Alla storia di Donato Bilancia è dedicato il documentario in onda stasera su Rai2 alle 21:25. “Le tre vite di Donato Bilancia” ripercorre la parabola disgraziata del serial killer, giocatore nella Genova che a occhio nudo non si vede, ladro e assassino, poi carcerato. Mai nessuno come lui si era macchiato di tanti crimini in così poco tempo: 9 uomini e 8 donne tra il 15 ottobre 1997 al 20 aprile 1998. Il docu-film di Rai Documentari va alla ricerca dei testimoni di tanta ferocia.
Donato Bilancia è nato nel 1951 a Potenza, in una famiglia piccolo borghese, emigrata a Genova negli anni ’50. “La mia era una famiglia disgraziata, litigi, botte, un inferno” dirà negli interrogatori. Cresce con il complesso del fisico inadeguato e del pene piccolo: “Mio padre d’estate mi denudava di fronte alle mie tre cugine e io piangevo, mi attorcigliavo, morivo di vergogna”. Va male a scuola ma se la cava nella vita sciolta, gli piacciono la notte e le cattive compagnie, la zona del porto con prostitute, bische e bar notturni. Ripete tre volte la terza media, poi abbandona. Fa il barista, il meccanico, il panettiere ma la sua vocazione è fare il ladro. I primi tempi entra ed esce dal carcere, che sarà la sua scuola di avviamento al delitto. Frequenta vari maestri di malavita che gli insegnano i segreti delle serrature e come fare un buon piano di attacco e di fuga: ruba negli appartamenti, nelle gioiellerie. Dirà: “Ero il migliore ladro professionista in circolazione”.
Non vuole complici, lavora sempre solo. Diventa ricco, veste elegante, guida Mercedes. frequenta il Casinò di Sanremo. È un giocatore d’azzardo incallito, capace di vincere 200 milioni di lire in una sera e di perdere tutto la sera dopo. Lo segnano due episodi, che lo isolano ancora di più nel rancore verso il mondo: la tragedia del fratello che nel 1987 si suicida buttandosi sotto al treno con il figlio di 4 anni, nipote prediletto. Poi il tradimento di quello che credeva il suo unico vero amico, Maurizio Parenti, con cui frequenta le bische. Una sera del 1997 per caso lo sente vantarsi con il padrone della bisca per avergli portato “quel pollo di Bilancia” che hanno spennato insieme, portandogli via quasi 500 milioni di lire in un mese di gioco truccato. Per Bilancia è un colpo al cuore. La sua vendetta contro il mondo si arma quella notte.
Il 15 ottobre 1997 aspetta sotto casa il proprietario della bisca, lo trascina nell’appartamento, lo uccide tappandogli naso e bocca con il nastro adesivo. Nove giorni dopo si occupa di Maurizio e di sua moglie. Li sequestra nella loro casa, li lega, parla con loro a lungo, spiega il movente, si gode il loro terrore, poi spara in testa a lui e due volte al petto di lei. Ha imparato a uccidere. E da quel momento lo farà in un crescendo. Dopo il movente della vendetta, sarà quello della rapina a muoverlo: i due gioiellieri, i due cambiavalute, il benzinaio, Poi ancora ucciderà per puro odio e disprezzo contro le donne: le quattro prostitute uccise a Genova, Varazze, Arenzano, Cogoleto. Fino alla massima crudeltà dell’omicidio casuale, quello senza movente, due donne incrociate sui treni della Liguria, di notte. Mandando nel panico l’Italia intera. Che lo soprannominerà il killer dei treni. Per mesi gli inquirenti indagano in ordine sparso. Fino a quando sarà Enrico Zucca, il magistrato di Genova che indaga sull’omicidio della nigeriana Tessy Adodo, a mettere a fuoco la pista che li condurrà fino a Donato Bilancia.
Li aiuterà l’identikit fornito da Lorena, un transessuale sfuggito miracolosamente all’assassino; l’identificazione di una Mercedes nera usata durante i delitti. E poi la testimonianza dell’uomo che ha venduto un’auto del tutto simile a uno strano personaggio solitario. E ancora li aiuterà il clamore degli omicidi casuali sui treni, nella settimana di Pasqua 1998.
Iniziano i pedinamenti. Donato Bilancia viene arrestato alle 11 del mattino del 6 maggio 1998. Non oppone resistenza. Resterà in silenzio per una settimana. Poi accetterà di sedersi di fronte agli inquirenti che lo accusano di otto omicidi. Chiederà acqua e sigarette. Dirà: “Se volete che vi racconti la mia storia, dobbiamo cominciare dall’inizio. E l’inizio non è un omicidio, non sono otto omicidi, ma diciassette”.
Reo confesso, condannato a 13 ergastoli senza mai andare in aula, Bilancia vivrà altri vent’anni nel carcere Due Palazzi di Padova. Prima da detenuto isolato e solitario. Poi protagonista di una lenta risalita: lo studio, il diploma di ragioneria, la nuova socialità con il gruppo teatrale del carcere. E a sorpresa, negli ultimi anni, una forte revisione della sua storia. Fino alla conversione e, a suo modo, una richiesta di perdono, così privata da non diventare mai pubblica. Quando si ammala di Covid, nel dicembre 2020, rifiuterà le cure, lasciandosi morire.