Per tutti gli appassionati di fantascienza l’opera di Isaac Asimov rappresenta un caposaldo, le fondamenta stesse del racconto fantascientifico che, nel corso del tempo, si è sviluppato in infinite derivazioni. Qualunque sia la strada presa, comunque, è indubbio che il mondo creato dallo scrittore russo abbia influenzato non poco l’immaginario di futuri narratori.
Non fosse altro per aver creato le famose tre leggi della robotica grazie alle quali regolare i rapporti tra gli uomini ed i robot positronici. Stabilito questo, dunque, è chiaro che per i puristi del genere letterario il film Io, Robot, ispirato al racconto e all’antologia omonima, ha rappresentato una creatura su cui riversare molte aspettative e dalla quale, in un certo senso, rimanere delusi.
Prodotto dalla 20th Century Fox nel 2004 e diretto da Alex Proyas, la pellicola ha avuto soprattutto il merito di aver utilizzato la fama crescente di un giovane Will Smith per attrarre il pubblico al cinema. Questa, abbinata al fascino esercitato dalla letteratura di Asimov, ha creato una sorta di formula magica grazie alla quale portare il film velocemente in vetta alle classifiche dei più visti del momento.
Questo è quanto accaduto nel 2004 ma, ad oggi, come possiamo considerare questo progetto? Merita il titolo di cult del genere sci-fi oppure ha perso il suo splendore? A essere onesti, riguardandolo oggi a quasi vent’anni di distanza, si ha la sensazione, da un punto di vista puramente tecnico, di assistere un prodotto realizzato proprio nei primi anni del 2000.
L’elemento più evidente, infatti, è una resa della computer grafica indubbiamente innovativa per i tempi ma, ad oggi, chiaramente desueta. Avere lo sguardo abituato a delle immagini digitali di grande precisione, infatti, aiuta a scorgere il “difetto” o “l’imperfezione” in film più datati. Il che non vuol dire che non siamo validi ma, solamente, che devono sempre essere considerati in base al periodo di produzione.
Quello che, invece, rimane intatto e non subisce nessun tipo d’invecchiamento è la tematica al centro del film: il rapporto tra l’uomo e le macchine. Anzi, con il passare del tempo e un ampliamento del mondo computerizzato, questa relazione si è fatta sempre più intensa andando, di tanto in tanto, a mettere in evidenza alcuni dei pericoli raccontati dallo stesso Asimov in tempi non sospetti.
Per capire meglio quello di cui parliamo, però, proviamo ad approfondire alcune tematiche presenti e, in particolare, i messaggi che vuole trasmettere il film attraverso la spiegazione del finale di Io, Robot.
Io, Robot: cosa succede nel finale?
Prima di poter affrontare qualsiasi tipo di analisi, però, è necessario andare a rinfrescare la memoria mettendo in evidenza le fasi più importanti e soprattutto le vicende che definiscono l’epilogo. Tutta l’azione è ambientata in una Chicago del 2035, un futuro che oggi non sembra poi molto lontano ma che nel 1950, anno cui risale l’opera di Asimov, doveva sembrare veramente una sorta di realtà parallela. Un mondo talmente distante da rappresentare la terra dell’immaginario dove tutto sarebbe stato possibile.
Su questa tela bianca, dunque, il racconto e il film tratteggiano una quotidianità, dove i robot positronici sono diventati una realtà talmente diffusa da essere considerati quasi degli elettrodomestici. Per questo motivo, dunque, ogni famiglia ne possiede uno e, in alcuni casi, hanno sostituito anche la forza umana in molti lavori. I motivi? Dalla loro hanno il vantaggio di non avere il libero arbitrio, di agire secondo una logica programmata, di non essere soggetti a emotività e di non mostrare alcuna aggressività.
In breve un robot è la scelta più efficiente per i risultati produttivi e perché non mette in pericolo la vita dell’uomo in nessun modo. Anzi, le vecchie unità hanno proprio il compito di correre in soccorso nel caso in cui scattasse l’allarme “umano in pericolo”.
