“Al mio segnale: scatenate l’inferno“. Questa è solo una delle frasi cult de Il gladiatore, film di Ridley Scott che lanciò Russell Crowe nell’empireo delle stelle di Hollywood, contribuendo ad alimentare il mito dell’eroe indomito. A 22 anni dalla sua uscita la storia di Massimo Decimo Meridio, comandante dell’esercito del nord, generale delle legioni Felix, servo leale dell’unico vero imperatore Marco Aurelio. Padre di un figlio assassinato, marito di una moglie uccisa continua ad affascinarci anche oggi.
Perché? Perché in lui non vediamo sconfitta, ma l’umano desiderio di giustizia. Un desiderio che non si placa fino a quando la giustizia, appunto, non si compie del tutto. In un atto conclusivo che sa finalmente di pace. Prima di arrivare al succo del nostro articolo, ovvero la spiegazione del finale de Il gladiatore, però, torniamo in quel favoloso 2000, inizio del nuovo millennio e anno in cui il mondo fa la conoscenza di un attore neozelandese, Russell Crowe, fino a quel momento poco conosciuto (se si eccettua la sua presenza in L.A. Confidential del 1997). E di un villain, il perfido Commodo, di cui Joaquin Phoenix dà un’interpretazione sentita.
Il gladiatore, l’eroe del nuovo millennio
Uscito nel maggio del 2000, Il gladiatore fu uno dei grandi successi di quella stagione cinematografica, con ben 5 Oscar (due dei quali molto pesanti) conquistati: miglior film, miglior attore protagonista, Russell Crowe appunto, migliori costumi, miglior sonoro e migliori effetti visivi. E 457 milioni di dollari incassati in tutto il mondo, secondo solo a Mission: impossible II. Il merito di questo trionfo va dato alle scene epiche di battaglie e combattimenti, certo. Ma anche a una storia potente di vendetta e amore per la famiglia. Un grande classico, insomma.
Tuttavia, la genesi del film è stata tutt’altro che lineare. Inizialmente scritto da David Franzoni, che si è ispirato al romanzo del 1958 Those about to die (quelli che stanno per morire) di Daniel Mannix, è stato poi trasferito nelle mani di John Logan e William Nicholson per volere dello stesso Scott, che si era detto deluso dalla mancanza di tridimensionalità del primo script. Così, se a Franzoni vanno attribuiti il primo atto della storia e la decisione di uccidere la famiglia di Massimo Decimo Meridio (per dare peso alla sua motivazione), tutto il resto è farina del sacco di Logan & Nicholson. Con la massiccia collaborazione, non sempre gradita dagli scrittori, di Russell Crowe (lo vedremo più avanti).
Il viaggio di Massimo
Ambientato nel 180 d.C, Il gladiatore racconta la storia del generale Massimo Decimo Meridio, uno dei più nobili condottieri romani, pupillo dell’Imperatore Marco Aurelio (Richard Harris) che, dopo la vittoria sui Marcomanni, lo designa come erede al trono, al posto del suo stesso figlio Commodo. L’idea dell’Imperatore è quella di riportare Roma alla Repubblica e per attuare il piano è disposto a fidarsi solo di uomini d’onore come Massimo. Quando Marco Aurelio viene ucciso da Commodo, deluso dalla decisione paterna, Massimo scopre di essere in pericolo. La tragedia non tarda ad arrivare visto che Commodo ordina l’uccisione della moglie e del figlio di Massimo, come atto intimidatorio.
Disperato per la morte dei suoi cari che non riesce a salvare in alcun modo, Massimo viene ridotto in schiavitù ed entra nel giro dei gladiatori. Mentre il nuovo Imperatore Commodo domina Roma, affiancato dalla sorella Lucilla (Connie Nielsen), da sempre innamorata di Massimo, Meridio, soprannominato l’Ispanico, diventa uno dei lottatori più noti e amati. Proprio questa nuova vita rappresenta per lui la via d’accesso a Roma, dove desidera consumare la sua vendetta. Così, guidato dal lanista Proximo (Oliver Reed, alla sua ultima interpretazione), organizzatore di spettacoli di lotta, per così dire, Massimo torna nell’Urbe. L’occasione è data dai giochi gladiatori istituiti da Commodo alcuni anni dopo. Nell’arena del Colosseo, l’Ispanico si ritrova faccia a faccia col malvagio Imperatore.
Il finale de Il gladiatore: dalla guerra alla pace
Un grande Imperatore, considerato alla stregua di un dio contro un Gladiatore, eroe nell’arena, condottiero. Per la nostra spiegazione del finale de Il gladiatore partiamo dallo scontro conclusivo, quello tra Commodo e Massimo, che incarna l’opposizione tra male e bene. Tra la follia del potente di turno, che si sente al di sopra di ogni legge, incarnato in maniera magistrale da Phoenix, e un uomo che non ha più nulla da perdere.
