C’era una volta un principe che viveva all’interno del suo castello incantato: un incipit classico, ma che come sappiamo può essere l’inizio di una fiaba bellissima ed avvincente, come nella migliore tradizione della letteratura per ragazzi. Allo stesso modo comincia La Bella e la Bestia, 30° lungometraggio d’animazione Disney che il 2 dicembre 2022 compie esattamente trent’anni dalla sua uscita nelle sale italiane.
Trent’anni che hanno contribuito a sedimentare l’eredità del cartoon non soltanto nell’immaginario collettivo della generazione a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, ma anche di quelle future; non è un caso che ancora oggi, La Bella e la Bestia è considerato a tutti gli effetti un capolavoro irraggiungibile di tecnica ed avanguardia nell’animazione, così come uno dei più riusciti esperimenti da parte della major hollywoodiana di portare nelle sale di tutto il mondo un lungometraggio animato destinato a tutte le famiglie. Questa volta, veramente.
Una fiaba per domarle tutte
Due anni prima dell’uscita nelle sale statunitensi de La Bella e la Bestia, la Walt Disney Animation Studios aveva fatto inaspettati sfracelli al box-office internazionale con La Sirenetta, nuova trasposizione della fiaba di Hans Christian Andersen dal successo immediato; merito di una formula narrativa e visiva completamente rinnovata che aveva fatto uscire la casa di produzione americana da un decennio, gli anni ’80, particolarmente poco fecondo dal punto di vista artistico e remunerativo. Con innovative e strabilianti tecniche di animazione e un tessuto narrativo che strizzava l’occhio anche ai grandi musical della tradizione di Broadway, La Sirenetta aveva fatto centro e la Walt Disney Animation Studios era tornata in auge, più in forma che mai.
A contribuire al successo strepitoso della nuova formula Disney anche la volontà artistica di riprendere le fila del discorso sulla trasposizione delle più grandi fiabe della tradizione letteraria per piccoli e ragazzi, aggiornandole con un linguaggio cinematografico moderno, all’avanguardia ed indirizzato ad una audience costituita da tutta la famiglia. La Bella e la Bestia di Gary Trousdale e Kirk Wise ne è forse l’esempio più fulgido nella rinnovata tradizione dei classici d’animazione del cosiddetto “Rinascimento Disney”.
Un capolavoro d’animazione innovativa
Innanzitutto, l’adattamento della fiaba omonima di Madame LePrince de Beaumont è un vero e proprio capolavoro di animazione tradizionale e di tecniche all’avanguardia per i primi anni ’90; dopo gli esperimenti de La Sirenetta e Bianca e Bernie nella terra dei canguri, La Bella e la Bestia è il primo lungometraggio dove viene ufficialmente integrata la tecnica del CAPS (Computer Animation Production System), capace di mescolare con risultati irripetibili per il periodo di realizzazione animazioni “a mano” e sfondi o dettagli in primo piano generati dall’animazione tridimensionale.
Il risultato finale è un blend accattivante ed assolutamente innovativo che ha letteralmente lasciato a bocca aperta gli spettatori del tempo: basti pensare al celeberrimo prologo del film, che dischiude all’occhio degli spettatori il magnifico castello della Bestia, nascosto tra le fronde degli altissimi e rigogliosi alberi che costituiscono la foresta che cinge l’edificio antico. La sensazione è quella che ci sia un vero e proprio effetto di tridimensionalità, di spazio vitale in cui si muovono oggetti, dettagli, animali ed esseri umani. Un approccio “giottesco” che rende più concreta e verosimile la storia universale che racconta il capolavoro di Trousdale e Wise.
Chi mai avrebbe potuto innamorarsi di una bestia?
Se molta è farina nel sacco della fiaba originaria di Madame LePrince de Beaumont, il 30° classico d’animazione Disney deve gran parte del suo successo e del suo fascino sempiterno anche alla costruzione dei personaggi e delle relazioni che si intessono tra di loro. La Bella e la Bestia è innanzitutto una fiaba cinematografica fortemente femminista dove il personaggio di Belle, ancor più che nel racconto francese, viene introdotta come una ragazza “bizzarra, atipica ed eccentrica”, amante della lettura e della vita indipendente; un desiderio che viene visto in malo modo della mentalità provinciale del villaggio in cui vive e dal campagnolo Gaston, pretendente alla mano della ragazza e troglodita di prim’ordine, tra narcisismo patologico e muscoli bene in vista.
“Deve esserci qualcosa di più in questa vita!” canta Belle in una delle canzoni più melodiche del lungometraggio, enfatizzando quanto sia il suo personaggio quello prescelto a spezzare l’incantesimo che tiene in ostaggio la Bestia e tutti gli altri inquilini nell’ombroso castello. Lei, Belle, che non cade vittima del fascino narcisistico e volgare di Gaston, ma che finisce per innamorarsi perdutamente di una creatura magica dall’aspetto leonino e dall’animo scontroso, lei che va oltre le apparenze e trova l’amore nel principe nascosto sotto le fattezze di una bestia che avrebbe intimorito chiunque. Eccola quindi una delle lezioni più importanti del capolavoro animato del 1991: per imparare ad amare veramente, bisogna andare oltre le apparenze perché ingannevoli. Il vero mostro non è colui che ne ha l’aspetto esteriore, ma molto spesso lo può diventare chi invece è semplicemente accecato dall’ignoranza e dal senso della prevaricazione di genere. Mica poco per un classico d’animazione targato Disney che si stava finalmente rivolgendo ad un pubblico trasversale, che potesse abbracciare e convincere figli, genitori e nonni al medesimo tempo.
Un musical degno di Broadway
Infine, impossibile non celebrare ancora una volta, a distanza di trent’anni, l’asso nella manica più ascrivibile al successo globale de La Bella e la Bestia: il suo straordinario tessuto musicale. La coppia formata da Alan Menken e Howard Ashman (rispettivamente, compositore e paroliere), forte del successo e degli Oscar vinti due anni prima per La Sirenetta, intesse una sfilza di canzoni memorabili, dalla ballata romantica “Beauty and the Beast” alla festosa e corale “Be Our Guest”, degna delle coreografie innovative e all’avanguardia di Busby Berkeley e nella migliore tradizione di Broadway. Uno spettacolo melodico accattivante e dannatamente orecchiabile che ha commosso e divertito intere generazione e che continua a farlo con la stessa, irresistibile malia romantica e spensierata.
Un’eredità ingombrante quella de La bella e la bestia, ma che a trent’anni di distanza non cessa di plasmare l’immaginario collettivo di grandi e piccini di ogni generazione ed influenzare la produzione di quei lungometraggi d’animazione che, nel bene o nel male, devono tutti qualcosa alla formula vincente Disney che ha trovato forse la sua massima espressione artistica nel capolavoro diretto da Gary Trousdale e Kirk Wise. Chi lo avrebbe mai potuto immaginare trent’anni fa?