Il pulcinella senza maschera, il comico dei sentimenti. Così veniva chiamato Massimo Troisi che, con un tocco di genialità naturale è riuscito a conciliare la forte identificazione regionale di un dialetto con un racconto universale. Quest’artista eccezionale il 19 febbraio di quest’anno avrebbe compiuto 70 anni e per l’occasione San Giorgio a Cremano si sta preparando ad una serie di celebrazioni speciali.
Ta questi la proiezione del docufilm Il mio amico Massimo di Alessandro Bencivenga, la partita del cuore allo stadio ‘Paudice’ tra nazionale artisti e città di San Giorgio a Cremano e la possibilità di visitare Casa Massimo Troisi. Il tutto, poi, arricchito dalla decisione dell’Università di Napoli Federico II di attribuirgli una laurea honoris causa in Discipline della musica e dello spettacolo.
Si tratta di celebrazioni particolari, ovviamente, perché nascondono un sottotono di malinconia. Quel sentimento che accompagna chi ha affiancato Troisi nella sua quotidianità e coloro che l’hanno amato attraverso uno schermo. Ogni volta che si pronuncia il suo nome, infatti, si ha chiara la sensazione di aver perso qualche cosa d’importante.
La sua morte prematura, avvenuta a soli 41 anni, pochi giorni dopo la fine delle riprese de Il postino, ha privato il mondo dello spettacolo e della cultura della sua voce lieve ma profonda, di quell’apparenza scanzonata ed indolente che, però, ha sempre celato una visione poetica del mondo. È stato ed è ancora attore, regista, sceneggiatore, narratore e poeta. Molte anime che hanno caratterizzato un talento che oggi proviamo a celebrare attraverso i migliori film di Massimo Troisi.
6. Pensavo fosse amore invece era un calesse (1991)
“Perché calesse?… per spiegare al meglio la delusione di un qualcosa le cui aspettative non sono state mantenute, poteva essere usato un qualsiasi altro oggetto, una sedia o un tavolo, che si contrappone come oggetto materiale all’amore spirituale che non c’è più. Mi piaceva e poi si possono trovare tante cose con il calesse: si va piano, si va in uno, si va in due, ci sta pure il cavallo…” In questo modo Troisi ha sempre spiegato la scelta del titolo che, esattamente come gli altri film, nasconde una motivazione che va oltre la vicenda stessa.
Sta di fatto che con questa storia dimostra che da Scusate il ritardo sono passati alcuni anni e, forse, le riflessioni sull’amore sono diventate più mature e sfaccettate. Alla luce di questo, dunque, costruisce la storia di Cecilia e Tommaso che, prossimi al matrimonio, sembrano trovare tutte le scuse possibili per non affrontare il passo. Prima le molte ex di lui infondono insicurezza in lei. Poi una relazione della donna con l’improbabile Enea. Complice la magia bianca, però, i due ritrovano finalmente la strada della coppia. Nonostante questo, il matrimonio non sa da fare.
Così, Francesca Neri, avvolta in un candido abito da sposa mentre si dirige all’appuntamento con Tommaso in un bar, rappresenta tutte le difficoltà affrontate all’interno di un rapporto sentimentale. Compreso il timore di quel passo definitivo oltre il quale tutto sembra essere destinato a cambiare. Un ritratto realistico ma sempre svolto con il tocco delicato tipico di Troisi che, in questo caso, viene amplificato dall’incredibile colonna sonora di Pino Daniele, all’interno della quale risuona l’indimenticabile Quando.
5. Le vie del Signore sono finite (1987)
“Per far arrivare i treni in orario, se vogliamo, mica c’era bisogno di nominarlo capo del governo, bastava farlo capostazione” Con questa battuta su Mussolini, Troisi è riuscito a fotografare alla perfezione l’atmosfera di questo film che, staccandosi da tutti gli altri, ha rappresentato per lui una nuova strada espressiva. Mettendo da parte la sua quotidianità e le riflessioni sulle naturali imperfezioni dell’uomo moderno, con Le vie del signore sono finite porta tutto all’interno di un’altra epoca, dimostrando che i tempi passano ma l’amore rimane uguale.
Questo vuol dire che il sentimento e le sofferenze che ne derivano sono, ancora una volta, l’elemento centrale della sua narrazione. A fare la differenza, questa volta, è il contesto di un mondo impazzito dove il “difetto” o la “debolezza” non è considerata come un’opzione. Soprattutto quando la prima sembra essere strettamente collegata alla seconda. Camillo, infatti, è un barbiere che soffre di una malattia psicosomatica. Da tempo, infatti, ha perso l’uso delle gambe ma non a causa di un incidente.
