Il film: Babylon, 2022. Regia: Damien Chazelle. Cast: Margot Robbie, Brad Pitt, Diego Calva, Jean Smart, Tobey Maguire, Jovan Adepo, Li Jun Li. Genere: Commedia, Grottesco. Durata: 189 minuti. Dove l’abbiamo visto: Al cinema, in anteprima stampa in lingua originale.
Trama: Verso la fine degli anni ’20, Hollywood va incontro al più grande dei cambiamenti: il passaggio dal muto al sonoro. Molti artisti vedono la loro carriera stroncata mentre altri riescono a resistere al cambiamento e a traghettarsi nella nuova era: quella del cinema parlato, un progresso rivoluzionario che cambierà l’industria dei sogni per sempre.
Giovedì 19 gennaio arriva nelle sale italiane Babylon, il ritorno dietro la macchina da presa del regista e sceneggiatore Damien Chazelle, lo straordinario autore di Whiplash e La La Land che non realizzava un lungometraggio cinematografico dai tempi del solido First Man – Il primo uomo. Un nuovo tentativo dietro la macchina da presa per il regista premio Oscar che ha diviso la critica americana e ha purtroppo prodotto un sonoro flop al botteghino statunitense. Risultati francamente ingenerosi per un lungometraggio profondamente imperfetto ma che porta sul grande schermo immagini, suggestioni, omaggi cinefili e intuizioni registiche che rendono Babylon un’esperienza frenetica ed immersiva da vivere preferibilmente in una sala cinematografica.
Nella nostra recensione di Babylon ci addentreremo più a fondo nelle mastodontiche ambizioni del nuovo film di Damien Chazelle, una lettera d’amore al vetriolo alla sempiterna magia del cinema ed un viaggio allucinatorio nei meandri oscuri e provocatori della Hollywood degli albori, quando al tempo del cinema muto tutto era maledettamente imprevedibile.
La trama: C’era una volta nella Hollywood del 1926
Hollywood, 1926. La più grande industria cinematografica al mondo sta per assistere ad uno degli atti più rivoluzionari della sua storia: un certo regista di nome Al Jolson sta per presentare agli spettatori americani “Il cantante di Jazz”, primo esperimento di lungometraggio sonoro. I più grandi registi e i divi del tempo iniziano a correre ai ripari cercando di stare al passo con la grande innovazione, con risultati disastrosi e dalle conseguenze spesso tragiche. Tra questi, facciamo la conoscenza di Jack Conrad (Brad Pitt), star del cinema muto in rapida decadenza, e la giovane ed energica Nellie LaRoy (Margot Robbie), pronta a tutto pur di sfondare nel cinema come attrice di spessore. In mezzo, il ritratto di una Los Angeles spietata e depravata in velocissima trasformazione.
Dopo lo straordinario successo ottenuto nel 2016 col musical La La Land, il regista statunitense torna nuovamente ad occuparsi di due delle ossessioni cinematografiche che da sempre lo hanno accompagnato dietro la macchina da presa: il cinema inteso come incoparabile macchina produttiva di efferata spietatezza e allo stesso tempo espressione definitiva dei sogni a cui tutti aspiriamo; nel mezzo, come nella vita reale però, c’è il sacrificio per realizzare i propri desideri, ci sono il sangue e il sudore che insozzavano il suo Whiplash del 2014, oppure l’amore che si spezza sotto il cielo stellato di Hollywood nel premiatissimo La La Land. Babylon, invece, è un trionfo scorretto ed anticonformista dove a farla da padrone sono letteralmente lacrime, merda, piscio e sperma, un abbacinante tripudio cinematografico in cui Chazelle alza ulteriormente la posta in gioco del suo fare cinema e si diverte con vari registri narrativi e timbri linguistici sempre cozzanti. Il risultato, è una cacofonica lettera di odi et amo al mezzo cinematografico da vivere esclusivamente su un grande schermo.
Viaggio lisergico in una Babilonia moderna
Sarebbe fin troppo ingeneroso etichettare il nuovo film scritto e diretto da Damien Chazelle come un caotico fallimento, esattamente come ha fatto buona parte della critica statunitense; la verità è che il Babylon del giovane regista acquisisce valore quando lo si ascrive alla poetica dell’autore stesso, ideale continuazione di un discorso sulla professione dell’arte e sullo stato di salute dello show businesse di ieri e di oggi che i suoi precedenti Whiplash e La La Land avevano già ampiamente iniziato con coraggio, virtuosismo e talento dietro la macchina da presa. Con la sua mastodontica riproposizione della Hollywood degli anni ’20, Chazelle sembra voler sprigionare un’inedita carica virtuosistica nella messa in scena e nella scrittura che nelle sue pellicole precedenti era stata quasi trattenuta.
