Sono passati venti anni da quando quel lontano 16 gennaio del 2002 usciva finalmente nelle sale italiane Il signore degli anelli – Le due torri, attesissimo secondo capitolo della trilogia di Peter Jackson ispirata al romanzo fantasy di culto di John Ronald Reuel Tolkien. Un progetto cinematografico per decenni considerato impossibile da realizzare, basato su un romanzo in tre volumi da molti reputato praticamente infilmabile. Nel 1978 ci pensò, con risultati affascinanti seppur claudicanti, il film d’animazione di Ralph Bakshi che guarda caso adattava l’opus magnum di Tolkien sino alla conclusione della Battaglia del Fosso di Helm presente proprio nel secondo tomo.
Un approccio narrativo che il regista neozelandese Peter Jackson adotta per la sua trilogia cinematografica, un azzardo produttivo che l’anno precedente all’uscita nelle sale de Le due torri aveva raccolto frutti inaspettatamente maturi con Il signore degli anelli – La compagnia dell’anello. Campione d’incassi nel corso del 2001 e nell’anno successivo, fu il primo mattone di fondamenta edilizie solidissime, tanto che la critica lodò la visione cinematografica del regista, il pubblico lo premiò con incassi da capogiro e Le due torri si impose come uno dei sequel più attesi del Nuovo Millennio. Un’attesa ripagata con un secondo appuntamento sul grande schermo che ci regala ancora, a distanza di venti anni, alcuni dei pezzi più forti del cinema fantasy di sempre: l’impressionante ricostruzione della Battaglia del Fosso di Helm e la performance capture applicata all’iconico personaggio di Gollum.
Una sfida senza precedenti
La sfida dietro la macchina da presa per il cineasta neozelandese non era di certo semplice. Portare sul grande schermo un romanzo così complesso e denso come quello pubblicato negli anni ’50 da J.R.R. Tolkien sembrava impresa titanica, fallita numerose volte negli anni passati e che trovò mera consolazione nella trasposizione animata di Ralph Bakshi del 1978, visivamente accattivamente, fortemente legata all’immaginario creato dallo scrittore britannico, ma pedissequa e senza anima nella sua struttura narrativa. Peter Jackson invece decide di occuparsi della sceneggiatura adattata dei tutti e tre i lungometraggi (girati contemporaneamente e senza soluzione cronologica di riprese) assieme a Fran Walsh e Philippa Boyens, prendendosi alcune libertà creative rispetto alla venerata fonte letteraria.
Se il precedente La compagnia dell’anello era tutto sommato aderente ai passaggi principali del primo tomo e alle psicologie e dinamiche tra i vari protagonisti, in Le due torri il regista e sceneggiatore alza la posta in gioco con una trasposizione meno legata agli eventi della Terra di Mezzo nati dalla fervida fantasia di Tolkien mettendo così in scena uno spettacolo visivo senza precedenti. Una visione cinematografica inaudita per il tempo perché in un solo episodio “di passaggio” compie due miracoli da record: riesce a donare un’anima e un posto nell’immaginario pop collettivo a Gollum (interamente portato sul grande schermo tramite la performance capture e la straordinaria interpretazione di Andy Serkis) e realizza quella che alla sua uscita nelle sale era la battaglia più lunga mai vista in un film per le sale. Mica poco.
La compagnia si separa
Come per la sua controparte letteraria, il secondo capitolo cinematografico firmato Peter Jackson si discosta dalla struttura dei personaggi che faceva la forza de Le compagnia dell’anello. Dopo la morte di Boromir (Sean Bean) ghermito dalla bramosia dell’Unico Anello e ucciso a sangue freddo da un branco di orchi, gli hobbit Merry (Billy Boyd) e Pipino (Dominic Monaghan) vengono rapiti dai servi del perfido stregone Saruman (Christopher Lee), Frodo e Sam (rispettivamente, Elijah Wood e Sean Astin) si separano dalla compagnia per proseguire da soli verso il Monte Fato, mentre Aragorn (Viggo Mortensen), Legolas (Orlando Bloom) e Gimli (John Rhys-Davies) vanno a caccia di orchi, imbattendosi negli eserciti del regno di Rohan. Tre linee narrative parallele che allargano la visuale dello spettatore/lettore e lo immergono in una nuova avventura fantasy ancora più densa ed ambiziosa del precedente capitolo.
