Il 15 luglio 1988 usciva nelle sale americane Trappola di cristallo di John McTiernan, il primo capitolo del franchise di Die Hard e il film che consacrò come star del cinema un certo Bruce Willis, a quel punto meglio noto come attore televisivo. Una crudele ironia della sorte vuole che il trentacinquesimo anniversario del debutto di John McClane abbia luogo nel 2023, l’anno in cui, il 31 marzo, è uscito Assassin, il lungometraggio con cui Willis si è congedato dal pubblico quasi esattamente un anno dopo l’annuncio del suo ritiro dalle scene per motivi di salute (l’attore, che al momento dell’annuncio aveva ben undici titoli in post-produzione, soffre di demenza frontotemporale). Lo stesso McTiernan, che era ospite del Neuchâtel International Fantastic Film Festival in Svizzera la settimana prima dell’anniversario e ha presentato il film in occasione di una proiezione speciale all’aperto, ha commentato il suo rapporto attuale con Willis in un’intervista: “Sa che siamo amici, ma non si ricorda perché.”
Un altro tipo di eroe
McTiernan non era nuovo al tipo di operazione che metteva in scena Die Hard: già l’anno prima, con Predator, aveva messo alla berlina il machismo hollywoodiano degli anni Ottanta facendo massacrare da un alieno i classici mercenari palestrati, con Arnold Schwarzenegger costretto a ricorrere all’astuzia e non ai muscoli per sopravvivere; McClane, un poliziotto ordinario che a momenti si ritrova più malconcio dei criminali tedeschi a cui spara ripetutamente nel corso della pellicola, è un’ulteriore passo in quella direzione a base di decostruzione e ironia, e non sorprende quindi che Willis, volto della serie comica Moonlighting, fosse la scelta giusta per la parte, anche se inizialmente nel marketing la sua presenza fu essenzialmente nascosta, sottolineando invece l’importanza dell’edificio, di quella trappola di cristallo del titolo usato per alcuni mercati internazionali.
Una fine agli antipodi
Ben altro approccio, al contrario, quello usato per la stragrande maggioranza degli ultimi film girati dal divo, all’epoca ritenuti puro esercizio di cinismo commerciale ma, col senno di poi, forse un tentativo maldestro di accumulare una somma rispettabile per un possibile pensionamento anticipato (senza dimenticare la necessità di mantenere la seconda moglie e due figlie piccole): se nel 1988 Willis poteva girare un film all’anno, durante la pausa tra una stagione televisiva e l’altra, trent’anni dopo ne faceva praticamente uno al mese, con un contratto di ferro che prevedeva un milione di dollari al giorno per un massimo di tre giorni di riprese (spesso ridotti a uno solo per motivi tecnici, soprattutto dal 2020 in poi quando i sintomi della malattia hanno cominciato a manifestarsi e l’attore si chiedeva apertamente cosa facesse sul set). Un periodo artisticamente infelice, fatta eccezione per poche incursioni in territori più solidi come le rinnovate collaborazioni con M. Night Shyamalan o il thriller Motherless Brooklyn di e con Edward Norton (per il quale, stando allo stesso Norton, Willis accettò di lavorare per il minimo sindacale, facendo sì che il film ricevesse il via libera definitivo della Warner Bros.). E non vi erano dubbi su quanto fosse importante il divo a livello pubblicitario: volto e nome schiaffati a caratteri cubitali sui poster, anche quando l’effettivo minutaggio del suo ruolo era a volte equiparabile a un cameo.
Duro a morire
Vedendo quei film fa quasi male ogni volta che Willis è in scena: svogliato (nel migliore dei casi), stanco, raramente inquadrato insieme ai suoi compagni di scena; anzi, spesso – per il budget non elevatissimo di alcune produzioni – è fin troppo palese che la sua parte sia stata girata separatamente. Anche quando, come riportato all’epoca del suo ritiro dalle scene, doveva trattarsi di una rimpatriata gioiosa come quella con John Travolta, uno dei tanti attori di un certo peso coinvolti in queste operazioni che oggi paiono un tantino eticamente discutibili (è difficile immaginare che nessuno su quei set fosse al corrente delle condizioni di Willis, al di fuori degli assistenti personali che gli imboccavano le battute tramite auricolari). Un declino che, complice la mole di lavoro portata a termine prima dell’addio al cinema, ha fatto sì che la carriera finisca proprio mentre si festeggia l’anniversario del film che quella carriera l’ha cambiata per sempre, tramutando un simpatico detective televisivo in grande eroe cinematografico. Uno degli ultimi grandi eroi, per storpiare il sottotitolo italiano di un altro lungometraggio di McTiernan. Yippee-ki-yay, Mr. Willis!