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Home » Film » Isabelle Huppert in Elle: se la vittima diventa carnefice

Isabelle Huppert in Elle: se la vittima diventa carnefice

In Elle, corrosivo thriller di Paul Verhoeven, Isabelle Huppert domina la scena con una performance magistrale sospesa fra tensione e ironia.
Stefano Lo VermeDi Stefano Lo Verme16 Marzo 20235 min lettura
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isabelle huppert in elle
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Michèle Leblanc si rialza dal pavimento, raccoglie i frammenti delle ceramiche rotte e poi si immerge nella vasca da bagno, dissipando con un gesto le tracce di sangue che affiorano in superficie; quindi ordina del sushi al telefono, premurandosi di chiedere cosa sia un holiday roll, e accoglie tranquillamente il figlio Vincent (Jonas Bloquet) per cena, liquidando i lividi sul volto come un banale incidente in bicicletta. Nulla di anomalo, se non per l’agghiacciante “fuori campo” che funge da incipit di Elle: lo stupro che si è appena consumato nel soggiorno della donna, imprenditrice a capo di un’azienda di videogame. Ma se non fosse per quella macchia rossa che si materializza per un attimo nell’acqua della vasca, nulla farebbe intuire la violenza di cui Michèle è appena stata vittima; forse, perché è lei per prima a non considerarsi come tale. E del resto nulla, nel comportamento e nello sguardo di Isabelle Huppert, può farci apparire Michèle alla stregua di una vittima.

È l’assunto su cui si innesta il film di Paul Verhoeven, presentato al Festival di Cannes il 21 maggio 2016 per poi debuttare, quattro giorni dopo, nelle sale francesi: la storia di una donna che rifiuta di farsi traumatizzare da quanto ha subito, pur senza sottovalutare il rischio di una nuova aggressione, e che nel frattempo si adopera per mantenere un ferreo controllo su ogni aspetto della propria esistenza, lavorativo, familiare o privato. Se dunque, a giudicare dalle sequenze iniziali, Elle sembrerebbe inserirsi nel filone dei revenge movie, ecco che da una scena all’altra il tono narrativo tende a mutare e a oscillare, mescolando i piani e i registri: la suspense si sposa all’ironia, il dramma psicologico alla commedia grottesca. Un amalgama imprevedibile alla radice del sorprendente successo dell’opera, che però difficilmente sarebbe diventata un instant classic se non fosse stato per l’apporto della sua splendida interprete, ricompensata con il Golden Globe e il premio César come miglior attrice, nonché con la sua prima nomination all’Oscar.

Isabelle Huppert fra ambiguità e lati oscuri

Eppure, in origine il progetto di Elle avrebbe potuto prendere una direzione ben diversa. L’olandese Paul Verhoeven, regista di Basic Instinct, sceglie il romanzo Oh…, pubblicato nel 2012 da Philippe Djian, per il suo ritorno dietro la macchina da presa, e vorrebbe realizzarne una trasposizione negli Stati Uniti; ma la difficoltà nel reperire i finanziamenti, nonché una star hollywoodiana disposta a calarsi in una parte tanto audace, lo spinge a girare il film in Francia. E qui, la scelta di Isabelle Huppert risulta quanto mai naturale: perché Michèle Leblanc è un personaggio a cui l’attrice sessantaduenne dà vita con una disinvoltura e, al contempo, una presenza scenica che impediscono di staccarle gli occhi di dosso. D’altronde, la carriera pluridecennale della Huppert è stata costruita attorno a figure incisive ed ambigue, spesso caratterizzate da una passionalità intensa, da una strenua determinazione e da conturbanti lati oscuri.

Parigina, classe 1953, Isabelle Huppert ha già avuto modo di mettere in luce il proprio talento (un titolo su tutti, La merlettaia di Claude Goretta) quando, nel 1978, inaugura un fortunato sodalizio con Claude Chabrol, regista specializzato nell’esplorare fragilità e perversioni dell’animo umano: da Violette Nozière a Un affare di donne, da Il buio nella mente a La commedia del potere, Isabelle incarnerà per Chabrol alcune fra le sue antieroine più memorabili. Ma in Michèle Leblanc, che si districa fra complicatissime relazioni parentali, messaggi minatori, l’ombra di un tormentoso passato e la stuzzicante attrazione per il vicino Patrick (Laurent Lafitte), si riflettono inesorabilmente molti di quei ruoli che, negli anni precedenti, avevano contribuito a definire l’immagine d’attrice della Huppert. Insomma, quasi una sorta di compendio dei motivi per cui, ben prima di Elle, si era conquistata la venerazione di legioni di cinefili.

Michèle Leblanc: il ghiaccio che brucia


La durezza dei personaggi più celebri di Isabelle Huppert, in primis l’indimenticabile Erika Kohut de La pianista, riecheggia nello spiccio pragmatismo di Michèle, nella schiettezza ruvida e autoritaria che sfodera sia nel proprio ufficio, sia fra le pareti domestiche. Paul Verhoeven e lo sceneggiatore David Birke non esitano a calcare la mano in tal senso, ma è la Huppert, in impeccabile equilibrio fra spontaneità e autocontrollo, a esaltarne la carica sarcastica, senza però sconfinare nella (auto)parodia; perfino nell’atto di descrivere la componente pulp del suo videogame («Quando il giocatore sbudella un orco deve sentire il sangue che gli cola fra le dita, tiepido e denso, se possibile»), nel replicare all’eccentrica madre Irène (Judith Magre) di essere pronta a ucciderla qualora dovesse risposarsi, o nella ghignante soddisfazione per aver nascosto uno stuzzicadenti nell’involtino della propria ‘rivale’.

Michèle, in altre parole, apre il film nei panni della vittima, ma trascorrerà le due ore successive a dimostrarci di essere la più machiavellica, la più sfrontata, la più adorabile delle villain. Quando l’amica del cuore Anna (Anne Consigny) le fa notare che il suo tradimento è ignobile, lei impassibile rincara la dose: «Anche peggio, volendo». E quando il suo violentatore si accinge a stuprarla ancora, stavolta a viso scoperto, Michèle ribalta i rapporti di potere con i suoi gemiti orgasmici, rivelando che ora è lei a condurre la partita. Glaciale ma appassionata, severa quanto caustica, la protagonista di Elle è un meraviglioso coacervo di contraddizioni: proprio come Isabelle Huppert, attrice dal fascino ipnotico, capace di smarcarsi da ogni stereotipo per tenerci sospesi su quella linea sottile fra il bene e il male. Senza chiedere agli spettatori di esprimere giudizi, ma accontentandosi di irretirci in un malizioso patto di complicità.

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