Quando nel 2018 uscì A Star is Born, le perplessità attorno alla pellicola erano tante e in verità abbastanza comprensibili. Come sarebbe stato il terzo remake di È nata una stella nelle mani di un esordiente assoluto come Bradley Cooper? E soprattutto, come sarebbe stata Lady Gaga nei panni della protagonista? Le domande hanno poi ottenuto tutte una risposta positiva. Il film è stato uno dei più amati della stagione cinematografica, ha conquistato otto candidature agli Oscar (tra cui migliore attrice), con la vittoria di Lady Gaga e della sua bellissima Shallow come migliore canzone.
E ancora oggi c’è chi versa una lacrimuccia a ripensare alla storia di questo musical che continua a fare sfracelli in ogni suo adattamento. Il merito è tutto da ascrivere all’alchimia palpabile tra i due protagonisti, che in molti avrebbero visto come coppia perfetta nella realtà. La vita in questo caso non ha superato l’arte, visto che la premiata ditta Cooper-Germanotta resta, al momento, solo un sogno, ma di sicuro ha dato al cinema una delle partnership più emozionanti di sempre. Eccoci allora a esplorare questo intenso melò e a darvi la spiegazione del finale di A Star is Born. Fazzoletti alla mano, prego.
Quando nasce una stella
Lo diceva Billy Wilder e non possiamo fare altro che dargli ragione. La storia cinematografica per eccellenza è solo una: “Boy meets girl”, un ragazzo incontra una ragazza. Un piccolo avvenimento nell’economia del Cosmo, ma sufficiente per scatenare una tempesta di eventi. Così, quando Jackson Maine, star della musica rock-country incontra in un night club la performer Ally non riesce a staccarle gli occhi da dosso. E dire che quella ragazza non ha coscienza di sé e del magnetismo che emana. Da tutta la vita le raccontano che non sarebbe mai riuscita a sfondare nel mondo della musica per la sua poca avvenenza. Sciocchezze. Ally è talento puro, anche se non se ne rende conto. La sua capacità poetica di trasformare parole in musica è fuori dall’ordinario.
Le basta solo qualche verso canticchiato per far innamorare Jackson, che le propone subito di unirsi a lui per uno concerto che si sarebbe tenuto il giorno dopo. Dapprima riluttante, Ally decide di accettare l’invito. E sul palco si compie la magia: i due cantano il pezzo abbozzato da Ally, Shallow, e sotto i riflettori sboccia un amore assoluto. Giorno dopo giorno, Ally acquista una maggiore consapevolezza nei suoi mezzi, anche grazie all’incontro con un manager che le costruisce una carriera su misura. Eppure, qualcosa turba questo quadro idilliaco. Come il padre, infatti, Jackson è un alcolizzato che usa la sbornia come anestesia per un dolore mai curato e mai guarito. Così, quando Ally si appresta a vincere il primo Grammy Award della vita, Jackson, in un vortice di distruttività verso di sé e verso colei che è diventata sua moglie, le rovina la festa presentandosi ubriaco.
L’ultima canzone
La spiegazione del finale di A Star is Born non può prescindere da questo momento chiave. Il caos scatenato da Jackson ai Grammy gli regala una certezza terribile: egli sente nel profondo di essere un intralcio nella carriera di sua moglie. Che a lui, in realtà, non avrebbe mai rinunciato per nulla al mondo, pur pressata dal manager. Nonostante il ricovero in una clinica per disintossicarsi e un’effimera guarigione, quindi, Jackson decide per tutti. Mentre Ally si esibisce in un concerto a cui avrebbe dovuto partecipare anche il musicista, Jackson si impicca. Di quell’amore assoluto resta solo il testo di una canzone scritta da Jackson nel periodo di massimo splendore di Ally, quando la donna, snaturando il suo stile, aveva iniziato a scalare le classifiche mondiali. Un regalo, conservato tra le pagine del diario che Ally usava per scrivere le sue canzoni. L’ultima delle quali, la più bella, I’ll Never Love Again, verrà cantata da Ally al funerale del suo Jackson.
