Finalmente l’alba di Saverio Costanzo è indubbiamente uno dei film più ambiziosi prodotti recentemente dall’industria cinematografica italiana. Oltre 29 milioni di euro di budget, un cast forte di alcune star di caratura mondiale come Lily James, Joe Keery e Willem Dafoe e il desiderio di riportare alla luce l’epoca d’oro di Cinecittà degli anni ’50: come vi abbiamo spiegato nella nostra recensione del film sono questi i pilastri di un’opera densa e stratificata, che ha però ricevuto una tiepida accoglienza dalla critica e dal pubblico. Non tutti però conoscono la storia vera del caso Wilma Montesi, che ha ispirato Finalmente l’alba, considerato il primo femminicidio di grande rilevanza mediatica della storia italiana.
Nel film, si cita più volte questa sfortunata ragazza: prima all’interno dei camerini visitati dalla protagonista Mimosa (la bravissima Rebecca Antonaci), quando si menziona il caso, che ha scosso Roma e l’Italia intera; poi nelle battute conclusive, quando Mimosa sulla strada del ritorno a casa, dopo una notte bizzarra e pericolosa, si ferma sulla spiaggia, in prossimità di una piccola croce dedicata proprio alla memoria di Wilma Montesi. In questo frangente, verità e finzione si toccano, dal momento che la ragazza, appena 21enne, venne ritrovata morta l’11 aprile 1953 sulla spiaggia di Torvaianica, nelle vicinanze di Roma. Il decesso fu inizialmente attribuito a un semplice annegamento, per poi trasformarsi in “sincope da pediluvio” e deflagrare infine su scala nazionale con il coinvolgimento di nomi illustri dell’alta borghesia romana e della politica italiana, coinvolti in festini a luci rosse a Capocotta, presso Castel Porziano.
Finalmente l’alba: la storia vera che ha ispirato il film
Saverio Costanzo si è approcciato a Finalmente l’alba con l’intenzione di omaggiare proprio la memoria di Wilma Montesi. Come spesso accade, il racconto si è poi fatto largo in molteplici direzioni, pur mantenendo diversi parallelismi fra Mimosa e la figura di Wilma. Nelle prime battute del film, il personaggio interpretato da Rebecca Antonaci vive di luce riflessa della sorella, che accompagna a Cinecittà per un provino per un peplum con protagonista la star statunitense Josephine Esperanto (Lily James). Mimosa effettua a sua volta un provino, ma viene scartata per via del suo rifiuto alla richiesta di togliersi la giacca. Proprio la diva hollywoodiana però la nota nei corridoi degli Studio, reclamandola sul set accanto a lei. Al termine della giornata sul set, Mimosa viene coinvolta da Josephine in una folle notte romana, durante la quale si spaccia per poetessa svedese e vive sulla propria pelle il meglio e il peggio dell’ambiente cinematografico della Capitale.
Anche Wilma Montesi cullava il sogno del cinema, frequentava Cinecittà e aveva già preso parte ad alcuni film come comparsa. Il suo decesso inizialmente fu attribuito a un malore sopraggiunto durante un pediluvio, fatto dalla ragazza con l’acqua di mare dopo aver mangiato un gelato, per via di un’irritazione ai talloni di cui soffriva da tempo. Una tesi decisamente bizzarra, però parzialmente suffragata dal fatto che al momento della morte la ragazza era ancora vergine, aspetto che portò a escludere una violenza sessuale. Marco Cesarini Sforza dalle pagine di Vie nuove e Silvano Muto di Attualità (basandosi sul racconto dell’attrice Adriana Concetta Bisaccia) gettarono nuova luce sul caso: il primo tirò in causa Piero Piccioni, fidanzato di Alida Valli e figlio del Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli Esteri Attilio Piccioni, attribuendogli l’identità del misterioso “biondino”, che il 5 maggio portò in questura alcuni indumenti della ragazza assassinata; il secondo tratteggiò il quadro di una vera e propria orgia svoltasi a Capocotta alla presenza di politici e personaggi illustri romani, durante la quale Wilma avrebbe assunto una quantità letale di droga e alcool, accusando un malore e finendo poi per essere abbandonata esanime in spiaggia.
Il toccante omaggio di Saverio Costanzo alla memoria di Wilma Montesi
L’inchiesta che ne derivò provocò scalpore nell’opinione pubblica, portando all’interesse del Ministro dell’Interno Amintore Fanfani, di Giulio Andreotti e addirittura del Papa. Piccioni e il proprietario della tenuta di Capocotta Ugo Montagna furono indagati e assolti, mentre Muto, Bisaccia e la giovane Maria Augusta Moneta Caglio (ex amante di Montagna che sostanzialmente confermò la versione di Bisaccia) furono processati e condannati per calunnia, lasciando il caso irrisolto.
Con la tortuosa notte di Mimosa, Saverio Costanzo prende implicitamente posizione sulla vicenda, inserendo diversi elementi che richiamano la tesi considerata falsa dalla giustizia. La protagonista finisce infatti in una lussuosa villa, piena di personaggi tanto potenti quanto inquietanti; incontra Alida Valli (interpretata da Alba Rohrwacher, musa e compagna di vita del regista), una delle poche persone che le dimostra umanità; assume droga e alcool e per poco non finisce fra le grinfie di un ricco stupratore seriale. Anche se Mimosa e Wilma all’interno di Finalmente l’alba sono due persone diverse, Saverio Costanzo compie nei confronti della ragazza tragicamente scomparsa un’operazione paragonabile all’appassionata ucronia dedicata da Quentin Tarantino a Sharon Tate in C’era una volta a… Hollywood, regalandole una carezza tardiva e post mortem, ma non per questo meno struggente. Un tributo completato dall’epilogo, in cui Mimosa si scopre una donna nuova e sicura di sé, camminando fieramente accanto a un leone in una Piazza di Spagna deserta, dopo la notte che ricorderà per tutta la vita.