Andor è partita in sordina: con i primi episodi della serie di Star Wars creata da Tony Gilroy, responsabile dello script di Rogue One, che faticavano a ingranare, da un lato perché le atmosfere sembravano riecheggiare altri universi fantascientifici di riferimento, Blade Runner in primis, antitetici a Star Wars, dall’altro perché non sembrava mai entrare nel vivo dell’azione. Episodi eccessivamente introduttivi, o interlocutori, nella prima parte della stagione hanno fatto perdere interesse agli spettatori e abbassato l’indice di popolarità, nonché gli ascolti, della serie.
Ma a ben guardare, tutta quell’attesa è stata ben ripagata da una storia che si è rivelata una grande epopea sull’urgenza della ribellione in epoche di totalitarismi e oppressione, caratterizzata da una scrittura raffinata e da una complessità non scontata per la saga, nonché da ricchi approfondimenti su numerosi personaggi e sorprese gratificanti per lo spettatore, senza alcun ricorso all’odiato fan-service. Vediamo dunque perché Andor è tra le migliori serie di Star Wars, e soprattutto se è assimilabile ai canoni, o al Canone, della saga (una sola avvertenza, da qui in avanti ci saranno spoiler, per cui consigliamo la lettura soltanto a chi ha già completato la serie).
Andor shot first, again
Quell’incipit con la figura incappucciata che si incamminava nella pioggia di una città futuribile illuminata dai neon, di certo faceva pensare più alla prossima serie, attualmente in lavorazione, su Blade Runner che non a Star Wars. Anche la musica elettro-pop che si ascolta entrando in un bar malfamato è ben lontana dalle sonorità ‘etniche’ della famosa Cantina-Band di Episodio IV. A dirla tutta, il locale equivoco con quella illuminazione e quella musica sembra provenire maggiormente da qualche noir metropolitano di Michael Mann. È infatti sui toni noir che Tony Gilroy, showrunner della serie, si gioca i primi episodi, ribadendo fin dalle prime battute che, in linea con quanto già visto in Rogue One, “Andor shot first”, ovvero che il protagonista non si fa tanti problemi a eliminare qualcuno a sangue freddo, proprio come faceva Han Solo nella primissima versione di Episodio IV, poi rimaneggiata ed edulcorata da Lucas nelle successive edizioni speciali della trilogia originale.
Moralità flessibile
Se il primo episodio vira sui colori del nero, in seguito la serie assume i contorni di una vera e propria spy-story (in cui Tony Gilroy è maestro, avendo sceneggiato la trilogia di Bourne), con un personaggio ambiguo e carismatico come Luthen Rael (un superlativo Stellan Skarsgård) che introduce Andor in un mondo più grande (giusto per citare Obi-Wan anziano), ovvero quello del nascente movimento clandestino di resistenza all’impero. Non si tratta però di un semplice schieramento di buoni contro cattivi: la moralità di Luthen, al fine di perseguire un bene superiore, è terribilmente flessibile. Non si fa scrupolo ad utilizzare metodi spietati, simili all’impero, per raggiungere il proprio scopo e cioè far nascere la ribellione. Per far questo Luthen è disposto a sacrificare qualunque cosa o persona. In uno dei dialoghi più memorabili della serie, quando gli viene chiesto da parte di una spia della resistenza infiltrata nell’impero, che pure sta mettendo in gioco parecchio, che cosa egli abbia sacrificato, la risposta di Luthen è fulminante e non ammette repliche: “Qual è il mio sacrificio? Sono condannato ad usare gli strumenti del mio nemico per sconfiggerli. Brucio la mia decenza per il futuro di qualcun altro. Brucio la mia vita per fare un’alba che so che non vedrò mai. E l’ego che ha iniziato questa lotta non avrà mai uno specchio, un pubblico o la luce della gratitudine. Quindi cosa sacrifico? Tutto!”. La profondità di una tale scrittura e la complessità di un tale personaggio sono tra le cose più riuscite della serie.
Vite clandestine
Come in ogni spy-story che si rispetti abbiamo personaggi che conducono doppie vite, a cominciare dal già citato Luthen che si cela sotto le mentite spoglie di un antiquario ansioso di soddisfare le mode snob della società più abbiente di Coruscant, la capitale dell’impero. Non dimentichiamo Mon Mothma, la futura leggendaria leader della Ribellione, già interpretata dalla stessa Genevieve O’Reilly in Rogue One (2016), ma intravista anche ne Il ritorno dello Jedi (1983), ovviamente incarnata all’epoca da un’altra attrice, cioè Caroline Blakiston. Il suo percorso da senatrice a capo della resistenza comincia proprio qui, in Andor, dove deve tenere a bada un marito che non ama e soprattutto deve districarsi tra problemi amministrativi di non poco conto per finanziare il movimento, cosa che la farà andare incontro a grossi rischi e a sacrifici personali riguardanti la sua famiglia. Sua cugina Vel Sartha pure si nasconde in abiti borghesi, quando non è in impegnata in pericolose missioni di sabotaggio. Le vite clandestine condotte da questi personaggi danno un’idea del senso di costante pericolo al quale sono esposti e aiutano a mantenere alta la tensione psicologica della vicenda.
