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Home » Film » Io sono l’abisso: la spiegazione del finale del thriller di Donato Carrisi

Io sono l’abisso: la spiegazione del finale del thriller di Donato Carrisi

La spiegazione del finale di Io sono l'abisso, thriller di Donato Carrisi disponibile su Netflix e su NOW TV.
Simone FabrizianiDi Simone Fabriziani21 Febbraio 20239 min lettura
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Io sono l'abisso
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Lunedì 20 febbraio è arrivato su Netflix, Sky Cinema e per tutti gli abbonati di NOW TV Io sono l’abisso, nuovo sforzo dietro la macchina da presa per Donato Carrisi. Autore letterario di thriller best-seller in Italia, Carrisi ha debuttato come regista cinematografico adattando i suoi stessi romanzi: prima La ragazza nella nebbia (2017) con Toni Servillo, poi il meno apprezzato L’uomo nel labirinto due anni dopo, sempre con l’attore campano e il premio Oscar Dustin Hoffman. Con Io sono l’abisso, ugualmente ispirato a uno dei suoi best-seller di maggior successo, l’autore tarantino firma la sua terza regia per il grande schermo.

Nella nostra spiegazione del finale di Io sono l’abisso, ci addentreremo nell’intricata struttura narrativa del film uscito nelle sale italiane il 27 ottobre 2022 con Vision Distribution, a cavallo tra suggestioni psicologiche e ciclicità tematiche particolarmente inquietanti. Un ottimo thriller che, nonostante la sua matrice letteraria, prova a portare nelle sale nostrane una visione del brivido originale e inedita per la storia recente del nostro cinema.

Di cosa parla Io sono l’abisso?

Io sono l'abisso

Come per tutti i grandi thriller, non è possibile comprendere il finale del racconto se non si tirano le fila dei suoi personaggi e delle relazioni che si intessono tra di essi sin dall’inizio. Io sono l’abisso, così come il romanzo omonimo di Donato Carrisi da cui è tratto, comincia con un flashback: vediamo un bambino accompagnato da una madre crudele e negligente gettarsi con i braccioli all’interno di una piscina malandata; con i minuti che passano, capiamo che i braccioli sono stati deliberatamente manomessi dalla donna affinché suo figlio affogasse. La madre, senza battere ciglio, si alza e va via dalla piscina non appena nota che il bambino sta per affogare. Per fortuna, una volta toccato il fondo della piscina, il piccolo riesce a risalire e a salvarsi, ma non prima di subire un trauma cerebrale irreversibile che, e questo lo scopriamo quando l’azione si sposta al presente, lo ha trasformato in un adulto sociopatico divenuto serial killer di donne bionde di mezza età.

I fatti del presente narrativo si svolgono tutti nei pressi del Lago di Como (anche in questo caso, l’elemento dell’acqua come decisivo per la trasformazione o l’evoluzione dei suoi personaggi in un modo o nell’altro), ed è qui che ci vengono presentati i tre cardini fondamentali del sistema dei personaggi di Io sono l’abisso: da una parte l’uomo che pulisce (Gabriel Montesi), netturbino serial killer di donne bionde di mezza età che crede che per capire l’anima degli esseri umani basti leggere nella loro spazzatura, dall’altra la ragazza con il ciuffo blu (Sara Ciocca), adolescente di buona famiglia che vive una doppia vita carica di sofferenza.

Quest’ultima, pur di evitare che alcuni video compromettenti trapelino in rete, si prostituisce spronata in malafede da alcuni suoi coetanei malintenzionati; per sfuggire una volta per tutte a questo mal di vivere, la ragazza senza nome cerca di affogarsi sulle rive del lago, ma viene salvata inaspettatamente dal netturbino, che però dopo averla tirata fuori dall’acqua si allontana portandosi via lo zainetto con all’interno gli effetti personali dell’adolescente. Tutto questo non prima di aver inavvertitamente lasciato sul luogo del salvataggio un elemento che avrebbe potuto incastrarlo: un’unghia smaltata della donna bionda che aveva assassinato a sangue freddo la notte precedente.

Un mondo di personaggi senza nome

Io sono l'abisso

Badate bene che i tre personaggi cardine di Io sono l’abisso, come accade effettivamente nel romanzo originario, non possiedono nomi propri, assumendo così significati e valenze fortemente archetipiche. Ed è qui che entra in scena il terzo, fondamentale protagonista: la cacciatrice di mosche (Michela Cescon), una donna dal background traumatico che, dopo essere uscita da un istituto psichiatrico per alcuni anni, occupa le sue giornate a proteggere donne vittime di abusi in virtù del suo passato come assistente sociale. Il rinvenimento nel lago del corpo della donna bionda uccisa dal netturbino di cui nessuno conosce l’identità, sarà il grimaldello per la cacciatrice di mosche per indagare sul movente e il possibile assassino. Un’indagine che, dopo varie vicissitudini, la porterà a collegare l’efferato femminicidio alla stessa persona che inavvertitamente aveva lasciato sul corpo della ragazza col ciuffo blu l’unghia smaltata.