Questo si deve soprattutto alle tre regole della robotica ideate dal dottor Alfred Lanning, scienziato e fondatore della U.S. Robots. Tutto, però, sembra cambiare improvvisamente quando l’uomo viene trovato morto. La causa del decesso sembrerebbe essere il suicidio ma l’ispettore di polizia Del Spooner non è sicuro.
Unito da amicizia e gratitudine nei confronti dello scienziato, inizia ad indagare sulla sua morte dimostrando subito un’evidente insofferenza nei confronti dei robot. La domanda che lo assilla è solamente una: può uno di questi esemplari commettere un omicidio? Per la legge la risposta è negativa ma per Spooner c’è qualche cosa di misterioso da sondare.
A destabilizzarlo è l’incontro con Sonny, una versione avanzata di NS-5 che lo stesso Lanning ha reso speciale e unico rispetto a tutti gli altri. Sembra, infatti, che questo robot sia stato dotato da suo “padre” di un secondo cervello in grado di farlo agire autonomamente e di andare a disubbidire alle tre regole della robotica, nel caso lo ritenesse opportuno.
Una dote che sarà di grande aiuto a Spooner quando, nelle fasi finali, si troverà a dover affrontare, insieme alla dottoressa Susan Calvin una rivoluzione di robot guidati dall’intelligenza artificiale che regola proprio il centro della U.S. Robots. Il fine è “mettere al sicuro” la razza umana dalla sua stessa fallacità controllando ogni singolo aspetto della sua esistenza e utilizzando esclusivamente il ragionamento razionale. Il risultato è andare ad eliminare qualsiasi tipo di emozione dal mondo. Al termine di questo scontro, dunque, Spooner cambierà la sua idea sui robot riconoscendo a Sonny una parità in quanto creatura vivente e non cosa. Allo stesso tempo, poi, a lui spetterà il compito di guidare gli altri prototipi di robot verso, forse, una presa di coscienza delle loro potenzialità.
Le differenze tra racconto e film
Quando nel 2004 è stata presentata la pellicola, gli appassionati di questo genere letterario hanno evidenziato immediatamente quanto il film si distaccasse dalla creatura di Asimov. In effetti, il regista Proyas e, in modo particolare, gli sceneggiatori Jeff Vintar e Akiva Goldsman hanno scelto d’spirarsi all’opera dello scrittore russo, estrapolando gli elementi essenziali o di maggior interesse. In effetti sarebbe stato difficile fare altrimenti dovendo confrontarsi con un corpo letterario veramente vasto.
Senza stare a considerare le oltre 500 pubblicazioni a firma di Asimov, solo Il Ciclo dei Robot è composto da più di trenta racconti che accompagnano il lettore all’interno dei misteri della robotica così come l’autore li aveva pensati e strutturati. Inutile dire che aggirarsi tra tanto materiale, riuscendo a trovare un filo logico narrativo da rendere adatto al mezzo cinematografico non è stato un lavoro semplice.
Nonostante la missione quasi impossibile, però, è bene ricordare che il team di Proyas non è stato certo il primo a immaginare un film tratto dai romanzi di Asimov e, soprattutto, ad avere l’ardire di raccogliere la sfida. Nel 1977, infatti, Harlan Ellison, un amico dello scrittore, aveva già scritto una bozza di sceneggiatura che, però, non è mai arrivata sul tavolo di un produttore di Hollywood. Chissà se gli sceneggiatori di Io, Robot hanno avuto l’opportunità di leggerla.
Il rapporto tra il creatore e la sua creatura
L’elemento centrale intorno al quale si muove tutta la narrazione del film e che influenza anche il finale, è il rapporto tra l’uomo e le macchine, tra il creatore e la sua creatura. Si va costruendo, così, una relazione duplice in cui si affrontano un evidente senso di superiorità e una chiara dipendenza pratica.
