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Home » Film » Laggiù qualcuno mi ama: il film su Massimo Troisi è molto di più di un documentario

Laggiù qualcuno mi ama: il film su Massimo Troisi è molto di più di un documentario

Laggiù qualcuno mi ama, il film di Mario Martone su Massimo Troisi, presentato al festival di Berlino va oltre il semplice documentario.
Claudio GarganoDi Claudio Gargano21 Febbraio 20238 min lettura
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Laggiù qualcuno mi ama
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Guardare Laggiù qualcuno mi ama, il docu-film di Mario Martone su Massimo Troisi, presentato all’ultimo festival di Berlino, è come entrare in punta di piedi nell’anima di Massimo. L’approccio del regista napoletano al mondo poetico e cinematografico dell’autore di Ricomincio da tre va al di là del documentario tradizionale, andando a valorizzare in modo originale le virtù precipuamente filmiche di Troisi regista, cosa che nessuno aveva fatto prima. Tutto questo dosando perfettamente le emozioni che fluiscono come un mare in piena tramite una mole fantastica di materiale inedito, tra appunti personali e registrazioni audio, portate ‘in dote’ da Anna Pavignano, sceneggiatrice dei film di Troisi, sua compagna nei primi anni della sua vita artistica, nonché autrice dello stesso script di Laggiù qualcuno mi ama, insieme con Martone.

Un film-saggio

Mario Martone e Paolo Sorrentino sul set di Laggiù qualcuno mi ama

Se confrontiamo il pur meritevole documentario Buon Compleanno Massimo, andato in onda su Rai 3 il 17 Febbraio, con il film di Martone, ci accorgiamo che mentre quello diretto da Marco Spagnoli per la Rai è un’opera di impianto più tradizionale, in cui si utilizzano per lo più testimonianze aneddotiche di chi lo ha conosciuto, come filo conduttore che possa guidare lo spettatore nel mondo interiore di Troisi, accompagnati dalle puntuali osservazioni di Maurizio De Giovanni, quello di Martone si rivela invece come un vero e proprio film-saggio, ovvero un’opera audiovisiva teorica, che si avvicina al cinema di Troisi usando la forma stessa del cinema come strumento di analisi. In Laggiù qualcuno mi ama intervengono molte testimonianze eterogenee, tra cui quelle del critico Goffredo Fofi, dello sceneggiatore Francesco Piccolo, di Paolo Sorrentino, del duo Ficarra e Picone nonché di Roberto Perpignani, montatore de Il postino. Tutte però impostate nella direzione teorica in cui va Martone.

Nelle parole dello stesso Martone infatti, egli dice di aver approcciato l’opera cinematografica di Troisi come si fa con un quadro del Quattrocento, ovvero intendendola come arte che, come tale, va studiata e valorizzata. Negli ultimi anni c’è stato un fiorire di film-saggio sul cinema, a partire da quelli irriverenti e sorprendenti di Slavoj Žižek sul cinema d’autore, Guida perversa al cinema reperibile su Prime Video, a quelli dell’irlandese Mark Cousin con il suo fluviale The story of film. Laggiù qualcuno mi ama si inserisce appunto in questo recente filone, andando a trattare Troisi come un autore al pari di altri grandi cineasti del passato, con una sua poetica e un suo stile ben precisi, delineatesi in un percorso evolutivo coerente e definito, seppur nell’arco di soli 13 anni, da Ricomincio da tre (1981) al Postino (1994).

Confronti inediti e stimolanti

Massimo Troisi regista

Martone stupisce iniziando il discorso di Laggiù qualcuno mi ama con un confronto spiazzante e inedito, ma calzante, tra la Nouvelle Vague di Francois Truffaut e il cinema libero, svagato, digressivo, “a tratti pieno e vuoto”, di Troisi. Con degli accostamenti visivi decisamente suggestivi tra l’Antoine Doinel, alter/ego di Truffaut da I quattrocento colpi in poi, e il personaggio proposto da Troisi nel corso dei suoi film, l’autore di Qui rido io ci fa rendere conto di quanto la parabola narrativa di Doinel, che cresce ed evolve nei film del ciclo omonimo, sia paragonabile a quella di Gaetano, Vincenzo, Camillo, Tommaso e Mario, ovvero i personaggi interpretati da Troisi nei suoi film. L’approccio alla vita e all’amore matura di pari passo per entrambi i personaggi, a livello fittizio per il Doinel incarnato da Jean-Pierre Léaud, ad un livello profondo e reale per Troisi, che nei suoi personaggi trasfonde ingenti dosi di sé stesso, senza grosse distinzioni tra personaggio e persona reale. È però ben poca cosa esprimere tutto questo a parole quando Martone ci fa toccare con mano queste affinità, mostrandocele nel suo film e facendoci rendere conto di come Troisi e la sceneggiatrice Pavignano abbiano intercettato, inconsapevolmente, la grande libertà e sfrontatezza della Nouvelle Vague truffautiana tramite la sensibilità che traspare dalle loro opere. Il procedere del racconto per scarti e rallentamenti, che andavano di pari passo col carattere svagato e indolente di Troisi, il divagare in episodi ed eventi che apparentemente non facevano avanzare la trama ma saldavano invece le emozioni di chi guarda col mondo interiore dell’autore, sono tutte modalità narrative ed espressive, individuate da Martone, che segnano un’affinità tra l’autore di Jules e Jim e Troisi.

