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Home » Film » Casablanca: perché rivederlo (al cinema)

Casablanca: perché rivederlo (al cinema)

Parliamo di Casablanca, il film epocale del 1942 che è tornato in sala, per un periodo limitato, in edizione restaurata.
Max BorgDi Max Borg27 Giugno 2023
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Una scena di Casablanca
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Casablanca è un classico immortale da ormai otto decenni, oggetto di omaggi e parodie e a volte argomento di conversazione in modo inusuale: recentemente, il regista neozelandese Taika Waititi, parlando del concetto di lascito artistico, ha scatenato l’ira funesta dei cinefili online sottolineando – e non a torto – che il più delle volte lo spettatore si ricorda il film ma non per forza il nome del regista, facendo l’esempio del capolavoro di Michael Curtiz. Un capolavoro che periodicamente ritorna nelle sale, come sta facendo adesso in versione restaurata. E noi, per l’occasione, abbiamo voluto tornare sul film e su perché sia auspicabile rivederlo, preferibilmente al cinema.

Un sogno lungo ottant’anni

una immagine di Casablanca
“La materia di cui sono fatti i sogni”, diceva Humphrey Bogart dell’oggetto che tutti volevano ne Il mistero del falco, uscito nel 1941, un anno prima di Casablanca. Un film che per certi versi è stato la prova generale di quello di Curtiz, che propone nuovamente Bogart al fianco di alcuni degli stessi comprimari, provenienti dalla galleria di caratteristi all’epoca sotto contratto alla Warner (Sydney Greenstreet, Peter Lorre), e adatta le atmosfere quasi noir a un racconto romantico su sfondo bellico, nel Marocco del secondo conflitto mondiale (per l’esattezza, siamo nel dicembre del 1941, prima dell’attacco di Pearl Harbor, quando gli Stati Uniti sono ancora neutrali).

Il film che forse, meglio di tutti, esemplifica la creatività possibile all’interno del rigido studio system di allora, per il quale Casablanca era solo uno dei 52 film che la Warner aveva in cantiere per le sale quell’anno (uno a settimana), assegnato alle varie persone sotto contratto senza che avessero libertà di scelta: è ben noto, infatti, che gli sceneggiatori ci abbiano messo un po’, anche a riprese già iniziate, a capire esattamente come finire la storia, al netto di un’imposizione della censura che non si poteva aggirare (per gli standard morali dell’epoca, era categoricamente escluso che Ilsa e Rick potessero continuare la loro relazione adultera). E il finale a cui sono arrivati, con l’aereo che parte e Rick che dà il via alla sua “bella amicizia” con il capitano Renault, è ancora oggi un commiato perfettamente calibrato, ancora più efficace e travolgente sul grande schermo.

“Here’s looking at you, kid”

Una immagine di Casablanca
Volto imprescindibile della Warner nella categoria dei duri, con questo film Bogart è diventato anche idolo romantico, protagonista di un amore tragico e immortale, costruito su misura per scavare al di sotto del cinismo che caratterizzava la maggior parte dei suoi personaggi (Sam Spade su tutti). Ma ancora più fondamentale è il contributo di Ingrid Bergman, l’attrice svedese che, dopo l’arrivo a Hollywood nel 1939, trovò finalmente il grande successo in ambito americano con il ruolo di Ilsa, una performance che smentisce nel giro di cinque minuti l’ironica descrizione che diede di Bergman l’amico inglese John Gielgud (“Ingrid parla correntemente cinque lingue, e non sa recitare in nessuna di esse”).

Un contributo che giustificò ampiamente le trattative fra la Warner e la MGM, con quest’ultima che concesse in prestito la diva scandinava in cambio dei servigi di Olivia De Havilland. E ancora oggi l’eredità di Ilsa è ben presente nell’immaginario hollywoodiano: Rebecca Ferguson, anch’ella svedese, si è esplicitamente ispirata all’illustre connazionale per il personaggio di Ilsa Faust nel franchise di Mission: Impossible. Il giusto tributo a un amore impossibile che continua a strappare lacrime, da rivedere il più spesso possibile. E non goderselo al cinema significa pentirsene, forse non oggi, forse non domani, ma presto, e per il resto della vita.

“You must remember this…”

CasablancaInfine, e soprattutto, rivedere Casablanca in sala è il modo ideale per festeggiare il centenario della Warner Bros., di cui quello di Curtiz è uno dei film emblematici, vero e proprio simbolo dello studio a pari merito con la mascotte ufficiale Bugs Bunny. Perché se il celebre coniglio è il portavoce visivo della major, il capolavoro del 1942 è quello sonoro, grazie alla canzone As Time Goes By. All’epoca un vecchio brano finito del dimenticatoio, grazie al suo essere il leitmotiv dell’amore fra Rick e Ilsa (nonostante le obiezioni del compositore Max Steiner) è divenuto un tormentone nostalgico inscalfibile. E da diversi anni è lui ad accompagnare il logo della Warner, sigla ufficiale che racchiude in sé tanti ricordi di quella materia di cui sono fatti i sogni, dal cantante di jazz che introdusse il sonoro a Hollywood a Jack Nicholson che impazzisce nei corridoi di un albergo, passando per John Wayne che riporta a casa la nipote rapita. E, ovviamente, i due amanti in epoca di guerra che, comunque vada, avranno sempre Parigi.

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