Questo suo problema, piuttosto, è stato causato dalla delusione sentimentale conseguenza del rapporto con Vittoria, una ragazza francese che vive in Italia. Le prospettive, però, sono destinate a cambiare quando incontra Orlando, un ragazzo realmente paralitico che gli apre la mente su tematiche per lui nuove come la psicanalisi. Un percorso, dunque, dolcemente dolente e con un senso del romanticismo ottocentesco, amplificato dalla collaborazione con Pino Daniele che firma la colonna sonora.
4. Non ci resta che piangere (1984)
Prima ancora che Robert Zemeckis viaggiasse nel tempo con Ritorno al futuro, Troisi aveva già compiuto un salto temporale nel cuore del Rinascimento. E non lo aveva fatto certo da solo ma in compagnia di un amico particolare come Roberto Benigni. Con la precisione i due si ritrovano, dopo una notte di temporali, catapultati a Frittole, nel “millequattro, quasi millecinque”. Ovviamente il riferimento è a Non ci resta che piangere, terzo film che Massimo Troisi firma come regista e con cuoi entra nel territorio di una comicità assoluta. E non sarebbe stato possibile altrimenti dividendo la scena con Benigni.
I due, pur essendo portavoce di umorismi diversi, espressi attraverso assonanze dialettali che nulla sembrano avere in comune, ottengono un’armonia espressiva quasi miracolosa. L’apparato comico del film, infatti, si muove come una sola creatura composta da sfumature diverse capaci d’intonarsi tra loro. Non è un caso, dunque che, complice l’ambientazione assurda del 1942, Non ci resta che piangere sia considerato ancora oggi come un compendio di comicità cui attingere.
E come potrebbe essere altrimenti, visto che le avventure di Mario e Saverio, accolti nella famiglia di Vitellozzo, vivono attraverso battute e situazioni indimenticabili. Dal “ricordati che devi morire” “mò me lo segno”, passando per “yesterday, bon bon”, cantata ad una giovanissima Amanda Sandrelli, per terminare con la lettera a Savonarola. A sua volta omaggio a quella di Totò, Peppino e…la malafemmena. Senza dimenticare, ovviamente, il ben noto “Alt! Chi siete? Cosa portate? Sì, ma quanti siete? Un fiorino!”.
3. Il postino(1994)
Quando Il Postino uscì nelle sale americane nel 1994 e arrivò alla notte degli Oscar ottenendo cinque candidature, tra cui miglio film e miglior attore protagonista, la stampa americana lo salutò come un capolavoro. Come quell’affermazione internazionale che Troisi aveva tanto cercato ma che non era riuscito a godere. In effetti, com’è noto, il percorso de Il Postino è legato a doppio filo con quello personale di Massimo. Particolarmente provato dalle sue condizioni cardiache sempre più critiche, avrebbe dovuto evitare lo stress e gli sforzi del set in attesa di sottoporsi ad un trapianto. Nonostante questo, però, Troisi decide che quel film vuole farlo “c’o core suo”. E così è, facendosi affiancare da Michael Radford che, di fatto, firma la regia.
Ma da dove nasce la storia raccontata nella pellicola e, soprattutto, come è arrivata alle orecchie di Troisi? La vicenda ha attratto la sua curiosità pagina dopo pagina, mentre stava leggendo il romanzo Il postino di Neruda di Antonio Skármeta. Rimane completamente rapito dalla semplicità formale della vicenda e dalla sua complessità di sentimenti. In particolare l’amicizia tra Mario, un semplice postino di Procida, e Neruda, il famoso poeta cileno in esilio, tocca delle note di delicatezza umana veramente alta.
Così, seguendo il ritmo della passione che scandisce i versi più noti, Troisi è riuscito a scrivere una poetica tutta sua. Un’ode all’amore, all’amicizia e all’ideale. Sentimenti che si racchiudono nel personaggio di Maria, interpretato da una giovane Maria Grazia Cucinotta, e nel legame con Neruda. Un lavoro che l’ha reso indimenticabile perché sul suo volto scavato dalla fatica, il pubblico continua a leggere il testamento di un’anima eccezionalmente bella.
