Esattamente quarant’anni fa, il 25 novembre 1982, faceva il suo debutto nelle sale italiane La Cosa di John Carpenter. Con il suo peculiare miscuglio di horror lovecraftiano e fantascienza, il film non riuscì a fare breccia nel cuore del pubblico italiano, così come del resto, qualche mese prima, non lo aveva fatto neppure in quello americano.
L’adattamento del racconto La cosa da un altro mondo di John W. Campbell proposto dal regista di Fuga da New York venne ritenuto troppo desolante, sinistro e inquietante, soprattutto in un anno che aveva visto affermarsi una prospettiva sci-fi ben più confortante e amichevole, come quella di E.T. L’extraterrestre di Steven Spielberg.
Da molti, La Cosa fu considerato poco più che un brutto “rifacimento al rovescio” del film di Howard Hanks, che già aveva adattato il racconto di Campbell nel 1951 con tonalità ben più ottimistiche e patriottiche.
Solo il passare degli anni rese giustizia al capolavoro di Carpenter, e lo consacrò come uno dei migliori film cult di tutti i tempi. Il lungometraggio venne visto e rivisto da milioni di persone, e finì per entrare a far parte integrante dell’immaginario collettivo.
Ad alimentare ogni tipo di teoria, congettura e discussione è soprattutto il finale aperto proposto da Carpenter, agli antipodi dell’epilogo della pellicola di Howard Hanks (“Ditelo a tutti, ovunque si trovino. Dovunque, scrutate il cielo!”). Vediamo di approfondire la questione con questa spiegazione del finale de La Cosa.
Che cosa succede nel finale de La Cosa?
Dopo una dura lotta senza quartiere contro un’entità aliena ritrovata tra i ghiacci dell’Antartide da un’equipe di ricercatori norvegesi, solo due membri della vicina base americana riescono a sopravvivere al massacro: il protagonista R. J. MacReady, interpretato da Kurt Russell, e il meccanico Childs (Keith David).
A rendere particolarmente letale l’entità è la sua capacità di assumere le sembianze altrui, e di spostarsi fulmineamente da un organismo all’altro, contagiandolo.
MacReady, con un gesto disperato, fa saltare in aria con la dinamite tutto ciò che resta della base di ricerca, con all’interno l’alieno mutaforma che ha seminato paura, sospetto e morte tra i suoi compagni.
Il nemico è stato probabilmente distrutto tra le fiamme, e il protagonista cade a terra, distrutto dalla fatica. Viene raggiunto da Childs, che gli si avvicina, affermando di essersi perso nella tormenta di neve, nella convinzione di avere seguito la sagoma di Blair.
I due uomini osservano il rogo, consapevoli di essere destinati a morire per ipotermia, ma di essere quantomeno riusciti ad annientare l’entità. A meno, ovviamente, che uno di loro non sia stato contagiato…
Il dubbio viene esplicitato, ma non trova risposta. “Perché non aspettiamo qui ancora un po’, e vediamo che succede?” suggerisce MacReady, prima di offrire al suo compagno una sorsata di whiskey. Childs accetta: il protagonista sorride amaramente, e il film si conclude.
Le tre versioni alternative
John Carpenter era ben consapevole del fatto che il desolante finale aperto della sua pellicola avrebbe spiazzato molti spettatori.
Temendo che la produzione non avrebbe accettato questa modifica del racconto originale (che terminava, proprio come nell’adattamento di Hanks, con una netta vittoria dell’umanità sull’entità aliena) il regista, su suggerimento del montatore Todd Ramsay, girò malvolentieri anche un finale alternativo ben più rassicurante.
In questa versione, fortunatamente mai utilizzata, MacReady sarebbe riuscito a fuggire e raggiungere un’altra stazione polare, dove si sarebbe sottoposto alle analisi del sangue, e avrebbe confermato di non essere stato infettato dal mostro.
Una soluzione diametralmente opposta era stata invece concepita dallo sceneggiatore Bill Lancaster, che nelle prime bozze aveva proposto di esplicitare come sia MacReady che Childs fossero stati contagiati dall’entità.
All’alba i due sarebbero stati salvati da un elicottero, finendo così per assicurare la proliferazione della “Cosa” e l’annientamento del genere umano.
A opporsi all’idea, in questo caso, era stato lo stesso Carpenter, che non volle neppure girare questa versione, ritenendola troppo cupa e non in linea con il messaggio di fondo del film.
