L’ultima discesa, film diretto da Scott Waugh ed interpretato da Josh Hartnett, è ispirato ad una storia profonda e dolorosa che ha come protagonista l’ex giocatore di hockey professionista Eric LeMarque, disperso per otto giorni nel freddo inverno della Sierra Nevada a confronto con le proprie dipendenze. LeMarque ha raccontato la sua vicenda in un libro e oggi si è lasciato alle spalle la sua tossicodipendenza, e pur vivendo con una grave disabilità dovuta alla sua disavventura, e indossando gambe prostetiche, ha trovato un nuovo scopo di vita come oratore motivazionale e scrittore. È sposato con Hope e ha un figlio.
Nonostante LaMarque abbia esordito nell’hockey fin da giovanissimo, arrivando a giocare per la Nothern Michigan University nelle stagioni dal 1986 al 1990, non è mai arrivato ad una partita NHL. Un traguardo la cui assenza ha sempre rappresentato per LeMarque una sconfitta. Per questo motivo, trasferitosi a Los Angeles e diventato uno dei tanti allenatori su piazza, ha cominciato a fare uso di droga.
La svolta che ha dato inizio alla seconda fase della sua vita, però, inizia il 6 febbraio 2004. Quel giorno, infatti, Eric decide di praticare un pò di snowboard fuori pista per rilassarsi. Inaspettatamente, però, si perde nella Sierra Nevada a oltre 3.500 metri d’altitudine. A sua disposizione ha solamente alcuni oggetti: un cellulare in disuso, qualche gomma da masticare, un pacchetto di fiammiferi bagnati, un lettore MP3 e un sacchetto di metanfetamine. A questo si aggiunge anche un abbigliamento inadatto a sostenere le temperature glaciali della notte.
Di fronte a tutto questo, dunque, non gli è rimasto altro da fare che combattere per la propria vita. Il che significa mangiare corteccia d’albero, bere la sua stessa urina e scavare trincee nella neve per cercare di ripararsi dal freddo e dai lupi. Per finire getta ciò che resta della sua scorta di metanfetamina per utilizzare la busta di plastica come contenitore trasformando la neve in acqua da bere.
L’ottavo giorno, ossia il 13 febbraio, arriva la salvezza sotto forma di un elicottero che lo ha trasportato in ospedale praticamente in fin di vita. Nonostante l’intervento, però, ha perso entrambe le gambe. Queste, infatti, gli sono state amputate al di sotto del ginocchio causa congelamento. Un’evento drammatico che ha avuto la capacità di scuoterlo nel profondo e indurlo a modificare completamente il corso della propria vita.
“Ero una persona narcisista” – ha spiegato LeMarque a Risen Magazine – “e lo sono diventato di nuovo, dopo l’incidente, perché non riuscivo a pensare e vedere al di fuori di me stesso. Mi sono ritrovato ad avere a che fare con così tanti cambiamenti. I miei piedi erano la mia forza, hanno contribuito a tutte le mie vittorie. Quindi lasciarli andare è stato difficile, perché era tutto così diverso. Ci è voluto molto tempo per l’accettazione, non solo del fatto che mi siano state amputate le gambe, ma anche per l’accettazione e il perdono di me stesso. Quindi ho dovuto spostare la mia attenzione e a concentrarla sui meriti che avevo. Ero sopravvissuto, ero sceso da quella montagna”
Da quel momento, infatti, ha completamente rinunciato alle droghe, è diventato un oratore motivazionale e un autore pubblicato. A questi successi si è aggiunta anche una famiglia che lo sostiene e l’amore per l’hockey, che non ha mai smesso di trasmettere ad altri.
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“Non volevo che il film fosse tratto da una storia vera, volevo che fosse una storia vera” – ha detto il regista di L’ultima discesa, in merito al realismo che ha voluto dare alla vicenda. Riguardo il film invece, LeMarque ha detto che è stato più volte sul set e si è confrontato con il protagonista, Josh Hartnett. “Lui è un vero professionista, si è tuffato in un lago ghiacciato, ha smesso di mangiare assumendo fino a 300 calorie al giorno per per settimane, in modo da perdere peso e arrivare al peso a cui ero arrivato anche io. Non si è mai lamentato, ha molto talento ed è un vero soldato”
A chi si trovasse in difficoltà, come è successo a lui, LeMarque consiglia di chiedere aiuto: “Siamo così orgogliosi, tendiamo a pensare di poter fare tutto da soli. Quando lo facciamo, tocchiamo solo la superficie e quelle ferite restano radicate in noi. Chiedete aiuto a coloro che hanno acvuto esperienze simili a quelle che state affrontando. Rivolgetevi a qualcuno.”