Quello di Francesca Pascale a Belve è un racconto emotivo e inarrestabile, il resoconto di una storia d’amore importantissima e fuori dai canoni, vissuta con tutta l’intensità possibile; la giovane napoletana di Fuorigrotta (“ma dissi che ero di Posillipo per darmi un tono”,) ricostruisce senza remore il suo quindicennale rapporto con Silvio Berlusconi, di cui è stata compagna, confidente e braccio destro. Certo, nel suo racconto non mancano le contraddizioni, come quando spiega che il loro era un rapporto aperto, ma segnato da scenate di gelosia.
Dagli inizi come supporter e fondatrice di un gruppo di fan, a “first lady” di Arcore, invisa al cerchio magico del Cavaliere (“All’interno del suo entourage mi odiavano quasi tutti, perché ero troppo irruente, se una cosa, anche politicamente, non mi stava bene, lo dicevo“) ma trattata con rispetto dai figli di Berlusconi, in particolare da Marina (“Tra di noi c’è sempre stato rispetto, anche ora che Silvio non c’è più”), Francesca ha trovato nel rapporto con Berlusconi “la realizzazione dei miei sogni”, non necessariamente legati all’ambito economico (“La storia del vitalizio da un milione, più i 20 una tantum, è completamente falsa”).
Dopo “un’infanzia felice”, ma con un padre “autoritario, che ha avuto anche atteggiamenti di violenza”, Silvio entra nella vita della giovane Francesca come “il miglior amico, il padre che avrei voluto, e un amante perfetto. Era veramente figo, anche fisicamente, la nostra intesa non è mai venuta meno, non ho mai sentito, almeno fino a pochi mesi prima della rottura, i 50 anni di differenza “. Ancora oggi, il suo ricordo è tenero e profondo: “Lui è stato e sarà sempre il mio centro, la persona più importante della mia vita. Ci siamo sempre voluti bene, ciascuno con i suoi strumenti“.
Il primo approccio, datato 2006, assume, però, attraverso la lente del tempo i toni del grottesco, e Pascale ne è consapevole. Galeotto fu un cellulare: “Arrivo da lui in hotel e gli dico che è bellissimo, lui mi dà della matta; io riesco a passargli un bigliettino col mio numero di telefono. Dopo qualche giorno mi chiama, io giustamente penso a uno scherzo, e lui mi fa: ‘Richiamami se non ci credi’. Peccato che avessi finito il credito; ho dovuto farmi chiamare con l’addebito al destinatario. Pensi che bel biglietto da visita“. A quel punto, forse per farsi perdonare, Pascale offre a Berlusconi un presente inaspettato: “Sì, gli ho regalato un barattolo con l’aria di Napoli, d’altronde lui veniva da Milano!”
Ha inizio così una relazione durata anni, condotta sempre all’insegna della totale apertura: “Lui ha continuato a fare quello che aveva sempre fatto, io stessa preferivo avere per casa belle donne piuttosto che Gasparri, scusi, eh. E comunque il nostro letto non è mai stato affollatissimo, il nostro rapporto non era solo sentimentale.
Da parte mia, io non ho mai sentito il bisogno di andare da altre parti; tutto quello che mi serviva me lo dava lui. Avevamo una complicità incredibile, che non vedo in molte altre coppie“.
Nonostante ciò, però, la gelosia era costante compagna nella villa: “Le mie scenate erano un po’ il sale del nostro rapporto, io a volte rompevo di tutto, una volta ho goduto un sacco a lasciare Verdini fuori dalla porta; ho fatto finta che Silvio non ci fosse. Se volevo cambiarlo? Sì, forse, ma intanto io sono rimasta, le altre no“.
Sulla fine del rapporto, Pascale sorvola quasi completamente, riservando solo due frecciate avvelenate a Marta Fascina, l’ultima compagna ufficiale del Cavaliere. Con istinto da preda braccata, afferma: “L‘ho sentita arrivare per tempo, ma non me ne sono fatto un problema, perché il mio rapporto con Silvio era già praticamente finito. Ma con me lui è sempre stato lucido, certe cose non le avrebbe mai fatte“.
Il riferimento è al cosiddetto ‘non matrimonio‘ celebrato da Berlusconi e Fascina nel 2022, una cerimonia laica, priva di valore legale, molto criticata dall’entourage del Cavaliere.
Ora, col senno di poi, Francesca Pascale si guarda indietro e ammette: “Si è trattato di un amore incosciente, ma all’epoca non me ne sono resa conto“. Incosciente, ma non per questo, meno valido. E il rammarico di una fine non compiuta, di una chiusura parziale, è forte e vivo: “Non sono riuscita a dirgli addio. Se potessi lo riporterei in vita, per due minuti, e lo terrei abbracciato a me“.