Con i risultati degli Oscar 2024 cala il sipario sulla lunga stagione dei premi di quest’anno. A dominare la 96° edizione degli Academy Awards è stata, senza troppi scossoni, Oppenheimer di Christopher Nolan con ben 7 statuette, lo stesso sostanzioso numero che lo scorso anno aveva ottenuto Everything Everywhere All At Once. Un’edizione all’insegna del grande cinema d’autore più di ogni altro anno precedente, con un occhio anche al mestiere della settima arte al di fuori dei confini statunitensi.
A guardare difatti i vincitori di questa storica edizione 2024 degli Oscar, c’è da riflettere su quanto il voto congiunto dei membri votanti oltreoceano ha avuto un impatto sui titoli e gli interpreti che hanno alzato stanotte il trofeo più ambito di Hollywood; tanto che molte delle categorie più importanti sono state sostanzialmente la copia carbone di quelle premiate qualche settimana prima dai Bafta, i riconoscimenti cinematografici del cinema britannico. E c’è una ragione dietro a tutto questo.
Una cerimonia senza troppi colpi di scena
Partiamo dalle buone notizie: la cerimonia televisiva dei 96° Oscar, pur nella sua tradizionale durate di tre o mezza circa, è stata leggera, snella, senza momenti di stanca. Accolta da un monologo al fulmicotone di Jimmy Kimmel, ha inframezzato le premiazioni di ogni singola categoria con i momenti musicali dedicati non solo alle cinque canzoni originali candidate alla statuetta, ma anche ad un toccante interludio In Memoriam sulle note di Partirò del nostro Andrea Bocelli, sul palco assieme al figlio Matteo. Una struttura di telecast all’insegna della migliore tradizione degli Academy Awards, che hanno addirittura richiamato una graditissima formula di presentazione che nel 2009 aveva fatto letteralmente furore.
Difatti, nel corso della cerimonia che fu presentata da uno smagliante Hugh Jackman, cinque interpreti (sia maschili che femminili) precedentemente vincitori della statuetta sono saliti sul palco del Dolby Theatre per omaggiare ogni singolo candidato nelle rispettive quattro cinquine attoriali. Senza clip, ma solo colleghi attori del passato e del presente che tessono le lodi del candidato, fino alla fatidica apertura delle buste, mai come quest’anno ricche di sorprese e di riflessioni sullo status quo dell’Academy in costante mutamento.
Come ai Bafta, così agli Oscar
Eh già, non è difatti un caso che i risultati finali degli Oscar 2024 siano stati, nella loro quasi interezza, una ripetizione di quelli dei Bafta che si sono tenuti lo scorso 18 febbraio a Londra. I riconoscimenti del cinema britannico avevano premiato Oppenheimer, Christopher Nolan, Cillian Murphy, Emma Stone, Robert Downey Jr. e Da’Vine Joy Randolph; senza contare i due trofei alle sceneggiature, assegnati rispettivamente ad Anatomia di una caduta e American Fiction. Tutti titoli e performance che l’Academy ha replicato passo dopo passo, segnando una cesura netta rispetto allo scorso anno, quando Bafta ed Academy non furono esattamente in sintonia (a Londra incensarono Niente di nuovo sul fronte occidentale, a Los Angeles gli preferirono Everything Everywhere All At Once). Perché è accaduto tutto questo?
Perché anno dopo anno i membri votanti dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences sono diventati sempre di più un corpus non ad esclusivo appannaggio della cinematografia prettamente statunitense, bensì organizzazione di “addetti ai lavori” di stampo internazionale, tra nuovi eletti alle giurie britannici, europei, asiatici e sudamericani. E i risultati di questa “democrazia” multiculturale si sentono eccome: da Emma Stone in un film di produzione inglese che batte la nativa americana Lily Gladstone, a La zona d’interesse che si piglia l’Oscar al miglior suono in barba ad Oppenheimer, alla Francia che si porta a casa la sceneggiatura originale di Anatomia di una caduta, fino ai due graditissimi Academy Awards assegnati al Giappone: quello al miglior film animato ad Hayao Miyazaki (non presente alla cerimonia) ed il suo Il ragazzo e l’airone fino al trofeo agli effetti visivi per il fenomeno del botteghino asiatico Godzilla Minus One. Gli Oscar 2024 sono stati veramente la fotografia di un’Academy in costante mutamento.
Addio politically correct?
Forse è un po’ troppo presto per cantare vittoria, ma pochi quest’anno sono stati i riconoscimenti assegnati dall’Academy che hanno avuto a che vedere con la politica, l’inclusività e la rappresentazione di minoranze. Valori societari assolutamente condivisibili e di legittimo progressismo, che ma che nelle ultime edizioni avevano trasformato gli Oscar in un palco per la militanza e poco per il vero merito artistico. Forse perché la sensibilità e le preferenze della giuria più internazionale della nuova Academy non sono cascate nel tranello insidioso della politically correctness a tutti i costi, premiando (un po’ a sorpresa, aggiungeremmo) Emma Stone per Povere Creature anziché la nativa americana Lily Gladstone per Killers of the Flower Moon.
La prima aveva ottenuto pre-Oscar Golden Globe Comedy/Musical, Critics’ Choice Award e Bafta, la seconda invece Golden Globe Dram e Sag Award per il film di Martin Scorsese. Una lotta appassionante fino all’ultimo voto che alla fine si è tramutata in seconda statuetta di carriera per la giovane attrice americana di La La Land, protagonista di un pamphlet fantahorror fortemente femminista diretto da Yorgos Lathimos che ha ottenuto altri tre Oscar, tutti tecnici: alla scenografia, i costumi ed il trucco. Dunque, il sostegno “sotterraneo” per Povere Creature c’era all’interno delle frange dell’Academy, mentre al film di Scorsese, nonostante le 10 nomination, nessun riconoscimento. Per l’ennesima volta.
Ryan Gosling, il vincitore morale
Ed in una edizione cha ha visto trionfare l’Oppenheimer di Christopher Nolan con ben 7 Oscar (del resto, è stato l’unico titolo in corsa alla categoria del Best Picture fin dall’inizio), il vincitore morale è stato Barbie. Il film campione d’incassi dello scorso anno ha sì ottenuto una sola statuetta, quella assegnata alla canzone “What Was I Made For?” di Billie Eilish, ma si è portato dietro il fragoso applauso e i movimenti di danza scatenati di tutto il Dolby Theatre quando Ryan Gosling si è cimentato con grande professionalità ed autoironia nella performance canora di “I’m Just Ken”. Regalando a tutti gli spettatori televisivi da ogni parte del mondo il momento più cult e trascinante dell’intera edizione 2024.
Segno che alla fine della giostra, i premi cinematografici poco contano rispetto all’impatto socio-culturale di un lungometraggio, di una performance, di una canzone. Molto spesso la storia passata degli Oscar è stata costellata di vincitori figli di mode e tendenze inscritte in un tempo limitato, che con il passare dei decenni non hanno superato a pieni voti il test del saper invecchiare bene; siamo piuttosto certi che invece momenti di grande spettacolo come questi rimarranno impressi nel cuore e nella mente dei più appassionati per molto tempo ancora. Del resto, chi li ricorda più i vincitori dello scorso anno, o dell’anno prima ancora?