rumore delle sue ali che introduce il personaggio di Morte, mostra la vera forza dell’opera e funge da perfetto esempio di un ottimo adattamento.
La fedeltà al fumetto
Lo si capiva sin dal primo episodio: The Sandman utilizza per i titoli dei suoi episodi gli stessi titoli degli albi a fumetti. Una dimostrazione di intenti che colpisce sin da subito l’appassionato del fumetto e lo tranquillizza. Persino la scelta di utilizzare alcune immagini iconiche, prese pari pari dalla carta stampata, suppone anche a questo livello più superficiale una cura particolare verso la fedeltà delle tavole. Perché ci sono due modi per adattare un fumetto al cinema (o in televisione, che a dir si voglia).
La prima è quella più comune, di cui gli esempi più fulgidi si possono ritrovare in Sin City di Robert Rodriguez o in 300 di Zack Snyder, ovvero replicare in maniera 1:1 le tavole. La voce fuori campo al posto delle didascalie, le inquadrature identiche alle vignette, persino un’attenzione sopraffina alla fotografia e ai colori utilizzati: tutti elementi che danno l’impressione di aver trasportato nella maniera migliore possibile il materiale d’origine.
Il secondo metodo di adattamento è più raro e più complicato, ovvero riportare all’interno del linguaggio del cinema e dell’audiovisivo quello del fumetto. Un esempio estremo lo troviamo in Scott Pilgrim vs The World di Edgar Wright, dove troviamo onomatopee, linee cinetiche, un ritmo velocissimo e la scomposizione in vignette, attraverso l’uso dello split screen, del quadro.
Per riassumere brevemente: si può trasferire il contenuto o si può trasferire il linguaggio.
The Sandman, invece, fa molto di più, perché sceglie una via mediana. Trasporta il contenuto dell’opera, ma lo piega al linguaggio seriale, allo “stile di Netflix” (se vogliamo usare il termine “stile” per intendere tutto ciò che risulta coerente con i contenuti della piattaforma). Rende le storie adatte al gusto contemporaneo, ma senza rinunciare al cuore del fumetto. È in questo caso che si può parlare davvero di fedeltà: non come una copia in movimento di tavole disegnate, ma come nuova versione in un linguaggio diverso di tutto ciò che ha reso The Sandman quello che è.
Un episodio che ne raccoglie due
L’episodio 6 della prima stagione di The Sandman è l’adattamento dell’albo numero 8 della serie a fumetti (poi diventato il capitolo conclusivo del primo volume “Preludi e notturni”). È un albo molto importante per la serie, per due motivi. Il primo è che chiude la lunga introduzione al personaggio di Morfeo e ne conclude la sua prima avventura, ovvero la ricerca dei tre oggetti a lui rubati durante la prigionia. In questo lasso di tempo abbiamo imparato, sia nella serie che nel fumetto, a conoscere il mondo – e le sue regole – in cui è ambientata la storia e a entrare nel carattere passivo e quasi costantemente annoiato, nonché rigido e a tratti infantile, di Morfeo. Un’introduzione che sembrava già la fine della storia (tanto che lo stesso protagonista si ritroverà spaesato non sapendo che fare).
Il secondo motivo che sottolinea l’importanza del capitolo è la presenza del personaggio di Morte, sorella di Morfeo e uno dei personaggi non solo più iconici ma anche più amati della serie, grazie al suo look irresistibile (nel fumetto è una giovane ragazza goth) e alla sua curiosità sulla vita.
L’incontro tra Morfeo e Morte consiste in una giornata insieme, con il fratello che vede all’opera la sorella. Ne conosce la sua sensibilità, il modo in cui accompagna i morti al di fuori del mondo materiale, riscopre il senso dell’esistenza degli Eterni, la famiglia a cui i due appartengono, quale sia il suo ruolo di Re dei Sogni e le responsabilità che questo ruolo comporta. È un episodio pieno di dolcezza che mette in mostra tutta la sensibilità di The Sandman, divenendo presto uno dei capitoli simbolo della serie.
La sezione con Morte, che adatta l’albo numero 8, occupa i primi 20 minuti circa dell’episodio. Lo fa quasi seguendo di pari passo le tavole del fumetto, sacrificando l’essenzialità del tratto e degli sfondi disegnati (nel fumetto il tutto sembra avvenire in una dimensione quasi sospesa) per ridonare realismo e tangibilità all’ambiente. Scelta vincente perché il contrasto successivo, tra corpi morti e anime parlanti, funziona molto di più e si dimostra particolarmente riuscito nel linguaggio audiovisivo.
Ma Il rumore delle sue ali adatta, nel minutaggio restante della puntata anche un altro albo, il numero 13 dal titolo “Uomini di buona sorte”. In questo capitolo, Morfeo instaura una lunga relazione d’amicizia nel tempo con un uomo di nome Gadling, a cui diede l’immortalità nel 1389, spinto proprio dalla sorella che lo invitava a instaurare un rapporto con gli umani. Così accade: ogni cent’anni i due si incontrano nello stesso luogo (che nel corso dei secoli cambia), solo per il gusto di parlare. Nella serie a fumetti questo episodio spezza il ciclo successivo (“Casa di bambola”, raccolto nelle puntate 7-10 della serie tv), quasi come una pausa narrativa. Ed è qui che l’adattamento televisivo compie una scelta assolutamente vincente.
Un nuovo punto di vista
Perché adattare significa anche un po’ tradire. E in The Sandman questo tradimento funziona nella misura in cui le due storie, a prima vista separate, portano avanti lo stesso discorso. La frammentarietà del fumetto acquisisce in questo modo un nuovo punto di vista, rendendo la storia ancora più coesa e meno confusa. La presenza di Morte nella prima parte dell’episodio e quello che ricorda a Morfeo sono i legami perfetti per poter trasporre un altro capitolo della saga, così da formare un percorso lineare che non sacrifica nulla del materiale d’origine, ma anzi lo potenzia.
Sarebbe stato quasi incomprensibile, soprattutto per una serie presente nella piattaforma simbolo del binge-watching, spezzare una narrazione tesa quale quella di “Casa di Bambola” con un episodio autoconclusivo che proseguiva l’indagine emotiva e caratteriale dei personaggi. Ecco cosa vuol dire adattare in maniera perfetta: una struttura che, per una serie a fumetti originariamente pubblicata mese dopo mese, poteva avere senso viene tradita e modificata per esprimere il proprio potenziale e il proprio cuore in un altro linguaggio mediale. È questa la fedeltà migliore che si possa fare, il regalo più bello che si possa donare a spettatori novizi e fan decennali. Una storia uguale ma diversa, che coinvolge la visione davanti allo schermo e rassicura nel ricordo della lettura del passato.