È nata la stella
Una delle particolarità di A Star is Born è di aver certificato davvero la nascita della sua stella, Lady Gaga, che fino a quel momento era considerata “solo” una popstar. Certo, una cantante vincitrice nel 2016 di un Golden Globe come migliore interprete per American Horror Story: Hotel (ricordate la faccia di DiCaprio quando passò imperiosa vicino a lui per andare a ritirare il premio?), ma pur sempre un’artista delle sette note. Il film di Cooper, invece, ha tenuto a battesimo un’attrice, qui al primo ruolo da protagonista, di livello assoluto. Come dimostrato successivamente in House of Gucci del 2021, in cui sostiene quasi da sola il peso di un film molto “bigger than life”. E come siamo sicure dimostrerà in Folie à deux, attesissimo sequel di Joker in cui Lady Gaga vestirà i panni di Harley Queen, musa e compagna del perfido pagliaccio. Personaggio femminile ancora una volta destinato ad avere il cuore spezzato.
Morire, rinascere
In una storia di amore e morte emblematica come quella di A star is Born ogni più piccolo dettaglio trasuda passione. A partire dal testo di Shallow, premiata con l’Oscar in una serata contraddistinta dal memorabile duetto tra Lady Gaga e Bradley Cooper. Un’esibizione così sensuale e piena di trasporto, da aver fatto pensare che i due stessero davvero insieme. Invece, come spiegato successivamente da Lady Gaga, si era trattato solo di spettacolo. Puro, emozionante spettacolo. Ma se una canzone riesce a scatenare tanto sentimento è segno della sua totale riuscita. Scritta da Mark Ronson e dalla stessa Lady Gaga, con la supervisione finale di Lukas Nelson, Shallow racconta la fase in cui un rapporto di coppia diventa sempre più profondo. Una ballad a due voci in cui un uomo e una donna si incontrano idealmente parlando di paura e desiderio. Il pezzo è oggettivamente accattivante, cucito su misura per le doti canore da contralto-mezzo soprano di Lady Gaga.
Quante stelle nel cielo (di Hollywood)
Il caso di È nata una stella è uno dei più singolari della storia di Hollywood. A dimostrazione che una storia d’amore scritta bene possa reggere benissimo agli adattamenti e alla furia del tempo. Tutto ha origine nel 1932 con il film di George Cukor intitolato A che prezzo Hollywood, che racconta la storia di una timida cameriera con il sogno di diventare attrice e dell’uomo che diventerà il suo mentore e il suo amore. Cinque anni dopo, la stessa trama diventa È nata una stella di William A. Wellman. Titolo che ritroviamo nella versione del 1954, sempre diretta da Cukor, e interpretata da Julie Garland e James Mason e in quella del 1976, diretta da Frank Pierson, con Barbra Streisand e Kris Kristofferson. Chiude il cerchio A Star is Born di e con Bradley Cooper, che guarda in particolare al film di Pierson come riferimento. Cosa, in verità, non proprio gradita alla Streisand che, nonostante l’entusiasmo iniziale, ha poi bollato il film di Cooper come “poco originale”.
Le regine del pop
È curioso come nella versione musicale della storia (le prime due erano ambientate nel mondo del cinema) le tre protagoniste siano tre regine assolute del pop (consideriamo Judy Garland pop nel senso più ampio del termine, ovviamente) e anche tre figure emblematiche per il movimento LGTBQ+. Non solo, si tratta di artiste a tutto tondo, dalla personalità spiccata, venerate dal pubblico e con capacità vocali eccezionali. Non è un caso che la prima artista a cui Warner Bros. pensò per il film fosse Beyoncé, che in questo quadro, con Will Smith al suo fianco, non avrebbe sfigurato. La regia di A Star Born sarebbe dovuta essere di quella vecchia volpe di Clint Eastwood, uno dei pochi autori della classe di ferro ad amare visceralmente la musica (nel suo curriculum figurano, tra gli altri, Honkytonk Man, Bird, The Blues e Jersey Boys). Sappiamo bene, però, com’è andata a finire. Eastwood abbandonò il progetto, così come Beyoncé, che ha dovuto rinunciare a causa dei suoi impegni. Chissà che storia sarebbe stata…