In sostanza, dunque, in questo rapporto l’uomo assume una posizione di dominio, definendosi come la creatura perfetta destinata a creare grazie a quell’insieme di sentimenti, emozioni, ragionamenti e libero arbitrio che definisce la sua anima. Come Spooner ricorda in una delle prime scene, un robot può produrre un’opera perfetta, un capolavoro dal punto di vista tecnico, ma riesce ad infondere l’emozione in questo?
Ovviamente no. Una macchina non ha la complessità e le variabili che definiscono la natura umana. Di fronte a questa sicurezza, però, lo stesso Asimov ha posto l’inconveniente, la variabile con cui confrontarsi capace di mettere in discussione ogni teoria.
Si tratta del personaggio di Sonny che, nella sua eccezionalità, mette in crisi le certezze dell’uomo. Il robot, infatti, agisce in modo diverso rispetto agli altri, dimostrando di poter possedere una sfera emotiva grazie all’intervento del suo creatore, che lo ha immaginato e progettato in questo modo con uno scopo ben preciso.
Tirando le fila del discorso, dunque, possiamo dire che il film e la materia proposta da Asimov si sviluppano su due strade che, a un certo punto, sono destinate ad incontrarsi. La prima mette in evidenza l’ascesa e la caduta della cultura umanista.
L’uomo posto al centro dell’universo, infatti, ha assunto un senso d’onnipotenza che, con il tempo, diventa anche la sua maggior debolezza. Nel continuo processo creativo, volto solo ad avere nuovi ambiti su cui dominare, rischia di cadere vertiginosamente dal suo piedistallo a causa degli errori commessi e per mano delle sue stesse creature.
La seconda, invece, racconta come la situazione possa trovare l’unica soluzione possibile attraverso l’accettazione dell’altro e la cooperazione. E poco importa se in questo caso ci si stia interfacciando con un robot. Il concetto non cambia. Per Asimov, come per il regista, l’accettazione di non vedersi come l’essere superiore per eccellenza è l’unica possibilità che l’uomo ha per sopravvivere a se stesso.
Il finale: il sogno di Sonny
Prima di andare avanti cercando di spiegare il significato del finale di Io, Robot è necessario fare una puntualizzazione. Asimov, attraverso i suoi romanzi, ha sempre parlato all’uomo mettendolo in guardia dai suoi stessi errori, passati e futuri. E lo fa utilizzando proprio le immagini allegoriche di un mondo fantascientifico che ancora non esiste, ma in cui è possibile rintracciare i “i vizi” in cui la natura umana tende a cadere.
Non è un caso, dunque, se in Io,Robot troviamo il tentativo di un “colpo di stato” o, se vogliamo una rivoluzione, diretta dalla dittatura di un’intelligenza artificiale. In questo caso, però, più che significati politici è opportuno ricercare delle motivazioni sociale e culturali.
Alla base di tutto, infatti, c’è il preconcetto di superiorità della razza, in questo caso quella umana nei confronti di quella robotica. Una convinzione che pone una delle due parti a credere in una sorta d’invincibilità. L’uomo è destinato a governare il mondo e per fare questo si è autoincoronato per volere divino.
La soluzione di questa situazione potenzialmente detonante, però, è custodita nel sogno di Sonny che, oltretutto, rappresenta anche l’epilogo del film. Grazie al suo secondo cervello, infatti, il robot riesce a produrre dei sogni. Anzi, solamente uno e ricorrente. Si tratta di un paesaggio all’apparenza spoglio in cui si staglia in lontananza la figura di un uomo su di una collina mentre guarda nella vallata dove ad attenderlo c’è una folla.
E nell’epilogo del film Sonny si trova proprio in questa posizione a guardare davanti a se una moltitudine di suoi simile cui, però, deve portare un messaggio importante: quello dell’individualità e, soprattutto, del libero pensiero che, insieme alla parte emozionale, rende autonoma qualsiasi creatura dal dominio della massa. In questo senso, dunque, Io, Robot può essere considerato come un manifesto “antico” ma sempre attuale di libertà e collaborazione tra le genti per donare a tutti la possibilità di vivere il proprio personale umanesimo.