«Voglio che tu vada a cercarla e dirle che l’ho pensata»: l’ultimo desiderio del soldato Jody (uno struggente Forest Whitaker) e la promessa pronunciata dal suo carceriere Fergus (Stephen Rea), membro di una cellula dell’IRA, sono il preludio al secondo atto de La moglie del soldato. Se infatti, per la prima mezz’ora, il pubblico assiste a una sorta di dramma carcerario ambientato nei pressi di Belfast, l’irruzione dell’esercito britannico trasforma all’improvviso il film di Neil Jordan in qualcosa di diverso: Fergus, fuggito in incognito dall’Irlanda del Nord, si reca a Londra sotto il nome di Jimmy, con l’intento di rintracciare la “moglie del soldato” e adempiere al proprio giuramento. Dunque è solo dopo trentotto minuti che, mediante lo sguardo dell’uomo, posiamo per la prima volta gli occhi su Dil, il personaggio interpretato da Jaye Davidson, da cui Fergus non tarderà a lasciarsi irretire.
Analizzare il ritratto di Dil implica giocoforza parlare di uno dei twist narrativi più celebri e significativi negli annali del cinema: un colpo di scena che a partire dal 30 ottobre 1992, data d’uscita della pellicola in Gran Bretagna, contribuirà a rendere La moglie del soldato un autentico fenomeno di massa, grazie a un passaparola alimentato in parte proprio dal segreto costruito attorno alla figura di Dil. Realizzato dal regista irlandese Neil Jordan con un modestissimo budget, The Crying Game (il titolo originale deriva dall’omonima canzone di Dave Berry e sarà adottato da Jordan su consiglio di Stanley Kubrick) viene distribuito in America dalla Miramax, registrando ben quindici milioni di spettatori e rivelandosi uno dei film più acclamati dell’anno. La sua consacrazione fra i nuovi classici del cinema moderno è accompagnata da numerosi riconoscimenti, fra cui il premio Oscar per la miglior sceneggiatura su un totale di sei nomination, incluse quelle come miglior film e per l’esordiente Jaye Davidson.
Il debutto di Jaye Davidson, attore per caso
La candidatura di Davidson nella categoria per il miglior attore supporter è legata alla svolta narrativa che si consuma oltre la metà del racconto, quando Fergus, in procinto di avere un rapporto sessuale con Dil, scopre che la ragazza a livello biologico è un maschio. L’effetto-sorpresa di questo specifico momento fa leva sulla perfetta credibilità di Dil, o meglio del ventiquattrenne Jaye Davidson, che con il suo corpo longilineo, la roca dolcezza della voce e i tratti delicati del viso, incorniciato da una cascata di riccioli corvini, incarna magnificamente la femminilità di Dil. Nato in California, con origini africane dal ramo paterno, e cresciuto con la madre in Inghilterra, Jaye Davidson (il suo vero nome è Alfred Amey) approda sul set di Neil Jordan quasi per caso: notato al party di fine riprese di Edoardo II di Derek Jarman, viene contattato per un provino per il ruolo da co-protagonista del film di Jordan in virtù di una bellezza inusuale ed androgina, che sarà poi il tratto distintivo di Dil.
Davidson, che lavora nel campo della moda e non coltiva ambizioni da attore, si dimostra pertanto una di quelle scelte di casting dall’ispirazione miracolosa: dal primo incontro tra Fergus e Dil, La moglie del soldato si regge soprattutto sul loro rapporto e sull’idea che Fergus, subito attratto da lei, si ritroverà presto ad innamorarsene, anche dopo averne scoperto l’identità transgender. «Chi li conosce i segreti del cuore umano?», è la battuta sorniona di Jim Broadbent nei panni di Col, il barista del Metro: il locale in cui Dil, dopo il suo lavoro diurno come parrucchiera, si materializza in uno sfavillante abito dorato per esibirsi sulla malinconica melodia di The Crying Game, sprigionando il proprio incantesimo su Fergus. Se il suo ingresso nella storia è anticipato dalle parole del ‘marito’ Jody, in seguito Dil resta comunque circondata da un alone di mistero: è una creatura notturna e sfuggente che, dietro la maschera da femme fatale, cela un incommensurabile bisogno d’amore.
About the crying game: il ritratto di Dil
Dalla sua prima apparizione sullo schermo, ogni gesto di Dil è caratterizzato da un fascino magnetico: che affondi le mani nei capelli di Fergus, lanci sguardi seduttivi dal bancone del Metro o intrattenga gli avventori con le sue doti di cantante, la ragazza è connotata da un’eleganza quasi teatrale, pur senza risultare mai affettata né scivolare nella caricatura. Ma accanto alla fierezza e al sex appeal, sfoderati appieno durante la sua comparsa nel cantiere dove lavora Fergus, l’elemento più interessante del personaggio risiede nella sua profonda vulnerabilità: Dil, che prima dell’arrivo di Fergus convive con un balordo poco raccomandabile, a tratti pare rassegnata ad essere oggetto di abusi e perfino di violenze fisiche. «Io posso sopportare tutto, ma non sulla faccia», replica con un filo di voce alla brusca reazione di Fergus al suo segreto; e quando lui, per proteggerla dalle rappresaglie degli ex commilitoni dell’IRA, vorrebbe tramutarla in un maschio, Dil gli domanda: «Ti piacerei di più come un uomo? E non mi lasceresti mai?».
In questo melodramma al contempo durissimo e di inusitato romanticismo, la purezza del sentimento tra Fergus e Dil riflette il tema al cuore della vicenda: la necessità di assecondare la propria natura, come ribadito in una duplice occasione attraverso la parabola della rana e dello scorpione. E Dil, che abbandona le proprie difese per riporre una cieca fiducia in Fergus, aderisce con tutta se stessa alla sua natura di donna innamorata, disposta a farsi tagliare i capelli, così come a impugnare una pistola nel ‘duello’ finale con la Jude di Miranda Richardson, modello opposto di femminilità oscura e ferina. Sull’onda del successo de La moglie del soldato, nel 1994 Jaye Davidson tornerà davanti alla macchina da presa prestando il volto a un crudele Ra dalle sembianze efebiche nel blockbuster di fantascienza Stargate; dopodiché, insofferente alla fama ottenuta, abbandonerà per sempre la professione di attore. Eppure, è bastato il suo sensazionale debutto nel capolavoro di Neil Jordan a disegnare una delle figure più conturbanti e indelebili che il cinema ci abbia presentato negli ultimi trent’anni.