Impossibile quindi non tornare con la mente al 2018, quando il regista presentava al mondo First Man – Il primo uomo, racconto sobrio ed emotivo del primo viaggio sulla Luna intrapreso da Neil Armstrong nel 1969 che poco convinse pubblico e critica internazionale, catapultando Chazelle nell’inferno inaspettato del suo primo flop commerciale. Un fallimento che sembra averlo segnato ad onor del vero sin dai tempi di La La Land, quando il suo musical dei record racimolava ben 14 candidature all’Oscar e ne portava a casa “soltanto” 6 nonostante l’entusiasmo generale e i pronostici schiaccianti a suo favore. Un tonfo di gradimento nelle schiere di Hollywood di cui cineasta americano sembra essersi preso costantemente cura fino ad oggi, firmando un terapeutico viaggio cinematografico nella fabbrica dei sogni del passato lisergico ed ipnotico, dal retrogusto di film-vendetta ben confezionato ed indirizzato al sistema hollywoodiano tout court che pareva averlo ingenerosamente preso di mira.
Una lettera d’amore al cinema sotto acidi
Per questo motivo Babylon ha più le fattezze di una scandalosa ed inopportuna lettera d’amore alla settima arte che non quelle di un omaggio tradizionale all’industria americana che da più di cento anni realizza sogni sul grande schermo. Un affresco spietato e provocatorio di quegli anni che Chazelle dipinge usando i violenti pennelli del parossismo; tutto in Babylon assume toni e valenze esasperate, dalla recitazione dei suoi protagonisti alla messa in atto delle sue scene madri (su tutte, la scandalosa introduzione al festino notturno di felliniana memoria e la cronaca a ritmo indiavolato di una giornata sul set tra imprevisti ed esilaranti conseguenze), fino alla sua struttura narrativa, squilibrata ed orgogliosamente imperfetta.
Un’ambizione cinematografica old style che, pur nel suo ritmo scatenato e nella sua lunghezza fiume, si prende i suoi tempi nel voler raccontare una storia di passione e sacrificio nel mondo dell’intrattenimento dai toni insospettabilmente più maturi e drammatici rispetto al pur agrodolce La La Land. Qui Chazelle, come contemporaneo Icaro, fabbrica da sé delle potente ali per librare il suo volo verso il Sole, firmando con consapevolezza ed una sana dose di incoscienza un lungometraggio sulla settima arte in assoluta e sregolata controtendenza con il panorama cinematografico attuale.
Un film imperfetto, ma dal cuore cinefilo pulsante
Ed in definitiva, lasciano il tempo che trovano anche le accuse mosse a Babylon di essere un pretestuoso esperimento cinematografico di stampo derivativo, alla maniera di Martin Scorsese e del suo scandaloso The Wolf of Wall Street, o del C’era una volta ad Hollywood di Quentin Tarantino. A noi invece l’ultima fatica di Damien Chazelle, a conti fatti, è parsa più un calzante omaggio alle “oscene” rappresentazioni di perversione e dissolutezza del Satyricon di Federico Fellini e all’affresco anticonformista della fine di un’era dello show business del Cabaret di Bob Fosse.
Un potpourri manierista e cinefilo che, pur nella sua sfacciata ed ostinata ambizione, riesce a regalare allo spettatore alcune delle immagini e delle sequenze più inventive e genuinamente commoventi degli ultimi anni; ulteriore riprova del talento strabordante di un regista e sceneggiatore che ha ancora una voglia irrefrenabile di fare cinema esperienziale e vorticoso, imperfetto ma genuinamente frastornante. Da vivere in tutto il suo splendore visivo preferibilmente nel religioso silenzio di una buia sala cinematografica.
La recensione in breve
Il nuovo film scritto e diretto da Damien Chazelle è un turbinio imperfetto ed irresistibile che chiama in causa l'immagine di uno show business volgare e sodomico, omaggiando al contempo il grande cinema di Federico Fellini e di Bob Fosse. Molti lo hanno paragonato a The Wolf of Wall Street a a Tarantino, per noi è uno dei migliori esempi di manierismo generoso ed inventivo.
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