Correva l’anno 2017, e Dean Devlin, co-sceneggiatore e co-produttore dei film di Roland Emmerich, esordiva come regista firmando Geostorm, un progetto dove erano evidenti le influenze del collaboratore teutonico: un disaster movie dalla premessa intrigante – in questo caso un satellite costruito per impedire i disastri climatici, ma che viene sabotato al fine di causarli – e con un cast tecnicamente in sintonia con lo spirito non particolarmente serioso del lungometraggio (in primis Gerard Butler, per l’occasione oggetto del trattamento riservato a Liam Neeson nei film d’azione, con dialoghi che spiegano la sua origine europea in caso l’accento americano avesse delle défaillances). E, ovviamente, con un non tanto sottile contenuto politico, che fa parte di ciò di cui vogliamo parlare nella nostra spiegazione del finale di Geomstorm. Ovviamente, questo articolo contiene spoiler.
Fratello, dove sei?
Geostorm è principalmente la storia di due fratelli: uno, con le fattezze di Gerard Butler, mandato nello spazio per indagare sul malfunzionamento del satellite che lui stesso aveva costruito ai tempi; l’altro, con il volto di Jim Sturridge, rimasto sulla Terra per coordinare il tutto con il governo americano. Le due cose entrano in collisione nella parte finale della pellicola, dove sembra che il fratello in orbita sia destinato a sacrificarsi per scongiurare le minacce imminenti (ma ovviamente si salva all’ultimo, tornando a lavorare alla seconda incarnazione del progetto alla fine del film), mentre l’altro scopre che all’origine del sabotaggio di Dutch Boy – nome assegnato al satellite in riferimento alla celebre storia del ragazzino olandese che infilò il dito nella crepa di una diga per impedire un’alluvione – c’è nientemeno che il Segretario di Stato, che ha ordito un complotto con il duplice scopo di eliminare le nazioni che lui considera nemiche degli States e togliere di mezzo tutti coloro che lo precedono nell’ordine di successione per arrivare alla Casa Bianca.
(Non) essere Roland Emmerich
Per il suo gusto per la distruzione sullo schermo, nonché la sua passione per la messa in scena di occasionali complotti (vedi alla voce Anonymous, sulla presunta “vera” paternità delle opere di Shakespeare), Roland Emmerich è spesso stato etichettato come cineasta di destra, cosa che lui stesso trova ridicola essendo ciò che il partito repubblicano tende a odiare: immigrato, ecologista e apertamente gay. E viene il sospetto che in mano a lui un film come questo, uscito un anno dopo l’insediamento di Donald Trump, avrebbe avuto una carica politica maggiore, tramite il messaggio dell’antagonista che vuole servirsi del sistema di difesa per scopi personali, distruggendo parti non indifferenti del pianeta per diventare il Presidente degli Stati Uniti. Un’idea che in mano al solo Devlin, però, evidenzia quanto la prossimità creativa e produttiva non sia sufficiente per replicare l’energia ignorante del cinema del collega.
Ma forse è anche indice di come un certo tipo di disaster movie fosse già una reliquia d’altri tempi, come i due sodali avevano potuto constatare l’anno prima con l’esito commerciale non entusiasmante del secondo Independence Day. E lì non c’erano tutti i tempi morti che rendono insostenibile la carica propulsiva di Geostorm e insipida tutta la parte legata al governo. A suo modo, un precursore di Greenland, sempre con Gerard Butler, come lezione sull’arte di rendere noiosa la fine del mondo.