Rose, intorpidita dal gelo, si trova sulla famigerata zattera improvvisata mentre guarda il cielo notturno del nord Atlantico. Le stelle che ammiriamo noi spettatori insieme con lei forse sono le stesse che guardarono i naufraghi del Titanic. Conoscendo il perfezionismo di Cameron non ci meraviglieremmo se il cineasta canadese avesse studiato la posizione degli astri visibili quella notte dal luogo del naufragio. Ciò che importa però è lo sguardo sognante che Rose rivolge ad essi, lo stesso nostro, ogni volta che riguardiamo il film. Anche noi, in un certo senso, come i naufraghi del Titanic, ci sentiamo superstiti di un cinema che non c’è più, affondato insieme con il transatlantico 25 anni fa. L’uscita in sala dell’edizione 3D, rimasterizzata in 4K, di Titanic può essere l’occasione per qualche riflessione.
Ero lì il giorno in cui la forza di Cameron non venne meno
Il pubblico che, nel Gennaio del 1998, andò a vedere Titanic si trovò davanti ad uno spettacolo di tre ore che che passarono in un soffio in sale stracolme dove le emozioni collettive viaggiavano veloci e potenti nei cuori del pubblico dell’epoca. Molti giovani cinefili andarono a vedere Titanic attirati dal fatto che fosse realizzato dall’autore dei due Terminator e del più bel sequel della storia del cinema, insieme ovviamente col Padrino Parte II. Nelle corse a perdifiato di Jack e Rose attraverso i corridoi allagati del gigantesco piroscafo, accompagnati dalle note incalzanti e metalliche di James Horner, che tanto ricordavano quelle delle scene più concitate di Aliens, non era difficile riconoscere la mano inconfondibile e sapiente di Cameron, maestro nel mettere in scena complicate scene d’azione senza dimenticare mai le emozioni. Ciò che destò meraviglia fu invece la naturalezza con cui l’autore seppe maneggiare una storia d’amore in costume, che sembrava esulare dalla sua cifra abituale, ma che seppe intercettare la sensibilità di milioni di persone in tutto il mondo.
Quando il cinema era cinema
Quando il bambino era bambino iniziava così il poetico Cielo sopra Berlino Wim Wenders. In maniera analoga ci sentiamo di dire per l’epoca in cui uscì il kolossal di Cameron, nonostante fosse per molti un periodo già di decadenza: quando il cinema era cinema. Oggi non è più possibile pensare e produrre un cinema popolare e spettacolare come Titanic, paragonabile ai kolossal classici della Hollywood della Golden Age, che coniughi raffinatezza di regia, tecnica e potenza della visione con una storia universale e fruibile da tutti. Negli anni ’90 non era infrequente che titoli come Braveheart, Schindler’s List, Il paziente inglese, Salvate il soldato Ryan e Shakespeare in Love incassassero. Era ancora proponibile un certo tipo di kolossal che, alla stregua di classici del passato come Lawrence d’Arabia o Via col vento, attirasse le folle nelle sale per prendere parte ad un evento collettivo emozionale e indelebile nella memoria. Per coloro che all’epoca la vissero in piena consapevolezza, la visione di Titanic in sala fu proprio come entrare a far parte della storia del cinema, anche a causa del delirio mediatico che proseguì per vari mesi e che provocò in molti una contro-reazione, chi per il film in toto, chi nei confronti delle onnipresenti (in tutti i media) e stucchevoli note di Celine Dion, sulle quali lo stesso Cameron inizialmente non era convinto. Riascoltate oggi, in una sala piena solo a metà, pur con l’esaltazione tecnica del 3D e l’incredibile immersività dell’iMax, quelle note risultano ancor più struggenti, sia per la nostalgia di un tempo della vita in cui molti di noi erano più giovani, sia per il ricordo di un tipo di cinema che oggi non è più possibile vivere nelle sale cinematografiche.
È ancora possibile oggi?
Con l’eccezione del secondo Avatar, miracolo realizzato ancora dal nostro canadese preferito (insieme a Cronenberg chiaramente!), sembra che oggi l’emozione del rito collettivo sia possibile soltanto con i film di supereroi. O meglio lo era, vista ormai la stanca deriva della fase 4 della Marvel e le aspettative ormai decisamente più basse rispetto alle prossime uscite della Casa delle Idee. Ma non vogliamo entrare in un dibattito su cui è stato detto tanto e che, nel momento in cui sono intervenuti, a ragione, cineasti della New Hollywood anni ’70 del calibro di Scorsese e Coppola nonché, recentemente anche Iñárritu e Tarantino, si è fatto decisamente più aspro. I grandi autori, attuali e passati, oggi riescono a realizzare i film che vogliono solo grazie alle piattaforme come Netflix, con un conseguente passaggio in sala ridotto e, comprensibilmente, visto male dagli esercenti che, ormai, tendono a non programmarli proprio. Ma non è solo questo il problema. La carta bianca data da Netflix ad autori come Iñárritu, Cuaron e lo stesso Scorsese non aiuta a riportare in auge un cinema in cui visione d’autore e fruibilità popolare riescano a trovare una felice alchimia, come succedeva fino a una ventina di anni fa. La bulimia, l’autoindulgenza e l’autoreferenzialità di un titolo come Bardo è un esempio lampante di questa situazione. Quando i grandi cineasti dovevano avere a che fare con il pubblico in sala, ed erano supportati da produttori lungimiranti, si riusciva a trovare una quadra tra le cifre autoriali e la sensibilità di un pubblico vasto. Oggi sembra che questo non sia più possibile, nemmeno a Spielberg che, con il remake di un classico come West Side Story e la bellissima storia autobiografica e cinefila di The Fablemans, non riesce più a portare le grandi masse al cinema. L’ultimo re Mida a riuscirci è il nostro Cameron, che con la riedizione del venticinquesimo anniversario di Titanic, ci ricorda quanto era ancora magnifico il cinema negli anni Novanta. Chi riuscirà oggi a raccogliere il suo testimone?