Il nostro primo incontro con Daniel Plainview avviene nell’oscurità di una miniera del New Mexico. L’ombra del luogo e la tesa del cappello dell’uomo ci impediscono di distinguere i tratti del suo volto: ciò che possiamo osservare è una creatura possente, dalla fisicità imperiosa, che con metodica energia abbatte il piccone contro la parete della grotta. Solitario, silenzioso (l’incipit del film è un lungo prologo completamente muto), Daniel Plainview ci mostra la sua strenua lotta per la sopravvivenza dopo l’incidente che lo ha scaraventato sul fondo della miniera, con una gamba spezzata: una lotta per riemergere dagli abissi, come un titano determinato a ribellarsi al castigo di un dio avverso. La scena d’apertura de Il petroliere già ci consente di definire alcuni tratti-chiave del personaggio incarnato da Daniel Day-Lewis: ma è solo il preludio alla costruzione di uno dei più memorabili antieroi del cinema del ventunesimo secolo.
Il petroliere, trasposizione del romanzo Petrolio! di Upton Sinclair, fa il suo debutto nelle sale americane il 26 dicembre 2007. Si tratta di uno dei progetti più ambiziosi, a livello sia produttivo che narrativo, per il regista e sceneggiatore californiano Paul Thomas Anderson: un netto cambio di rotta rispetto alle pellicole corali che, sul finire degli anni Novanta, lo avevano tramutato nell’enfant prodige di Hollywood, nonché l’opera della sua assoluta consacrazione fra i grandi cineasti dei nostri tempi. Accolto con entusiasmo unanime dalla critica, Il petroliere si rivela anche il maggior successo di pubblico della carriera di Anderson, riceve otto nomination agli Oscar e permetterà al cinquantenne Daniel Day-Lewis di disegnare il suo ruolo più impressionante e acclamato, tanto da guadagnarsi il premio Oscar e il Golden Globe come miglior attore in virtù di una performance destinata ad entrare negli annali.
Daniel Day-Lewis: dagli esordi al set di Paul Thomas Anderson
Del resto, quando collabora per la prima volta con Paul Thomas Anderson ne Il petroliere, Daniel Day-Lewis è già uno degli interpreti più stimati della sua generazione, a dispetto di una filmografia relativamente ristretta. Nato a Londra nel 1957 dal poeta Cecil Day-Lewis e dall’attrice Jill Balcon, con radici irlandesi dal ramo paterno ed ebraiche da quello materno, Daniel Day-Lewis mette fine a un’adolescenza turbolenta decidendo di dedicarsi alla recitazione e cominciando a frequentare una scuola di teatro a Bristol. Ai primi passi in palcoscenico seguiranno, al principio degli anni Ottanta, quelli in televisione e al cinema, con una fugace apparizione nel kolossal Gandhi di Richard Attenborough, una parte più sostanziosa nel dramma storico Il Bounty e, nel 1985, due parti diametralmente opposte che metteranno in luce la sua versatilità: il giovane punk omosessuale di My Beautiful Laundrette di Stephen Frears e un impettito fidanzato di alto lignaggio in Camera con vista di James Ivory.
Da lì a breve arrivano i primi ingaggi in qualità di protagonista, fra cui L’insostenibile leggerezza dell’essere di Philip Kaufman e Il mio piede sinistro di Jim Sheridan, in cui la sua potente espressività nei panni di un uomo affetto da paralisi cerebrale gli farà ottenere il primo dei suoi tre Oscar. Da lì in poi, il percorso professionale di Day-Lewis sarà scandito da pochi ma incisivi ruoli, fra cui L’ultimo dei Mohicani di Michael Mann, L’età dell’innocenza di Martin Scorsese, altri due drammi firmati da Jim Sheridan (Nel nome del padre e The Boxer) e in seguito, nel 2002, il capoclan Bill il Macellaio in Gangs of New York. Il suo feroce e carismatico villain nel film di Scorsese presenta diverse analogie con Daniel Plainview, magnate del petrolio che, nella California del 1911, giunge nella piccola comunità rurale di Little Boston insieme al figlioletto adottivo H.W. (Dillon Freasier) allo scopo di convincere gli abitanti a fargli impiantare delle trivelle.
Il demone della competizione
Abile affabulatore, ma con un’eloquenza che ha ben poco di spontaneo; all’occorrenza cortese, pur senza risultare mellifluo, ma incapace di celare del tutto l’imperiosità che gli ribolle negli occhi; determinato a mantenere il controllo, sebbene dentro di sé covi la forza di un vulcano in procinto di eruttare: Daniel Plainview è un individuo perspicace e astuto, consapevole delle strategie da applicare per raggiungere i propri obiettivi, ma al contempo animato da un orgoglio che fatica a reprimere. A metterlo alla prova, fin dal suo arrivo a Little Boston, è Eli Sunday, interpretato da Paul Dano: guida spirituale per i fedeli della chiesa della Terza Rivelazione, il ragazzo riesce subito a decifrare l’opportunismo insito nell’offerta di Plainview e a prenderlo in contropiede, scoprendo le carte in tavola e costringendolo a un compromesso che risulti vantaggioso per entrambi. Il loro primo dialogo, al tavolo della famiglia Sunday, è un confronto fra due uomini in grado di leggere l’uno le intenzioni dell’altro e legati pertanto da una sotterranea rivalità.
«Io sento la competizione in me. Io… non voglio che altri riescano», confessa Plainview al fratellastro Henry (Kevin J. O’Connor), l’unico con il quale sia disposto a deporre la maschera. Dopo l’esplosione che costa l’udito a H.W., in Plainview assistiamo a una progressiva trasformazione che si consuma, a poco a poco, nello sguardo di Daniel Day-Lewis: uno sguardo sempre più acceso e allucinato, mentre il protagonista abbandona la sua studiata freddezza per far posto a una paranoia ammantata di rabbia e lasciare libero sfogo alla propria natura di predatore. Quella natura che prenderà inesorabilmente il sopravvento molti anni più tardi, quando Plainview, prigioniero della fortezza di solitudine che ha eretto attorno a sé, avrà il suo ultimo faccia a faccia con Eli. «Io bevo il tuo frullato!», è la frase derisoria pronunciata da Day-Lewis come un ruggito, mentre il suo petroliere si avventa con ferina sete di sangue sull’ex rivale ormai sconfitto. Un epilogo beffardo e atroce, in cui l’attore britannico dà voce, volto e corpo alla mostruosità di un personaggio che ha abdicato a ogni residuo di umanità.