Il film: Triangle of Sadness, 2022. Regia: Ruben Ostlund. Cast: Harris Dickinson, Woody Harrelson, Dolly De Leon, Charlbi Dean, Oliver Ford Davies, Zlatko Buric. Genere: Commedia, satirico. Durata: 149 minuti. Dove l’abbiamo visto: Alla Festa del Cinema di Roma, in anteprima stampa.
Trama: Carl e Yaya, una coppia di modelli, vincono un’esclusiva crociera a bordo di uno yacht nel Mare dei Caraibi. La lussuosa nave è pilotata da un capitano di mare eccentrico e dalle idee marxiste che metterà a dura prova i passeggeri dell’imbarcazione. La vacanza prenderà presto una piega inaspettata: prima un’intossicazione alimentare di gruppo, poi l’attacco di alcuni pirati alla nave, fino allo scoppio di una mina antiuomo che farà esplodere l’imbarcazione. I superstiti dovranno rimboccarsi le maniche e sopravvivere su un’isola deserta, in attesa dell’arrivo dei soccorsi.
Presentato in anteprima italiana alla 17° Festa del Cinema di Roma e in uscita nelle nostre sale da giovedì 27 ottobre, Triangle of Sadness è il nuovo film diretto dal regista svedese Ruben Ostlund, il suo primo lungometraggio in lingua inglese ed il secondo che gli ha regalato la prestigiosissima Palma d’Oro al Festival di Cannes; il primo trofeo internazionale lo vinse nel 2017 con l’apprezzato e provocatorio The Square.
Nella nostra recensione di Triangle of Sadness scopriremo quanto anche questo suo esordio in lingua inglese mantenga la stessa sfacciataggine e il senso di cinismo che hanno contraddistinto anche i film precedenti dell’autore scandinavo, mettendo in scena questa volta un ambizioso e divertentissimo omaggio alla commedia socialmente sovversiva di Lina Wertmüller, in particolare ispirandosi al suo Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto.
La trama: a bordo dello yacht dei super-ricchi del pianeta
Carl e Yaya (rispettivamente, Harris Dickinson e la compianta Charlbi Dean), due modelli in ascesa sui social, vincono un viaggio a bordo di uno yacht di lusso che ospita moltissimi passeggeri appartenenti all’elite mondiale; questo sarà l’inizio di un viaggio assurdo e pieno di imprevisti, tra ruoli di genere che si sovrappongono, battaglie tra i sessi, un’irriverente intossicazione alimentare ed un attacco pirata alla nave. Per i passeggeri dello yacht di lusso guidato dall’eccentrico e marxista capitano Thomas Smith (Woody Harrelson), sarà l’inizio di un incubo da cui impareranno molto. O forse no.
Se con The Square aveva scosso dall’interno il mondo dell’arte contemporanea con tono graffiante ed originale, con Triangle of Sadness il regista scandivano Ruben Ostlund allunga ulteriormente il tiro della sua visione cinematografica e scrive e dirige il suo film forse più straripante ed imperfetto ma al contempo più pregnante. Un capolavoro sovversivo che è stato difatti insignito della Palma d’Oro allo scorso Festival di Cannes presieduto da Vincent Lindon.
Un viaggio catastrofico ai confini del capitalismo
Con Triangle of Sadness, anche questa volta, Ostlund parte dal microscopico per allargare la sua lente al macroscopico della società contemporanea in toto; il lungometraggio si apre con il rapporto sentimentale conflittuale e squilibrato tra Carl e Yaya, due giovani modelli in ascesa nel fluttuante ed algido mondo della moda ai tempi d’oggi; ai due viene permesso di partecipare ad un viaggio caraibico a bordo di uno yacht di lusso in compagnia di altri ricconi da ogni parte del globo. Lei sfrutta l’occasione per guadagnarsi visibilità su Instagram, lui invece si avvicinerà alle personalità più curiose ed eccentriche a bordo dell’imbarcazione: dal “Re dei fertilizzanti naturali” ai più grandi produttori di mine antiuomo sulla faccia del pianeta, tutti gli inquilini dello yacht di lusso considerano come moneta di scambio nelle relazioni con le persone il vile denaro.
