Il viaggio tra le dune sabbiose del pianeta Arrakis riprende esattamente da dove lo avevamo lasciato tre anni fa, quando nel 2021 aveva debuttato nelle sale cinematografiche di tutto il mondo l’impressionante Dune di Denis Villeneuve. Opera magna per grande schermo tratta dalle pagine pubblicate negli anni ’60 dallo scrittore americano Frank Herbert, il primo capitolo cinematografico fu un discreto successo di pubblico e di critica del settore; un primo appuntamento interlocutorio che era riuscito miracolosamente a sintetizzare i complessi temi e i sottotesti del libro cult di Herbert, a cavallo tra spettacolo visivo e sonoro, necessario world-building e scavo psicologico dei suoi (tanti) personaggi.
Con Dune: Parte Due, finalmente nelle nostre sale a partire da mercoledì 28 febbraio con Warner Bros. Pictures, il regista Villeneuve (ancora una volta coadiuvato in sceneggiatura da Jon Spaiths) alza l’asticella degli obiettivi cinematografici e non tradisce le promesse fatte qualche anno prima. Proseguendo un percorso di adattamento filologico e rispettosissimo del romanzo, il cineasta canadese regala agli spettatori del 2024 un secondo capitolo di proporzioni maestose, degno erede spirituale di un certo L’impero colpisce ancora del 1980, che stagliandosi al centro di un’altra saga sci-fi di magnitudo altissima, cambiò per sempre le carte in tavola del fare cinema d’intrattenimento.
Dal romanzo al grande schermo
Epopea capace di trascendere la fantascienza (qui la nostra recensione del sequel in arrivo nelle sale), Dune: Parte Due non lascia spazio all’indugio ed inizia esattamente dove avevamo lasciato i nostri eroi nelle ultimissime sequenze del primo capitolo del 2021, tra le insidiose dune desertiche del pianeta Arrakis. In questo secondo appuntamento con il ciclo di romanzi di Frank Herbert, il duca Paul Atreides (Timothée Chalamet) si unisce ai Fremen e intraprende un viaggio spirituale e marziale per diventare Muad’Dib, il messia tanto atteso dalla popolazione guerriera nomade che abita l’alto deserto di Arrakis. Nel frattempo, Paul dovrà anche cercare di scongiurare l’orribile futuro intravisto nelle sue visioni: una guerra santa combattuta in suo nome, destinata ad allargarsi a tutto l’universo conosciuto.
L’approccio di Denis Villenuve e Jon Spaiths alle pagine pubblicate a metà degli anni ’60 dallo scrittore americano è squisitamente filologico. Come accaduto per il film d’esordio di tre anni prima, il regista canadese porta avanti un discorso cinematografico e metatestuale di assoluto rispetto e sintesi delle parole e dei contenuti (non sempre facili) di Frank Herbert; perché tra le tante ragioni per le quali Dune: Parte Due è un sequel semplicemente miracoloso, c’è quella della sua calibratissima sceneggiatura. Nella pur impegnativa durata di 166 minuti, il sequel di Villeneuve non lascia indietro nulla, costringe lo spettatore a familiarizzare con le insidie e i pericoli del pianeta Arrakis, con gli usi e i costumi del popolo Fremen, ad empatizzare con l’etica dilaniante di un Paul Atreides destinato ad un futuro incerto e messianico, a tremare di fronte all’oscura e psicotica potenza della famiglia Harkonnen, a prostrarsi di fronte ad un severo ed enigmatico Imperatore Galattico, qui interpretato da Christopher Walken.
Un sequel di epiche proporzioni
Lungi dall’essere un secondo appuntamento votato all’azione pura, Dune: Parte Due ricompensa la pazienza dello spettatore con un sequel di epiche proporzioni, in tutti i sensi. Proporzioni monumentali sia “ad altezza di personaggio” che nella messa in scena delle sequenze più visivamente abbacinanti. Una regia, quella di Denis Villeneuve in questo secondo capitolo sci-fi, tutta giocata sull’alternanza (efficacissima) tra campi e controcampi, tra panoramiche da mozzare il fiato e primi e primissimi piani dei suoi protagonisti. Facile quindi per lo spettatore perdersi nel blu intenso degli occhi dei Fremen, in quelli di Paul Atreides costretto a fare uso della magica spezia che dona il potere ambitissimo della preveggenza, oppure a tu per tu con lo spettrale pallore delle minacciose teste glabre della famiglia Arkonnen, su tutte quella della new entry Feyd-Rautha interpretata da un intensissimo e schizzoide Austin Butler, finalmente lontano dal perfezionismo un po’ leccato del suo Elvis Presley per Baz Luhrmann.