Il personaggio femminile interpretato da Michela Cescon è decisamente quello più interessante del film, in quanto i dettagli del suo passato sono strettamente legati all’enigmatico finale di Io sono l’abisso, a cui arriveremo più avanti. In uno dei primi flashback, assistiamo al passato traumatico della donna, assistente sociale che viene chiamata d’urgenza all’ospedale per scoprire che suo figlio, Diego, aveva accoltellato la fidanzata Valentina; un evento che aveva poi portato all’incarcerazione del figlio violento fino alla lenta discesa della cacciatrice di mosche in uno stato mentale instabile e fragilissimo. Tempo che però le era servito per continuare il lavoro di protezione delle persone più deboli, in questo caso le donne vittime di abusi; per questo motivo le sta così a cuore risolvere il mistero dietro alla serie di omicidi di donne dai capelli biondi. Un dettaglio fisiognomico, quest’ultimo, che ha a che vedere con un altro grande trauma raccontato nel film, ovvero quello legato al passato oscuro del netturbino di Gabriel Montesi.

La ciclicità del male e del destino umano

Io sono l'abisso

Perché l’uomo delle pulizie senza nome uccide donne di mezza età, sole e dai capelli dorati? Molto semplice, perché il trauma di una madre negligente e dallo stesso colore di capelli che ha tentato di lasciarlo affogare in una piscina e poi lo ha abbandonato, lo ha talmente segnato nel corpo e nella mente che adesso l’inquietante personaggio interpretato da Montesi si camuffa con capelli e baffi finti per adescare vittime femminili che gli ricordino la fisionomia della cattiva madre. Un modus operandi che l’uomo instabile ascrive ai suggerimenti del misterioso “Miki”, un uomo di cui vediamo soltanto la silhouette oltre la porta verde di casa con il quale il killer dialoga prima di compiere un’azione efferata. Ovviamente, più avanti nel film scopriamo che oltre la porta verde non c’è nessun Miki, e che in realtà il netturbino sta soltanto parlando con se stesso. Ma allora perché non ha ucciso la ragazza col ciuffo blu, nonostante l’abbia salvata e sappia con sicurezza che la sua identità di femminicida sia ormai in pericolo?

Forse Donato Carrisi ci sta suggerendo che tutto nella vita può assumere contorni e valenze cicliche: dall’innocenza di un bambino senza colpe che rischia di affogare a causa di una madre può nascere il male come cieca giustizia privata; da questo male quasi archetipico e senza nome, allo stesso tempo, può tuttavia sorgere anche una forma di bene inaspettato, di legame emotivo. Proprio come quello che scaturisce tra il killer e l’adolescente interpretata da Sara Ciocca, un filo rosso che lega due anime sconquassate da traumi di differente natura, ma che condividono l’elemento acquatico come fonte di plasmazione e tramutazione del proprio essere: se il netturbino omicida origina il suo trauma “negli abissi” della piscina in cui stava affogando anni prima, la ragazza di Como cerca di porre fine alla sua vita gettandosi nello specchio lacustre, salvo essere poi salvata da questo angelo oscuro…

Cosa succede nel finale di Io sono l’abisso?

Io sono l'abisso

Arriviamo dunque all’ultimo atto di questo tesissimo thriller psicologico e alla nostra spiegazione del finale di Io sono l’abisso. La risoluzione della tripla struttura narrativa del film, che si dipana dai protagonisti senza nome interpretati da Gabriel Montesi, Sara Ciocca e Michela Cescon, arriva con un’epifania della cacciatrice di mosche e un’azione decisiva messa in atto dalla ragazza col ciuffo blu. Quest’ultima, determinata a entrare in contatto una volta per tutte con il suo salvatore e riavere il proprio cellulare nello zainetto, prende in prestito lo smartphone dei genitori e rintraccia la posizione del dispositivo di sua proprietà, scoprendo quindi dove vive il suo angelo senza ali. Allo stesso tempo, dopo essere stata precedentemente aggredita dall’uomo con una busta dell’immondizia premuta sul volto, la cacciatrice ha una rivelazione mentre si trova a passeggiare sul lungolago, accanto a un secchio della spazzatura: l’uomo che stanno cercando è il netturbino.

Nel momento in cui la ragazza si reca a casa del killer per riavere il cellulare e ringraziarlo di averla salvata, fa una scoperta angosciante: l’uomo è in realtà un assassino disturbato che parla con un immaginario “Miki” al di là di una porta verde (in un flashback successivo scopriremo che il nome fa riferimento al patrigno del bambino, uomo violento della madre negligente che potrebbe aver abusato anche di lui in passato). L’arrivo della polizia in casa fa in modo che l’alter ego psicotico del femminicida non abbia il sopravvento sull’altra parte ragionevole, tanto che alla fine l’adolescente è salva, mentre il netturbino viene letalmente colpito dagli spari delle pistole; i due, ragazza e salvatore, si ritrovano a salutarsi una volta per tutte avvolti dallo scroscio dell’acqua dei rilevatori di fumo (di nuovo, Carrisi enfatizza il valore narrativo di questo elemento) con un significativo scambio di parole: “Da piccolo stavo per affogare in una piscina. Forse era meglio”. “Se tu fossi affogato, non mi avresti mai salvata”.

Uno scambio di dialoghi che sottolinea ancora una volta quanto per Donato Carrisi male e bene non siano mai valori assoluti, e quanto invece possano compenetrarsi e sostituirsi l’uno con l’altro nella ciclicità del destino degli esseri umani. Un destino che appare ancor più beffardo quando, nel flashback del film che corrisponde all’ultima scena di Io sono l’abisso, scopriamo che l’assistente sociale che nel passato si era presa cura del ragazzo quasi affogato in piscina era la nostra cacciatrice di mosche, a quel tempo incinta di suo figlio, Diego. Ancora una volta, a riprova che i protagonisti senza nome del film non riescono a sfuggire a una ruota del fato che ha attraversato vite e generazioni indissolubilmente legate dai fantasmi di traumi del passato e del presente.

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