L’evoluzione quasi magica che ha portato a questo film, però, può essere sintetizzata alla perfezione dalle parole che Philippe Noiret, nel corso degli anni, ha dedicato a Troisi: “Penso che in tutta la storia del cinema, non ci sia nessun film simile. I ricordi che ho di Massimo sul set sono ricordi felici, l’aria che si respirava, considerando la difficoltà che Massimo aveva nel girare, data la sua malattia, era comunque un’atmosfera rilassata e mai triste. Una cosa che mi faceva sorridere era la sua maniera di parlare. Io recitavo in francese, lui né in italiano né in napoletano; recitava come solo lui sapeva fare.”
2. Scusate il ritardo (1983)
Dopo il grande consenso del suo primo film, Troisi ci riprova con Scusate il ritardo, riuscendo addirittura a migliorare se stesso e mettere ancora più a fuoco il suo stile narrativo. In questo caso al centro della storia ci sono i diversi tempi dell’amore e la sincronia dei rapporti di coppia. Non è un caso, dunque, che il personaggio di Tonino, interpretato ancora una volta da Lello Arena, sia affanto per una delusione sentimentale.
Lasciato dalla sua fidanzata, non fa altro che ossessionare l’amico Vincenzo con i vari ragionamenti sulle motivazioni che hanno portato alla rottura. Un confronto da cui nasce una delle battute più iconiche del cinema: “ Vincenzo, io mi uccido. Meglio un giorno da leone che cento giorni da pecora”. “Fai cinquanta giorni da orsacchiotto, almeno stai in mezzo e non fai la figura di merda della pecora e nemmeno il leone, che però vive solo un giorno”.
Dal canto suo Troisi si riserva il ruolo di Vincenzo, un giovane disoccupato, deciso a non assumersi troppe responsabilità. Almeno fino a quando nella sua vita non entra Anna, un’ex compagna di scuola della sorella. In quel momento l’amore prende il sopravvento ma, nonostante questo, sembra non bastare.
Come uscire da questa indolenza? Forse l’unica soluzione è rischiare di perdere la ragazza che, a conti fatti, è la cosa migliore della sua vita. Un racconto, dunque, che riflette con grande puntualità sul pubblico senza, però, avere la pretesa di dare una risposta o un giudizio. Piuttosto Troisi si presenta esattamente come uno dei tanti, propenso a commettere gli stessi errori, con il vantaggio di poterlo raccontare ad un’ampia platea. La stessa che lo premia con un incasso record di tre miliardi e mezzo delle vecchie lire.
1. Ricomincio da tre (1981)
Negli anni ottanta, dopo il grande successo televisivo con la Smorfia, Troisi decide di fare il salto di qualità con il suo esordio al cinema. Scrivere sketch brevi non lo soddisfa più. Vive questa situazione come una sorta di gabbia espressiva. Sente, dentro di se, di poter fare molto di più estendendo la sua visione comica su una storia dal respiro più ampio. Per questo motivo tenta il tutto per tutto e scrive la sceneggiatura di Ricomincio da tre.
È il 1981 quando il napoletano diventa di diritto una lingua cinematografica, riuscendo ad unire, in modo misterioso, un paese ancora fortemente legato alla propria realtà territoriale. A fare la differenza, però, è Massimo che, attraverso quell’uso quotidiano delle forme dialettali, riesce a tratteggiare gli stadi d’animo che appartengono a tutti. Non è un caso, dunque, che Ricomincio da Tre è un successo assoluto di pubblico e di critica, tanto che Troisi ottiene il David di Donatello per le categorie miglior film e miglior regia.
Accanto a lui, poi, c’è Lello Arena, l’amico di sempre, il compagno delle prime avventure teatrali a San Giorgio a Cremano e dei successi della Smorfia. In quest’occasione veste i panni di Raffaele Sodano con cui Gaetano, interpretato proprio da Troisi, ha un rapporto spesso conflittuale. Il successo del film, comunque, si deve proprio a quel senso di onestà e veridicità artistica che sarà sempre la sua cifra narrativa.
Per tratteggiare il carattere di Gaetano, infatti, prende spunto proprio dalla sua realtà, partendo dalla semplicità del paese per descrivere il desiderio di partire ed ottenere qualche cosa di più rispetto alla vita provinciale. In questo caso la destinazione è Firenze. Ma la sua non è un’emigrazione, come Gaetano ci tiene a precisare. Quanto una sorta di esplorazione. Perché avendo già famiglia, lavoro ed amici non intende certo ricominciare da zero. Piuttosto da tre. Ed è proprio da questa battuta che nasce il titolo del film.