Pur se il duello si conclude senza vincitori, anzi, con la morte di tutti e due i pretendenti, il vero trionfatore è Massimo. Non solo ritrova la lealtà dell’amico Quinto (Thomas Arana) e dei pretoriani che anni prima gli voltarono le spalle per eseguire gli ordini dell’Imperatore. Ma la morte gli permette di ricongiungersi con la sua famiglia. E di camminare felice in un campo dorato, verso casa, riabbracciando il figlio e la compagna di vita. In una struggente sequenza girata in Val d’Orcia, per la precisione a Pienza, nell’antica Pieve di Corsignano.
Now We Are Free
“Era un soldato di Roma, onoratelo”. Con la morte di Massimo Decimo Meridio e gli onori a lui tributati dalla figlia dell’Imperatore, Lucilla, e dai suoi compagni di sventura, si chiude una storia che riserva ancora un piccolo colpo di scena. Spetta a Juba (Djimon Hounsou), uno dei più fidati amici di Massimo, chiudere la pagina. Il lottatore sotterra le statuette votive che Massimo portava con sé e che raffiguravano moglie e figlio. Ora siamo liberi, dice. E Now We Are Free è anche il titolo del bellissimo brano composto da Hans Zimmer e cantata da Lisa Gerrard che accompagna i titoli di coda. Il testo è composto da parole che non hanno alcun significato, ma sono suoni melodiosi che parlano in qualche modo di pace. Shalom, pace in ebraico, è infatti l’unico termine reale.
Il gladiatore e la sua famiglia
Pur non avendo battute significative (non hanno neanche un nome), moglie e figlio di Massimo hanno un ruolo chiave all’interno del film. La loro morte, infatti, è la motivazione profonda che spinge Massimo Decimo Meridio a ottenere vendetta. Nei panni della compagna di vita di Massimo troviamo Giannina Facio, attrice costaricana nota per la sua partecipazione a film e programmi televisivi di casa nostra (Vacanze di Natale ’90 di Enrico Oldoini ed Emilio su Italia 1), ma soprattutto moglie di Ridley Scott dal 2015. I due si sarebbero conosciuti proprio nell’anno in cui è stato girato Il gladiatore. Il figlio di Massimo è invece Giorgio Cantarini, il piccolo Giosuè Orefice de La vita è bella di Roberto Benigni.
Ridley, Russell e la pizzeria al Colosseo
E veniamo al prode Russell Crowe e alla sua capacità di ridisegnare il personaggio di Massimo Decimo Meridio. In verità, non sempre esercitata con eleganza e garbo da Mr. Crowe, che spesso e volentieri si lasciava andare a sfuriate sul set perché non riusciva a comprendere il personaggio.
In un’intervista rilasciata ad Empire due anni fa, l’attore neozelandese ha confessato che in origine Massimo sarebbe dovuto rimanere in vita. Ma assieme a Scott ha deciso di cambiare il suo destino, facendogli fare l’unica cosa plausibile: morire per ritrovare la sua famiglia. Quando il regista gli raccontò che la sola ragione di vita di Massimo fosse la vendetta per la morte di moglie e figlio, Crowe candidamente ammise: “Era vero. Non avrebbe mica potuto aprire una pizzeria al Colosseo!“.
Le inesattezze storiche
A proposito di pizzerie e Colosseo, il film di Scott non arriva a mettere in scena tanto, ma è pieno zeppo di inesattezze storiche, volute, a suo dire, per rendere il racconto più avvincente per il pubblico moderno. Nonostante la produzione si fosse affidata a un team di esperti di cultura romana, quindi, il racconto non è credibile in più di un momento. Tanto che alcuni degli storici contattati hanno rifiutato di essere citati nei credits del film. Qualche esempio? Non è vero che Marco Aurelio fosse favorevole a un ritorno della Repubblica. E in ogni caso, Repubblica non intesa come governo del popolo, semmai come oligarchia.
E neanche che fosse in rotta con il figlio Commodo. Egli infatti salì sul trono tre anni prima della morte del padre, avvenuta per malattia nel 180 d.C. a Vindobona, l’attuale Vienna. Commodo, poi, fu sì assassinato nel 192 d.C da un lottatore di nome Narcisso (nome in origine del Gladiatore), ma non in un’arena, bensì nella sua casa. Cosa vuol dire tutto questo? Che non è certo guardando Il gladiatore che si possono scoprire elementi importanti della storia di Roma. Come ribadito dallo storico Allen Ward, se a un artista della statura di Scott si devono concedere tutte le licenze poetiche esistenti, l’accuratezza storica dovrebbe essere sempre preservata. Così non è stato, ma gli spettatori non si sono lamentati.