L’ultimo samurai, il film del 2003 interpretato da Tom Cruise, è liberamente ispirato alla vera storia dell’ufficiale francese Jules Brunet e del samurai Saigō Takamori. Andiamo con ordine e partiamo dall’opera di Edward Zwick, un bellissimo affresco storico ambientato nel Giappone del Diciottesimo secolo. Una nazione dilaniata dalla lotta tra i fautori di un progressivo ammodernamento della terra, sostenuto dall’Imperatore. E i tradizionalisti, incarnati dalla figura del nobile Samurai Katsumoto (Ken Watanabe).
In questo luogo arriva l’ex capitano dell’esercito statunitense Nathan Algren, Cruise appunto. Un uomo alcolizzato e depresso, ancora tormentato dalle violenze consumate nella guerra contro i nativi americani. Chiamato ad addestrare l’esercito dell’imperatore giapponese in modo da eliminare i samurai ribelli. Durante un’azione, però, Algren viene catturato da Katsumoto. Il confronto con quella figura austera, così legata al codice d’onore del Bushido, provoca in lui una grande trasformazione. Che lo porterà a lottare al fianco dei samurai. Fino al supremo sacrificio finale.
Algren, come scritto in apertura, è stato scritto basandosi sulla figura di Jules Brunet, un capitano istruttore d’artiglieria dell’esercito francese, effettivamente di stanza in Giappone sul finire dell’800. In quell’epoca, la nazione del Sol Levante era tagliata fuori dal gioco delle potenze internazionali. Con un’industrializzazione nulla e delle tradizioni antiche fortemente limitanti, l’Imperatore Mutsuhito aveva poco da gioire. L’arrivo in Giappone dell’ammiraglio americano Matthew Perry, però, cambiò le carte in tavola. E per la prima volta si fece strada l’ipotesi di una vera trasformazione dello stato. A partire da un progressivo avanzamento economico.
L’era Meji segnò quindi un momento cruciale della storia giapponese. I nemici da combattere erano quindi i rappresentanti del vecchio mondo, con i samurai in testa. Le ribellioni e le battaglie fatte contro l’Imperatore presero il nome di Guerra Boshin. In questo conflitto aspro, Jules Brunet assunse un ruolo chiave. Addestrò i militari fedeli all’imperatore ma col tempo, forse per un cambiamento profondo, si avvicinò agli shogun.
Come visto nel film, Brunet affiancò i ribelli in molte battaglie, dovendo però cedere di fronte alla potenza degli avversari, in termini di uomini e di armi. Molti si arresero dopo l’editto del 1868 che di fatto eliminò ogni traccia di potere ai samurai. Altri invece lottarono. Come l’ammiraglio dello Shogun, Enomoto Takeaki, sodale di Brunet.
Rispetto a L’ultimo samurai, però, Brunet non morì sul campo di battaglia, anzi. Tornò in madre patria per evitare una guerra tra Francia e Giappone e rimase in Europa per i successivi anni. Successivamente ritrovò l’amico Takeaki, diventato nel frattempo ministro della Marina imperiale giapponese. Quast’ultimo contribuì alla riabilitazione di Brunet, che ottenne anche delle medaglie al valore per il suo impegno.
Katsumoto, invece, è ispirato a Saigō Takamori, uno dei samurai più valorosi del Giappone, ovviamente in prima linea contro l’Imperatore durante il periodo Meji. L’uomo esplicò la sua lotta contro l’Imperatore fondando nella città natale di Kagoshima un’accademia militare per samurai. Tra gli atti più drammatici ci fu la ribellione di Satsuma, una sorta di guerra di resistenza degli uomini di Takamori contro il potente esercito regolare. Terminata con la Battaglia di Shiroyama e con la morte di Takamori. Non si sa se sul campo o con il suicidio rituale.