Dune: Parte Due è un mirabile esempio di manicheismo cinematografico: da un lato il peso della bilancia spinge verso uno sguardo antropologico e fedele delle credenze, le usanze ed il tessuto socio-culturale delle diverse famiglie feudatarie che governano la misteriosa galassia immaginata da Herbert, dall’altra Villeneuve riesce ad enfatizzare in egual misura tutto il carico immaginifico ed ancestrale delle gesta di Paul Atreides, protagonista di un rinnovato viaggio dell’eroe da manuale di narrazione. Lo stesso manuale, ideato dallo scrittore americano a cavallo degli anni ’60, che ha influenzato tutta una letteratura di genere e, di conseguenza, la forma del grande cinema d’intrattenimento a venire.
Bentornati ad Arrakis
Sia tra le pagine stampate di un libro fantasy o di fantascienza attuale o nelle migliori saghe cinematografiche e televisive di oggi, non si sfugge all’influenza artistica di Frank Herbert; che per la letteratura sci-fi ha avuto lo stesso, deflagrante peso che negli anni ’50 si addossò John Ronald Reuel Tolkien a proposito dell’immaginario fantasy. Non è difatti un caso che l’approccio adattivo dalla pagina al grande schermo di Denis Villeneuve per la saga di Dune sia per certi versi equiparabile a quello che poco più di venti anni fa allestì il regista neozelandese Peter Jackson con la sua trilogia dedicata a Il Signore degli Anelli.
Un progetto cinematografico da tanti ritenuto impossibile, infilmabile, ma che venne ripagato invece da un’accoglienza senza precedenti da parte della critica del settore e di un pubblico molto ampio, a cui venne consegnata l’epopea del Nuovo Millennio per definizione. Uno scacco matto artistico fino ad oggi, a distanza di venti anni dall’uscita nelle sale italiane del Il Ritorno del Re, considerato insuperabile per scrittura, regia, interpretazioni e comparto tecnico; fino però all’arrivo di Denis Villeneuve, che al timone dell’adattamento di questi romanzi cult rivaleggia con Jackson per devozione filologica alla fonte letteraria, plasmando al contempo un universo immaginario che in Dune: Parte Due è in vertiginosa espansione di personaggi, di idee, di luoghi, di contesti.
Dune: Parte Due è il nuovo L’impero colpisce ancora?
Proprio come a partire dalla fine degli anni ’70 fece George Lucas con la sua trilogia di Guerre Stellari; che in nuce, tra omaggi al grande cinema western del passato e certe narrazioni sci-fi su carta stampata, era il più lampante esempio cinematografico di quanto le idee e i contenuti di Frank Herbert stavano di lì a poco per cambiare il corso del cinema mainstream. Se quindi il primo Dune può essere accostato alle magniloquenti ambizioni di Una nuova speranza, Parte Due è a tutti gli effetti L’impero colpisce ancora della Generazione Z. Per obiettivi, sacralità della narrazione epopeica, universo espanso e portata di magnitudo storica per lo stato di salute del cinema pop del proprio tempo.
Una cesura rivoluzionaria, quella operata da Denis Villeneuve in questo nuovo capitolo (la saga cinematografica con Timothée Chalamet e Zendaya sarà una trilogia che coprirà anche gli eventi del romanzo sequel Messia di Dune), che riporta il grande blockbuster contemporaneo ad un ideale anno zero dal quale ripartire verso nuovi ed audaci progetti mainstream, capaci di ripagare la pazienza e l’intelligenza di un bacino di spettatori contemporanei alla ricerca di un’epopea che ne sappia definire la generazione in corso. Bentornati ad Arrakis, finalmente.