Le sorprese, tuttavia, non si fermano qui. Durante la postproduzione, il film non si concludeva con la sequenza che ben conosciamo: ad osservare il rogo della base americana e ad accasciarsi a terra nella neve sarebbe dovuto essere il solo MacReady, senza altri compagni al suo fianco.
L’assenza del personaggio di Childs non finiva soltanto per svuotare la scena di ogni ambiguità, ma eliminava anche ogni dialogo e ogni reciproco sospetto tra i due superstiti, trasformando MacReady nell’eroe del racconto.
Dopo l’esito negativo dei primi test screening, Carpenter constatò come il clima paranoide della storia mal si conciliasse con un epilogo del genere, e convinse i produttori a inserire il finale aperto.
I vestiti di Childs
Se si lasciano da parte le tre versioni alternative – così come anche l’editing apocrifo del finale nel quale si vede l’entità aliena abbandonare la base con le sembianze di un cane, distribuito in DVD contro il volere di Carpenter – il dubbio persiste tuttora.
La “Cosa” è davvero stata annientata, o è riuscita a sopravvivere? Childs è umano, o è stato contagiato durante la sua momentanea assenza dalla scena?
Nel corso degli ultimi 40 anni si sono accumulate molte teorie, e nel 2013 è stato lo stesso Carpenter ad alimentare i sospetti dei fan più incalliti, lasciando intendere che almeno uno dei due superstiti potrebbe non essere ciò che sembra.
Uno degli indizi finiti più di frequente nel mirino degli appassionati è il vestiario del meccanico sopravvissuto alla catastrofe.
Come si è constatato a più riprese nel corso del film, ogni volta che l’entità si trasferisce in un individuo, la reazione muscolare dell’organismo infiltrato lo induce a fare a pezzi i propri vestiti.
Durante l’intera pellicola Childs indossa sempre indumenti blu scuri, mentre durante la sua apparizione finale sembra indossare un cappotto beige.
La prova potrebbe essere schiacciante, ma c’è anche chi sostiene che si tratterebbe del medesimo capo di abbigliamento, coperto di neve ghiacciata a causa della tormenta. A indurci in errore sarebbe la distorsione cromatica dovuta alla luce rossastra dell’incendio…
Il fiato
Durante il dialogo finale, il fiato che fuoriesce dalla bocca del protagonista si trasforma in una vistosa nuvola di vapore acqueo, mentre lo stesso non accade nelle inquadrature in cui è Childs a parlare.
Si tratta di un segnale del fatto che Childs possiede ora una fisiologia aliena?
Malgrado siano in molti ad essere balzati alle conclusioni sulla base di quest’elemento, John Carpenter e lo stesso attore di Childs, Keith Davis, hanno invitato gli spettatori a frenare gli entusiasmi e riconsiderare le proprie teorie.
Durante la scena finale, i due interpreti vengono evidentemente inquadrati con un grado di luminosità e contrasto molto differente, e la mancanza di visibilità del fiato sarebbe frutto di un caso fortuito.
Non a caso, esaminando la scena al rallentatore, si può intravedere come anche dalla bocca di Childs venga emessa una nuvola di condensa, ma questa venga quasi azzerata da un gioco di luce.
La spiegazione abbozzata dal regista e dall’attore, tuttavia, non ha convinto fino in fondo tutti gli appassionati.
Anche oggi, c’è chi si ostina a ritenere che non si debba confondere l’aspetto tecnico – in qualche modo l’attore doveva pur respirare! – con quello simbolico, e che il parziale chiarimento di Carpenter e Davis servisse soltanto a depistare quanti avevano intuito la verità.
La tesi, tuttavia, deve essere respinta anche e soprattutto per motivi di coerenza interna: se si riguarda il film, il meteorologo Bennings ha continuato a emettere dalla bocca una vistosa nuvola di vapore anche dopo essere stato esplicitamente assimilato dall’entità aliena!
Se fosse quello l’indizio decisivo, Carpenter avrebbe senz’altro cancellato il fiato di tutti i personaggi contaminati dalla “Cosa”.
La luce negli occhi
Nei contenuti speciali dell’edizione Blu-Ray del 2016, il direttore della fotografia Dean Cundey rivela come lui e John Carpenter avessero inizialmente deciso di inserire un piccolo dettaglio per sciogliere ogni dubbio sulla questione.
