C’è ancora domani, film diretto da Paola Cortellesi, è stato realizzato completamente in bianco e nero per dare maggiore veridicità alla storia raccontata: come ha spiegato l’attrice e regista, infatti è solo in bianco e nero che, nel corso del tempo, è riuscita ad immaginare le diverse vicende narrate dalle nonne e dalle bisnonne.
Queste, infatti, vanno a comporre tutte insieme il profilo del personaggio di Delia, donna instancabile, quasi invisibile eppure testarda e resiliente. Oltre a questo, poi, il bianco e nero ha il compito di rappresentare anche le molte ombre e l’assenza di colore che dominava all’interno delle vite sfocate delle donne dell’Italia post bellica, alcune delle quali hanno ispirato C’è ancora domani. Per finire, questa resa estetica si adatta alla perfezione anche all’ambiente popolare scelto come quello di Testaccio.
In questo modo, dunque, Paola Cortellesi rifugge da qualsiasi tipo di velleità neorealista in rosa. I suoi riferimenti, anche se insiti nella cultura cinematografica che la definisce, non sono certo il cinema di Rossellini o lo struggente Una giornata particolare di cui, però, C’è ancora domani rimanda una lontano eco.
Per allontanarsi ulteriormente da questo tipo di emulazione, poi, sceglie di rappresentare la violenza domestica in modo del tutto diverso. Per la Cortellesi, infatti, il pericolo di voyerismo è sempre dietro l’angolo. Non fosse per il fatto che, ormai, il pubblico è assuefatto ad immagini sempre più crude. Per questo motivo ha preferito mettere in scena tutto come una sorta di ritualità. I lividi, dunque, appaiono e scompaiono, e sono frutto di qualcosa che accade spesso. La realtà c’è, ma nella testa di Delia va via, perché lei se la lascia alle spalle e ricomincia una nuova giornata come niente fosse. Ed è proprio in questa sorta di noncuranza di fronte ad un destino segnato ed inequivocabile che è celata il vero potenziale violento di questa storia.