Una girandola di generi
Ma la ricchezza di Andor non si esaurisce con la spy-story: nella serie convivono più generi cinematografici come per esempio l’heist-movie bellico, ovvero il film in cui un gruppetto di improbabili guastatori devono compiere una sortita impossibile per far esplodere un ponte, sabotare un avamposto del nemico, far saltare una base e così via. Per intenderci, quando Andor si unisce allo sparuto gruppetto di disperati che dovrà assaltare la base imperiale di Aldhani per rubare armi e danaro, siamo chiaramente dalle parti de La sporca dozzina.
Quando, successivamente, il nostro sarà catturato dall’impero e si ritroverà in quell’inferno che è il centro di detenzione di Narkina 5, approdiamo invece al classico Prison-movie alla Brubaker, o se vogliamo Nick Manofredda, fatte le dovute proporzioni ovviamente. Ci sono tutti i topos del caso: i lavori forzati e ripetitivi da compiere in breve tempo per alzare la produttività, il compagno più anziano che non ce la fa. Infine il bellissimo personaggio di Kino Loy, interpretato da Andy Serkis, che da controllore dei compagni di sventura, acquista man mano coscienza del buco nero in cui sono tutti intrappolati e, su sollecitazione di Andor, accende la miccia della rivolta carceraria. Le atmosfere asettiche e opprimenti della prigione richiamano inoltre, crediamo volutamente, il primo bellissimo film di Lucas, THX 1138 (L’uomo che fuggì dal futuro). L’improvvisa apertura visiva dell’inquadratura che svela la posizione della prigione in mezzo al mare, ricorda inoltre una scena simile del mitico Face-off, in cui Nicolas Cage fuggiva dal carcere di Erehwon (contrario di Nowhere) per ritrovarsi in mezzo all’oceano.
Infine nell’ultimo bellissimo episodio, sembra di assistere a un film storico in costume, che racconta la nascita di un movimento di rivolta in qualche colonia assoggettata a un paese straniero, oppure in qualche paese oppresso da una qualche forma di dittatura. Il sottotesto politico di Andor è forte, nonché ben calibrato lungo i 12 episodi che lo compongono.
La cosa bella è che questa varietà di generi si amalgama perfettamente all’interno del percorso di crescita di Andor e degli altri personaggi, compresi i cattivi. Personaggi come Syril Karn, il burocrate frustato, vessato dalla madre, oppure Dedra Meero, la scrupolosa e spietata, ma in realtà fragile, funzionaria dei servizi segreti imperiali, i cui fili sono destinati a incrociarsi, sono personaggi a tutto tondo, le cui traiettorie narrative arricchiscono l’universo di Andor.
Ma è Star Wars?
Stabilita l’innegabile qualità e ricchezza di un prodotto seriale come Andor, la domanda che tutti si pongono è: ma si può dire che risponda a quelle caratteristiche che ne fanno una narrazione assimilabile all’universo di Star Wars? Se guardiamo superficialmente la serie allora la risposta più rapida sarebbe no. Non ci sono spade laser né cavalieri Jedi, non si accenna alla Forza, manca la trascinante musica orchestrale di John Williams, sostituita per lo più da cupe partiture elettroniche e, soprattutto, non ci sono battaglie spaziali con le astronavi. Su quest’ultimo aspetto c’è comunque una inaspettata e gustosa scena, nel momento in cui Luthen viene fermato da una pattuglia imperiale alla fine dell’episodio 11.
Eppure uno dei nuclei tematici di Star Wars c’è e scorre prepotentemente lungo tutti e 12 gli episodi ed è la speranza. Quella stessa speranza presente nel titolo del primo episodio della saga, sebbene indicato come quarto, ovvero quella speranza da un lato di elevare il proprio destino al di sopra delle condizioni di partenza e di fare la differenza nell’universo, dall’altro di rovesciare un sistema politico dittatoriale e tirannico. Mai come in Andor l’oppressione imperiale è stata rappresentata in modo talmente crudo e vivido: la sensazione concreta di non essere liberi, la minaccia costante di essere sorvegliati e scoperti, le torture (non paragonabili a quelle che si intravedono nella trilogia originale). Il sistema burocratico, quello di sorveglianza, nonché di detenzione dell’impero galattico non era mai stato esplorato in modo così spietato, né gli era mai stata attribuita una connotazione talmente kafkiana, almeno nei film e nelle serie. L’accendersi della scintilla della ribellione nell’ultimo episodio, non è mai stata così sentita: viene percepita dai personaggi e dallo spettatore come un catartico momento di riscatto collettivo dopo tanti episodi dedicati alla rappresentazione dell’oppressione. Il funerale di Maarva (una grandissima Fiona Show), con l’ologramma che istiga alla ribellione, quel corteo colorato che suona una musica dolente e avanza indomito, le inquadrature dei vari personaggi coinvolti che si muovono dietro le quinte, è uno dei momenti più alti non solo di Andor, ma dell’intera serialità di Star Wars. Abbiamo finalmente assistito alla scintilla che porterà alla nascita di quella Alleanza Ribelle che abbatterà il malvagio impero galattico. Cosa c’è di più Starwarsiano di questo? Se dunque Andor non risponde esattamente ai rigidi parametri stabiliti dal Canone, la serie palpita però di quel sentimento più genuino che è al cuore dell’universo di Star Wars e cioè quell’insopprimibile anelito a ribellarsi contro l’oppressione tirannica, sempre e comunque.