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Home » Film » Catherine Deneuve in Bella di giorno: la doppia vita di Séverine

Catherine Deneuve in Bella di giorno: la doppia vita di Séverine

Nel classico di Luis Buñuel una giovane Catherine Deneuve incarna l’ambiguità indecifrabile di Séverine Serizy, moglie borghese e prostituta.
Stefano Lo VermeDi Stefano Lo Verme8 Settembre 20225 min lettura
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La raffinata compostezza del portamento; l’eleganza classica e spontanea alla Jacqueline Kennedy; il viso diafano incorniciato da una cascata di capelli color biondo oro; lo sguardo limpido, velato a tratti da una pennellata di timidezza. Fin da quando la vediamo seduta su una carrozza, amorevolmente affiancata dal marito Pierre (Jean Sorel), Séverine Serizy ci appare come il ritratto della “donna angelicata”; pertanto, è con un certo sgomento che da lì a pochi minuti assistiamo all’umiliazione della giovane, insultata, legata a un albero e resa oggetto di sevizie. Ed è quanto mai significativo che il nostro ingresso in Bella di giorno avvenga attraverso un sogno, o piuttosto una fantasia erotica: quella vagheggiata da Séverine, ruolo affidato dal regista Luis Buñuel all’allora ventitreenne Catherine Deneuve.

Bella di giorno, secondo capitolo del sodalizio fra il grande regista spagnolo e lo sceneggiatore Jean-Claude Carrière, debutta nelle sale francesi il 24 maggio 1967, dopo essere stato rifiutato dal Festival di Cannes perché considerato troppo scabroso, e registra un enorme successo di pubblico; il 5 settembre approda invece in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, dove tre giorni più tardi si aggiudica il Leone d’Oro come miglior film. Un trionfo che contribuirà alla consacrazione dell’opera più fortunata nell’itinerario di Luis Buñuel e che permetterà alla sua protagonista, Catherine Deneuve, di assurgere a quello statuto di icona abilmente consolidato nei decenni a venire (e certificato a Venezia 2022 con il Leone d’Oro alla carriera), grazie a un personaggio a cui l’attrice parigina saprà conferire ambiguità e fascino in egual misura.

Dalla Cherbourg di Jacques Demy al bordello di Buñuel

Figlia d’arte (entrambi i suoi genitori, Maurice Dorléac e René Simonot, sono stimati attori teatrali), classe 1943, Catherine Fabienne Dorléac sceglie il cognome Deneuve per distinguersi dalla sorella maggiore Françoise Dorléac, a sua volta attrice. Per Françoise e Catherine la notorietà arriva in contemporanea, nel 1964, quando fra l’altro dividono il set in Caccia al maschio di Edouard Molinaro; in quell’anno la Deneuve presta il volto anche alla dolce Geneviève Émery, commessa in un negozio di ombrelli che si innamora del meccanico Guy Foucher (Nino Castelnuovo), spedito a combattere in Algeria. Il film in questione è Les Parapluies de Cherbourg, musical diretto da Jacques Demy e destinato a fare epoca, perfino al di là dell’Atlantico: in America riceve cinque nomination agli Oscar e, mezzo secolo dopo, sarà tra le principali fonti d’ispirazione di Damien Chazelle per La La Land.

Caccia al maschio e Les Parapluies de Cherbourg fanno dunque leva sulla figura di Catherine Deneuve come modello di “brava ragazza” dalla bellezza verginale. Tuttavia l’immagine dell’ingénue le va stretta fin da subito, e lei non esita a dimostrarlo tuffandosi da lì a breve in un ruolo tutt’altro che ‘decorativo’: nel 1965 si immerge infatti nelle paranoie di Carol Ledoux, in preda a mostruose allucinazioni e fobie inconfessabili, in Repulsion di Roman Polanski, fra le pietre miliari del filone degli psico-thriller. La sua intensa performance in Repulsion è la prova di un talento che va ben al di là dell’archetipo della fanciulla mite e radiosa: un archetipo ripreso appunto nel 1967 in Bella di giorno, ma stavolta con lo scopo di smontarlo dall’interno. Perché nel film di Luis Buñuel Séverine è sia la “moglie perfetta”, ammantata da un’aura di purezza, sia una squillo d’alto bordo con lo pseudonimo di Belle de jour.

Il candore imbrattato

Alla Deneuve spetta il compito di incarnare tale dicotomia e renderla credibile sullo schermo, e la sua scelta è quella di recitare in sottrazione, mantenendo sempre una certa “distanza” fra sé e lo spettatore. Quando si reca per la prima volta nel bordello gestito da Madame Anaïs (Geneviève Page), basta qualche dettaglio – la postura, la tensione sul viso – per lasciar trapelare l’insicurezza e il nervosismo di Séverine; e nei pomeriggi trascorsi a prostituirsi nella casa d’appuntamenti, la sua estrazione borghese resta una parte integrante dell’alter ego che si è costruita. Probabilmente, uno dei motivi di turbamento (e, a suo tempo, di scandalo) nella visione del film risiede proprio in questo aspetto: il passaggio da Séverine a Belle de jour non è scandito da una repentina metamorfosi, ma dalla semplice consapevolezza di impulsi, desideri e, forse, di sensi di colpa che la società e l’educazione religiosa (indicativa la sequenza del rifiuto dell’ostia) le impediscono di rendere manifesti.

Da qui derivano lo charme e, soprattutto, il mistero insolvibile della protagonista: vittima per ‘gioco’ e carnefice di se stessa, ma senza rivelare appieno il piacere provato nell’abbandonarsi alle maglie della passione. Quello di Séverine è piuttosto un languore privo di malizia, che Catherine Deneuve esprime con equilibrio impeccabile fra carnalità e autocontrollo; come una tipica Hitchcock blonde, insomma (non a caso il regista di Psycho farà carte false per averla in The Short Night, progetto purtroppo mai realizzato), ma al servizio dell’ironia caustica di Buñuel. La diva francese e il maestro del surrealismo torneranno a collaborare tre anni dopo in Tristana, altra punta di diamante della filmografia buñueliana, ma è Bella di giorno a far entrare la Deneuve nell’immaginario collettivo con un personaggio seducente eppure inafferrabile, emblema del candore imbrattato sul confine fra sogno e realtà.

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