In un ambiente come quello della nave in cui i rapporti umani si riducono a mera merce di scambio senza valore, è ironico che a guidare il vascello dell’elite contemporanea ci pensi lo sgangherato capitano Thomas Smith, marxista fino al midollo in un microcosmo galleggiante in cui impera il mero e sporco capitalismo. Un dislivello sociale che indebolisce non soltanto gli inservienti e i lavoratori più “in basso” dello yacht, ma che investe anche i rapporti tra gli uomini e le donne sulla nave. Ed ecco che la visione cinematografica di Ruben Ostlund si allarga progressivamente a macchia d’olio.
Inversione dei ruoli: siamo tutti uguali?
Se l’esilarante scena dell’intossicazione alimentare di gruppo termina in un pietoso spettacolo di escrementi e vomito dove tutti, indipendentemente dal ceto di appartenenza, si abbassano allo stesso livello bestiale e primario (e quindi ironicamente umano), i dislivelli sociali vengono definitivamente azzerati, e poi completamente sovvertiti, dopo lo scoppio della bomba all’interno della nave e la successiva corsa dei sopravvissuti su un’isolotto deserto. Sarà la durissima convivenza sull’atollo caraibico a smantellare ogni valore capitalistico prestabilito, ad incoronare capitano della nuova “arca di Noè” l’inserviente filippina dello yacht (l’attrice asiatica Dolly De Leon in un ruolo da manuale); da sguattera e servitrice senza orizzonti sociali a leader degli eterogenei sopravvissuti.
Proprio sull’isola viene quindi fondata un’ideale utopia matriarcale, dove le donne cacciano il cibo e approvvigionano il gruppo mentre gli uomini si abbassano a meri esecutori di favori sessuali in cambio di cibo scadente e protezione dai pericoli dell’isola. Eccola quindi la tappa finale del viaggio dal microcosmo al macrocosmo di Ruben Ostlund: uno spettacolo cinematografico sfacciato e senza pudore che abbraccia grandi temi della contemporaneità mettendoli alla berlina uno ad uno con tono a tratti spesso troppo programmatico ma al contempo irresistibile.
Una corrosiva commedia alla Wertmüller
Grande affresco satirico sulle tante facce del privilegio economico e dell’ipocrisia della classe medio-alta odierna, il Triangle of Sadness del cineasta scandinavo mette forse al fuoco tanta, troppa carne da digerire, confezionando così una pellicola dalle ambizioni molteplici; una scommessa vinta però su tutti i fronti nonostante la messa in scena derivativa e poco originale (impossibile non pensare al debito artistico che il cinema di Lina Wertmüller e in particolare il suo capolavoro sovversivo Travolti da un insolito destino ha sulla visione di Ostlund), capace di spiazzare ed intrattenere anche lo spettatore più smaliziato ed in disputa con le poetiche provocatorie del regista europeo.
Un trionfo cinematografico multiforme, sfaccettato e strabordante che non può e non vuole chiedere scusa al suo spettatore, trascinandolo con forza in un turbinio di idee e riflessioni attuali da rimanerne storditi ed affascinati. Un capolavoro coraggioso e, nel bene e nel male, senza compromessi.
La recensione in breve
Triangle of Sadness è il film più esplosivo e sfacciato di Ruben Ostlund, che dopo il trionfo di The Square vince la sua seconda Palma d'Oro per questo lungometraggio, il suo primo in lingua inglese. Ispirato al cinema sovversivo e matriarcale di Lina Wertmuller, il film pluripremiato mette in scena un'irriverente satira alla superficiale società contemporanea e al ruolo dei due sessi in essa. Graffiante, scorretto ed esagerato.
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