“Eravamo alla ricerca di un qualche tipo di espediente per far capire che un personaggio poteva essere umano. Noterete che c’è sempre una piccola luce negli occhi dell’attore: noi lo chiamavamo ‘bagliore negli occhi’, che dà la vita e fa che il personaggio non è stato infettato”.
Neppure questo elemento, tuttavia, ci consente di risolvere il mistero una volta per tutte: nelle pupille di MacReady si vede brillare un puntino luminoso, riflesso dell’incendio della base, mentre gli occhi di Childs sembrano essere scuri e opachi.
Il meccanico, però, tiene sempre le palpebre socchiuse a causa del vento e della neve, e quando occasionalmente le dilata si intravede pure lì un piccolo bagliore. È soltanto un aspetto tecnico dovuto alle luci di scena, come nel caso della nuvola di vapore emessa dalla bocca? Difficile a dirsi.
Anche dissezionando ogni singolo fotogramma, i commentatori continuano a interpretare la scena in direzioni opposte senza trovare un’accordo.
Ad aggiungere ulteriore ambiguità, lo stesso Cundley ha poi precisato che la scelta di inserire sistematicamente il bagliore negli occhi dei personaggi venne abbandonata nel corso delle riprese, e ad oggi permane soltanto in alcune sequenze.
Ancora una volta, le domande sulla natura di Childs continuano a persistere…
La bottiglia di whiskey
Un elemento ben più cruciale è rappresentato dall’ultima scena della pellicola, nella quale MacReady offre a Childs un sorso del proprio whiskey.
Secondo una teoria molto diffusa, il protagonista avrebbe riempito la bottiglia di benzina con l’intento di trasformarla in una molotov, e ora la starebbe utilizzando per mettere alla prova il meccanico superstite.
Childs accetta l’offerta e beve un’ampia sorsata, rivelando di non riconoscere la differenza tra il carburante e la bevanda, e pertanto di essere stato contaminato dall’alieno.
Qualcosa, in effetti, sembra essere davvero fuori posto, poiché subito dopo MacReady sogghigna amaramente, come se Childs si fosse appena tradito.
L’interpretazione della scena, però, non è affatto univoca: in nessun momento del film vediamo sostituire il contenuto della bottiglia, e non è detto che una cosa del genere sia effettivamente accaduta. Certo, il whiskey ha una gradazione alcolica eccessivamente bassa per realizzare un esplosivo, e si consuma troppo rapidamente per essere un combustibile efficace.
La bottiglia che MacReady offre a Childs, tuttavia, è piena solo per metà: non si tratta, quindi, di una delle molte molotov preparate in fretta e furia per combattere il mostro, bensì del medesimo liquore che il protagonista aveva iniziato a bere in precedenza, all’interno della base.
La nostra interpretazione del finale
Ma allora cosa c’è di fuori posto nella scena della bottiglia? Childs è stato davvero infettato dall’entità aliena?
Quel che è certo è che Carpenter ha raggiunto l’obiettivo di rendere paranoici anche noi spettatori, proprio come è accaduto allo sventurato staff della base polare.
La soluzione al dilemma, però, potrebbe essere molto più semplice, senza bisogno di ricorrere a dettagli minuziosi e sofisticate supposizioni.
Durante l’intero lungometraggio, Childs è un individuo molto circospetto, e la sua cautela rasenta l’ossessione: ora, invece, il meccanico accetta di bere dalla bottiglia di MacReady, e non adotta alcuna precauzione.
Non teme di venire contaminato del compagno, dopo averlo appena perso di vista per parecchi minuti?
Il suo comportamento potrebbe essere dettato dalla consapevolezza della morte imminente, ma, almeno a livello istintivo, l’uomo avrebbe dovuto evitare di compiere un gesto così spregiudicato.
Un cambiamento last minute della sceneggiatura sembra confermare i nostri sospetti: in origine il protagonista avrebbe dovuto porgergli anche un bicchiere di vetro, mentre nella versione definitiva MacReady invita l’altro superstite a bere direttamente alla bottiglia.
Childs accoglie l’esortazione senza esitare, e il protagonista sorride amaramente: la scusa che il meccanico ha appena addotto per giustificare la sua scomparsa non sta in piedi, e il suo attuale comportamento non è affatto in linea con quanto si è visto fino a quel momento.
Con ogni probabilità, l’uomo è stato appena contaminato dalla “Cosa”.