Il serbatoio emotivo di Anna e Massimo

Anna Pavignano

Se c’è un altro grande merito del film di Martone è quello di aver valorizzato il lavoro di Anna Pavignano. Il confronto con la giovane sceneggiatrice torinese fu fondamentale per Troisi affinché si trovasse una quadra tra le sue istanze poetiche e ironiche sul mondo in cui si trovava a vivere e un punto di vista femminile che proveniva da una latitudine emotiva lontana da lui. È in questo dialogo con Anna, nella vita e nel lavoro, che nacque l’opera cinematografica di Troisi, emancipatosi dalla Smorfia, alla ricerca di un suo modo espressivo originale. La sensibilità napoletana di Troisi, accesasi alchemicamente nel confronto con l’elemento Altro da sé, che era l’approccio moderatamente femminista e psicologicamente approfondito di Anna, produsse un mondo poetico, immaginario e filmico unico e universale. E Martone lo coglie grazie ad una incredibile mole di appunti personali di Massimo messi a disposizione dalla Pavignano per il film, che costituiscono il vero e proprio serbatoio emotivo di Laggiù qualcuno ci ama: pensieri, frammenti, poesie, idee che sono più o meno confluite nei film, come racconta puntualmente Anna. Ciliegina sulla torta, la Pavignano ci fa ascoltare alcuni vecchi nastri privati in cui Massimo si apriva con lei ed una sua amica, in una sorta di seduta psicanalitica alla sua maniera, nella quale Troisi si rivelava ancor più fragile ma, se possibile, ancor più poetico che nei suoi film. Senza anticipare nulla, possiamo dire che alcuni pezzi magnifici dei racconti del Massimo di questi nastri si legano poi perfettamente e organicamente al discorso portato avanti da Martone nel film.

La forma di Martone

Mario Martone al montaggio

Come accennato, Laggiù qualcuno mi ama riflette anche nella forma la sostanza che va ad esprimere, come è giusto che sia per un film-saggio. E riesce a farlo coniugando perfettamente riflessione ed emozione. Nel momento in cui ascoltiamo i nastri privati di Anna e Massimo la telecamera si sofferma sui volti rapiti e commossi di Mario Martone e Anna Pavignano che condividono con noi spettatori l’emozione di ascoltare la voce di Massimo, nelle sue inflessioni più intime e sincere.

Anche la scelta di mostrare Martone al banco di montaggio insieme con Jacopo Quadri, montatore del film, rientra nell’approccio originale di Laggiù qualcuno di ama. Nel momento in cui vediamo e ascoltiamo Martone che, davanti ai monitor su cui scorrono le immagini dei film di Troisi, decide cosa usare e cosa tralasciare dei materiali, entriamo nel vivo dell’approccio teorico di Martone a Massimo, rendendoci partecipi delle sue decisioni artistiche e portando il docu-film ad un livello di riflessione meta (mi si perdoni il termine abusato ma in questo caso calzante) davvero stimolante.

Ma fin dall’incipit la forma del film di Martone mostra i suoi muscoli, con un suggestivo montaggio iniziale in cui si ripercorre la storia di Napoli degli anni’70 fino al terremoto del 1980 e, con un efficace raccordo visivo, si passa dall’impalcatura di un palazzo terremotato di un filmato di repertorio a quella del palazzo ‘in cantiere’ della prima inquadratura di Ricomincio da tre da cui sbuca Troisi: spaccato di un’epoca e connessione viva con il mondo cinematografico di Troisi. Non un caso certamente che Gaetano, nel 1981, sbucasse fuori da un palazzo evidentemente lesionato dal terremoto.

Troisi personaggio contro

Massimo Troisi e Renato Scarpa in Ricomincio da tre

Era infatti anche tramite questi piccoli dettagli che usciva fuori il Troisi più politico, che poi proruppe con Le vie del signore del signore sono finite, ambientato durante il ventennio fascista, in cui il cineasta napoletano espresse le sue idee politiche tramite delle soluzioni registico-visive davvero raffinate, evidenziate perfettamente da Martone. E la forma di Troisi-regista esplode con il bellissimo piano-sequenza che chiude Pensavo fosse amore invece era un calesse, suo ultimo film da regista. L’essere contro di Troisi si esprimeva, oltre che in una naturale insofferenza verso l’arroganza del potere, anche nel rifiuto dei luoghi comuni e degli stereotipi su Napoli e nella conseguente ossessione che la capitale partenopea dovesse cambiare a tutti costi, argomento che tornava nelle interviste e che lui mise in scena con la scrittura del soggetto di No grazie il caffè mi rende nervoso (1983). Altra intuizione di Laggiù qualcuno mi ama è stata infine quella di mettere in parallelo il tema di Napoli che deve cambiare, con la messa in crisi della relazione di coppia, sfociata poi nel rifiuto dell’idea stessa del matrimonio come realizzazione di un rapporto, messa in scena nel 1991 con Il Calesse. Infine con Il postino, film di cui Troisi non fu regista ma comunque autore, le emozioni deflagrano nei volti rapiti dei ragazzi del Cinema America di Roma mentre assistono ad una proiezione estiva, all’aperto della pellicola di Radford e Troisi.

Senza la pretesa di essere stati esaustivi nell’approfondire le molte anime che compongono il bellissimo Laggiù qualcuno ci ama, consigliamo di correre a vederlo al cinema, a partire dal 23 Febbraio, per scoprire e apprezzare un approccio inedito, suggestivo e stimolante su Troisi, che non era mai stato tentato nel filone documentaristico, arrivando ad una forma davvero originale e unica.

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