Merito di J.R..R. Tolkien, direte voi. Ed invece Il signore degli anelli – Le due torri è una pellicola decisamente più anarchica e coraggiosa rispetto al primo capitolo del 2001, così come lo è nei confronti degli eventi raccontati nel romanzo. Quasi come se il regista neozelandese avesse voluto, con La compagnia dell’anello, fidelizzarsi una larga fetta di pubblico composta da neofiti e da puristi dell’opus tolkieniana, per poi sorprendere la sua stessa audience esattamente un anno dopo con una nuova trasposizione che non stravolge di certo il corso degli eventi del libro, ma decide di prendersi un numero ragguardevole di libertà artistiche tali da giustificare la mise en scéne di un lungometraggio fantasy che riscrive ancor più del precedente le regole del cinema del genere a cui appartiene orgogliosamente. A partire dall’introduzione di un personaggio straordinariamente innovativo e dalla costruzione di una battaglia medievale che ancora oggi, a 20 anni di distanza, fa tremare i polsi.
Entra Gollum (e cambia la Storia del Cinema)
Il successo ancor più assordante de Le due torri rispetto all’episodio iniziale è in parte dovuto all’introduzione ai suoi spettatori di riferimento di uno dei personaggi più innovativi della Storia del Cinema post-2000. Grazie all’incredibile avanzamento della tecnologia, degli effetti visivi e delle tecniche della performance capture, Peter Jackson restituisce alla magia del grande schermo e con strabiliante verosimiglianza il personaggio tragico di Gollum. Ex-hobbit consumato centinaia di anni prima dal potere degenerante dell’Anello, è il risultato senza precedenti di uno studio intensissimo di rivoluzionarie tecniche di motion capture applicate ad un attore in carne ed ossa.
L’interprete britannico Andy Serkis ha recitato nella sua totalità voce e movenze del personaggio, nonostante l’aspetto fisico di Gollum sia totalmente differente dal suo attore. Niente uso di pesante trucco prostetico, solo innovazione tecnologica senza precedenti; il Gollum che tutti abbiamo imparato a conoscere e ad amare è la confezione perfetta di un esperimento cinematografico inaudito per quegli anni: dare forma ed anima ad un personaggio fittizio nascondendo il suo interprete sotto strati digitali di fotorealismo scioccante. Dal miracolo in CGI de Le due torri, Hollywood ha solo che imparato: impossibile infatti concepire oggi i miliari passi avanti nella performance capture sfruttati ad esempio nella saga prequel de Il pianeta delle scimmie o nella serie Avatar di James Cameron senza chiedere grazie alla lungimiranza di Peter Jackson e al talento del team della Weta Workshop dietro alla trilogia dell’Anello.
La battaglia cinematografica più lunga di sempre
Ma non è stata solo quella la grande innovazione da record de Il signore degli anelli – Le due torri. Il capitolo “di mezzo” della trilogia tolkieniana si conclude con una delle battaglie più significative della storia del cinema; i nostri eroi, attanagliati da schiere di orchi al soldo di Saruman, si arrocca nella fortezza del Fosso di Helm senza speranza, pronti a partecipare ad un’ultima, disperata battaglia prima che gli Uruk-Hai conquistino il regno di Rohan. Una battaglia, quella che impreziosisce l’ultimo atto del film, particolarmente immersiva per lo spettatore: pioggia, fango, sangue e sudore, elementi essenziali e predominanti che hanno reso l’assetto visivo dello scontro al Fosso di Helm innovativo per il cinema di genere.
Nel 2002 Peter Jackson riesce a mettere in scena così la più lunga battaglia cinematografica mai realizzata al tempo; oltre 40 minuti incessanti di assedio da record, battuti al cronometro soltanto anni dopo dal gran finale di 13 Assassini di Takashi Miike e, nel più ampio campo dell’audiovisivo, dagli 80 minuti dell’assedio a Grande Inverno nella stagione finale de Il Trono di Spade. Un’esperienza di sconvolgente realismo per la storia del genere fantasy che a venti anni di distanza dal suo debutto sui grandi schermi italiani ancora profuma di scommessa cinematografica vinta da Jackson su tutti i fronti. E che ancora oggi, non teme rivali di sorta.