Le opere di Hayao Miyazaki non offrono mai un epilogo semplice, prestabilito e nemmeno così evidente. Le sue storie, infatti, sono un percorso emotivo all’interno del quale la conclusione arriva come frutto di un’evoluzione, una crescita interiore ottenuta solo lasciandosi trasportare dalla sua immaginazione e, soprattutto, da quel senso del magico che permea ogni singola immagine.
Per questo motivo alcuni finali risultano essere criptici, soprattutto per chi preferisce il classico e sempre evidente “felici e contenti” dallo stile disneyano. Non stupisce, dunque, che il suo ultimo Il ragazzo e l’airone possa incontrare queste difficoltà interpretative, soprattutto per quanto riguarda l’epilogo che raccoglie in sé il senso stesso della vita composto dall’accettazione del cambiamento, della perdita affettiva, passando per la scoperta delle proprie origini.
Il tutto attraversando sempre un mondo parallelo dove la magia è padrona, gli spiriti possono diventare guida e, al tempo stesso, nemici. Fondamentale, però, è il cammino compiuto in questo caso dal giovane Mahito per ritornare a vivere e ad accettare il suo presente. Per comprendere il percorso costruito da Miyazaki attraverso diverse simbologie, dunque, proviamo a spiegare più nel dettaglio il finale de Il ragazzo e l’airone.
La forza della simbologia
Per comprendere la bellezza narrativa dell’ultima fatica del maestro dell’animazione nipponica è necessario partire da un presupposto essenziale: ogni singolo elemento utilizzato e mostrato ha un valore altamente simbolico. Questo vuol dire che ogni cosa è diversa da come sembra ma, soprattutto, ha il compito di dare una forma riconoscibile alle problematiche interiori del giovane Mahito. Il ragazzo, infatti, dopo aver perso la madre in un tragico incendio durante i combattimenti della Seconda Guerra Mondiale, si trova trasportato in un mondo che non conosce e rifiuta. Il padre ha iniziato una nuova relazione proprio con la sorella della moglie. La somiglianza tra le due donne colpisce intensamente Mahito ma, al tempo stesso, lo allontana affettivamente ancora di più evidenziato la perdita della madre.
A questo, poi, si aggiunge anche l’estraneità di un nuovo ambiente in cui è stato condotto per allontanarlo dalla grande città in attesa che la guerra finisca. Tutti elementi disturbanti che nell’animo di Mahito producono un distacco assoluto rispetto a ciò che mostra e ciò che sente. Così, circondato da un mondo di adulti accudenti ma comunque assenti, si trova a dover gestire da solo la complicata elaborazione del lutto e la dolorosa ma inevitabile accettazione della morte della madre.
Un percorso che Miyazaki ha scelto di rappresentare attraverso la costruzione e l’utilizzo di un luogo misterioso come una torre, all’interno della quale è custodito un universo parallelo gestito dalla magia. Il confronto, dunque, tra il mondo magico e quello naturale è evidente. Allo stesso tempo, però, si evidenzia anche un altro rapporto speculare. La torre, infatti, altro non è che la rappresentazione simbolica del tormento emotivo di Mahito. Un mondo interiore che cela a chiunque, forse anche a se stesso, in cui l’unica ragione di vita è la ricerca della madre. Per questo motivo, dunque, il solo modo per poter accettare la realtà effettiva è immergersi completamente in quella emotiva, sperando di trovare la motivazione giusta per tornare a vivere.
Il viaggio evolutivo
Quando il giovane Mahito viene spinto ad entrare nella torre, inizia un vero e proprio viaggio evolutivo. Una specie di discesa agli inferi dei propri sentimenti che comporta il confronto con le paure più grandi. A spronarlo verso questa avventura è un airone che, assumendo diverse forme, lo incita a tentare l’impresa, rivelandogli di poter trovare la propria madre ancora viva. E, in effetti, il suo ricordo nel cuore e nella mente di Mahito non si è certo affievolito. Ma per il ragazzo è ancora troppo presto e il suo dolore non gli permette di comprendere i molti significati celati dietro il concetto stesso di vita e sopravvivenza.
Varcando l’ingresso della torre, dunque, entra in contatto, un passo alla volta, con i livelli più profondi del proprio animo, mentre la disperazione di un figlio “abbandonato” lo porta a farsi salvatore della propria madre. Accanto a lui in questo percorso c’è l’airone che, in fasi alterne, mostra quasi un’attitudine al tradimento. Un atteggiamento necessario per spronare Mahito ad andare avanti e non indietreggiare di fronte le situazioni ed emozioni più misteriose.
Ma per quale motivo Miyazaki ha scelto come animale totem proprio l’airone? Per comprendere è necessario ricorrere alla cultura giapponese. Questa, infatti, attribuisce all’uccello un significato molto importante legato alla buona fortuna, alla longevità e alla speranza. Oltre a questo, poi, l’animale viene considerato anche un tesoro nazionale. Un particolare, questo che il regista potrebbe aver utilizzato per creare un altro simbolismo: l’airone come riflesso di un paese ferito dalla guerra che tenta di proteggere le proprie ricchezze naturali.
Abbracciare il futuro
In questa discesa nel profondo delle emozioni e del mondo magico che vanno a comporre, dunque, Mahito è destinato ad incontrare diverse creature come, ad esempio, i poetici e drammatici non nati, una popolazione di aggressivi parrocchetti, il suo prozio che ha dato vita a questa sorta di emisfero parallelo e, ovviamente, la madre.
L’incontro con una giovane Himi, ancora lontana dal diventare sua madre, diventa l’elemento essenziale per comprendere il senso del suo viaggio. Trovarla vuol dire ricollegarsi nuovamente alla sua origine, riallacciare un discorso d’amore strappato brutalmente e, proprio da quello e dalla consapevolezza che mai terminerà veramente, trovare la forza per tornare a vivere.
Durante le fasi finali del film, infatti, a Mahito viene offerta la possibilità di diventare l’erede di quel mondo misterioso completamente distaccato dalla realtà. Una possibilità che rifiuta e con essa il pericolo di rimanere per sempre aggrappato alle proprie frustrazioni e barricato in una solitudine senza speranza. Al suo posto, invece, preferisce la vita in una corsa all’ultimo respiro accanto a Himi mentre tutto crolla intorno a loro.
Entrambi, infatti, raggiungono le porte che li ricondurranno nel loro presente. Ma sono diverse per ognuno di loro. Himi, infatti, torna al periodo precedente la nascita del figlio. E’ consapevole che morirà giovane ma far nascere Mahito è la spinta che la porta a scegliere il suo destino nonostante tutto. Allo stesso tempo il ragazzo decide di tornare alla sua vita consapevole che mai perderà quel legame forte ed indissolubile con la madre che ha riscoperto. Così, uscendo dalla torre, ritorna “a veder le stelle” della propria vita, libero del peso di un lutto finalmente elaborato.