L’unico sopravvissuto della tragedia della Moby Prince è stato Alessio Bertrand. Nell’impatto tra il traghetto e la petroliera Agip Abruzzo nella rada del porto di Livorno morirono 140 persone. Il mozzo napoletano è stato l’unica persona ad uscire viva da quell’immane disastro, ma ne porta ancora i segni psicologici, anche se sono passati oltre trent’anni.
La sera del 10 aprile 1991 la collisione tra la Moby Prince e la petroliera provocò un vasto incendio, alimentato dal petrolio fuoriuscito dalla Agip Abruzzo. Si tratta, in termini di perdita di vite umane, la più grave tragedia che abbia colpito la Marina mercantile italiana dal secondo dopoguerra.
Alessio Bertrand, 30 anni dopo la tragedia, si è raccontato al TG 1, rivelando i suoi tormenti “Pure gli altri ce la dovevano fare, perché solo io? Non mi do pace su questo“. Aveva soltanto 23 anni al momento della tragedia, da allora “Tutti i giorni vivo con l’ansia, con la depressione, prendo psicofarmaci“, ha raccontato a chi lo ha intervistato. Bertrand ai suoi soccorritori aveva chiesto “Restiamo qua, recuperiamo qualcun altro. Pure prima di andare nell’ambulanza al porto mi ero innervosito, e dicevo: aiutiamo gli altri, perché ci sono altre persone“, senza sapere di essere l’unico superstite, intorno a lui erano rimasti solo cadaveri, molti di loro carbonizzati e difficili da riconoscere.
Sono passati poco più di trent’anni ma, ancora oggi, Bertrand dorme solo tre ore a notte. Il risarcimento avuto dalla NAVARMA gli ha permesso di comprare casa ad Ercolano. Oggi vive in quell’appartamento insieme alla moglie Raffaella Ascione e ai due figli disabili, affetti da autismo, Angelo e Luchino, che mantiene con la sua pensione d’invalidità. Dal giorno dell’incidente, non è mai più salito su una nave.
Non ho più il coraggio di guardare il mare, quando sento il rumore delle onde mi sale lo sgomento. Di viaggiare, poi, non se ne parla.
Al TG 1 ha ricordato frammenti di quella terribile notte: “Sentimmo il boato, uscimmo fuori, andavamo avanti e indietro senza sapere dove andare. Poi mi sono appeso a un corrimano, aspettando qualcuno. Dopo mi sono buttato a mare, e mi hanno preso due ormeggiatori, che mi hanno portato sulla motovedetta della capitaneria di porto“.
La verità su questa tragedia non è mai stata del tutto rivelata: “Se indagano tutti quanti sì, si può sapere la verità. Per me, per i miei amici, per mio zio“. Antonio era imbarcato con lo zio, una delle 140 vittime di quella sera