Al centro di Palazzina Laf, il nuovo film di Michele Riondino, c’è la storia vera dei licenziamenti e mobbing all’ILVA di Taranto tra il 1997 e il 1998. Tratto dal libro “Fumo sulla città” di Alessandro Leogrande, il film era un reparto dove gli impiegati che si opponevano al declassamento venivano confinati e sottoposti a mobbing. La “novazione” del contratto portò a una situazione in cui gli impiegati venivano pagati senza avere mansioni specifiche, deprivati della dignità lavorativa.
Con questo film, a cui abbiamo dedicato una recensione, Riondino narra la storia poco conosciuta della Palazzina Laf, un reparto dell’ex Ilva, dove furono confinati 79 lavoratori qualificati che si rifiutarono di firmare una clausola contrattuale. Quando i Riva acquisirono l’azienda nel 1995, rifiutarono impiegati altamente qualificati, costringendo alcuni a essere relegati nella Palazzina Laf. Questo fu il primo caso di mobbing in Italia, un precedente nella giurisprudenza del lavoro.
Il reparto lager, utilizzato strategicamente in varie industrie, incluso Fiat, costringeva i lavoratori in condizioni difficili a licenziarsi o commettere errori per giusta causa. Il personaggio di Caterino, un semplice operaio, diventa una spia per identificare colleghi da licenziare. La storia si sviluppa quando Caterino viene inviato alla Palazzina Laf e scopre la pervasiva strategia psicologica per piegare i lavoratori scomodi.
La trama è ambientata alla fine degli anni Novanta, nel 1997, e segue la vita di Caterino (interpretato da Michele Riondino), un operaio ILVA che, diventato spia per l’azienda, si ritrova coinvolto in una trama intricata contro i suoi stessi colleghi. La sua richiesta di trasferimento alla Palazzina Laf, un reparto dell’ILVA noto per il mobbing, svela un lato oscuro e crudele della realtà lavorativa.
Il film di Riondino racconta in modo grottesco e ironico questa vicenda, evidenziando il processo del novembre 1998 che condannò i responsabili dello stabilimento, garantendo giustizia alle vittime. Riondino, regista e attore protagonista, ha voluto creare un film divertente e commovente per non dimenticare questa storia.
Riondino menziona anche la situazione attuale dell’Ilva, sottolineando la partecipazione straniera nella proprietà e le sfide finanziarie dell’azienda. Il film affronta anche le questioni legali legate all’inquinamento e ai danni alla salute pubblica, evidenziando le accuse contro i responsabili dell’Ilva. Nel cast figurano Elio Germano, Vanessa Scalera, Domenico Fortunato, Gianni D’Addario, con le musiche di Teho Teardo e una canzone di Diodato intitolata “La mia terra”.
Il film è un omaggio a Alessandro Leogrande, il cui contributo alla sceneggiatura fu interrotto dalla sua prematura morte. Tutti gli eventi nel film sono basati su interviste a ex dipendenti dell’Ilva e confinati, con dettagli presi dalle carte processuali. Diodato, coinvolto nel progetto per amicizia con Michele, contribuisce con una canzone che esplora il mito della fondazione di Taranto, offrendo una visione alternativa del futuro attraverso la storia di Falanto e i “Parteni”.