E se ritrovassimo Danny Torrance da adulto? Da quella domanda, nel 2013, è nato il romanzo Doctor Sleep, con cui Stephen King ha rivisitato le tematiche di Shining e, per l’occasione (nella postfazione), ribadito il suo scarso apprezzamento per l’adattamento del precedente romanzo a cura di Stanley Kubrick, reo di aver modificato troppe cose rispetto alla fonte. Sei anni dopo è arrivato il film di Mike Flanagan, uno dei maggiori adattatori delle opere di King negli ultimi tempi, che è al contempo una trasposizione del libro del 2013 e un sequel del lungometraggio di Kubrick, un equilibrio che l’autore originale ha faticato a digerire nelle prime fasi della lavorazione, salvo poi farsi convincere dal cineasta. Un elemento importante dell’esito artistico della pellicola, come proviamo a chiarire in questa nostra spiegazione del finale di Doctor Sleep. Ovviamente l’articolo contiene spoiler.
Ritorno all’Overlook
Dopo anni di alcolismo e soppressione dei suoi poteri al minimo indispensabile (se ne serve per aiutare i pazienti in fin di vita nell’ospizio in cui lavora), Dan Torrance si vede costretto a tornare all’albergo che tempo addietro cercò di ucciderlo per salvare la piccola Abra, anch’ella dotata di capacità paranormali. Dopo una conversazione con il barista, che è anche un avatar di suo padre, Dan riesce a sconfiggere i vampiri psichici che volevano uccidere Abra, facendo divorare la loro leader dai fantasmi dell’Overlook. Fantasmi che poi cercano di eliminare la ragazza prendendo il controllo di Dan, il quale però ha già messo in atto un piano d’emergenza attivando la caldaia dell’albergo, che rade al suolo tutto con lui ancora dentro, mentre Abra riesce a fuggire. Qualche tempo dopo, il fantasma di Dan consola Abra dandole consigli su come usare le sue abilità, consigli che lei poi mette in atto confrontandosi con una presenza che si è rifatta viva: la donna della stanza 237.
Dal libro al cinema
È un finale molto diverso da quello del romanzo, per il semplice motivo che nel Doctor Sleep cartaceo l’albergo è già stato distrutto ai tempi da Jack Torrance, in circostanze simili a quelle di Dan nel film (solo che nel libro di Shining l’esplosione della caldaia non è causata apposta dai personaggi), e così lo scontro finale ha luogo fra le rovine dell’edificio, dove Torrance figlio si reca per avere accesso al pieno potenziale necessario per sconfiggere Rose, compreso un aiuto dall’aldilà da parte di Jack, il quale saluta il figlio alla fine della battaglia. Il libro si conclude con Dan che aiuta Abra chiarendo aspetti legati all’alcolismo che circola nella loro famiglia (ebbene sì, nel romanzo salta fuori che la madre di Abra è la sorellastra di Dan, frutto di una scappatella di Jack quando era ancora un insegnante), e poi usa i suoi poteri per agevolare la morte di un collega con cui precedentemente era stato in conflitto.
King vs. Kubrick
Una volta ingaggiato per adattare Doctor Sleep che, come il film di Shining, era in mano alla Warner Bros., Mike Flanagan ha deciso di non limitarsi a raccontare la storia di Dan Torrance adulto, ma di fare i conti con l’eredità del lungometraggio di Kubrick, la cui iconografia era troppo difficile da ignorare (e la filologia è davvero notevole, poiché solo un’inquadratura – quella del sangue che esce dall’ascensore – è stata ripresa tale e quale perché troppo complicata da ricreare sul set). C’era solo un ostacolo: Stephen King, il cui disprezzo per la versione di Kubrick – principalmente per l’assenza dell’analisi dell’alcolismo (elemento autobiografico), la scelta di Jack Nicholson per il ruolo di Torrance padre e il finale molto diverso – era talmente forte che per avere il permesso di fare un secondo adattamento per il piccolo schermo, questa volta (fin troppo) fedele alla fonte, l’autore dovette impegnarsi a non criticare più con la solita veemenza il film del 1980. E difatti la prima reazione dello scrittore è stata a dir poco scettica: perché includere Kubrick in Doctor Sleep?
La rivincita della caldaia
Il ragionamento di Flanagan ha permesso al sequel di riconciliare due entità in apparenza incompatibili: il film rispetta le tematiche care a King, sacrificando solo la sottotrama della parentela fra Dan e Abra che avrebbe inutilmente appesantito la trasposizione, e allo stesso tempo rende omaggio all’estetica inquietante e ipnotica di uno dei più acclamati e studiati horror della storia di Hollywood. E poi arriva quel finale, che trasporta il primo romanzo nel mondo del secondo film, una rivalsa a scoppio ritardato nei confronti della grande infedeltà narrativa di Kubrick: Dan diventa l’avatar del padre, le cui colpe si abbattono sul figlio per dare al racconto l’elemento redentivo che mancava all’appello quattro decenni addietro e radere finalmente al suolo uno dei più noti luoghi di morte della narrativa del brivido. Una sovrapposizione pressoché perfetta di due universi che non dovevano incontrarsi, e che a sorpresa hanno creato un tutt’uno intelligente e – termine raramente associato con la poetica di Kubrick – commovente.