Il film: Palazzina LAF, 2023. Regia: Michele Riondino. Cast: Michele Riondino, Elio Germano, Vanessa Scalera, Eva Cela, Domenico Fortunato. Genere: Commedia, Drammatico. Durata: 99 minuti. Dove l’abbiamo visto: Alla Festa del Cinema di Roma.
Trama: All’ILVA di Taranto è tempo di riorganizzazione lavorativa. Tantissimi dipendenti della controversa industria pugliese vengono però trasferiti temporaneamente all’interno di un padiglione confinato dal nome di Palazzina LAF perché si rifiutano di accettare il nuovo contratto che li avrebbe spostati in reparti di non competenza loro. Inizierà una guerra sindacale tra questi lavoratori “in attesa” e i vertici dell’Ilva.
Il fil rouge che sembra caratterizzare la 18° edizione della Festa del Cinema di Roma è l’esordio dietro la macchina da presa, special modo quello degli attori cinetelevisivi nostrani che al timone della regia di un lungometraggio per la sala cinematografica emozionano, divertono e sorprendono. Lo è stato per l’ottimo C’è ancora domani di Paola Cortellesi (in apertura della kermesse romana e di cui abbiamo parlato in maniera entusiastica nella nostra recensione direttamente dal Roma Cinema Fest 18), e ne è una conferma Palazzina LAF, debutto registico per il versatile attore Michele Riondino.
Nella nostra recensione di Palazzina LAF vi spiegheremo perché il primo tentativo sulla sedia da regista per il popolarissimo interprete di tanto cinema e televisione nostrana è un inaspettato esempio di cinema di impegno e resistenza civile, nella migliore tradizione del genere italiano portato in auge nel corso degli anni ’70 da Elio Petri con il seminale “La classe operaia va in Paradiso”, senza però dimenticare ironia, leggerezza nel racconto e caustica disamina di una realtà lavorativa che alla fine degli anni ’90 fece scalpore in Italia ed oltre. Con conseguenze tristemente ancora attuali.
La trama: benvenuti nella palazzina!
Caterino (Michele Riondino), uomo semplice e burbero, è uno dei tanti operai che lavorano nel complesso industriale dell’Ilva di Taranto nel 1997. Vive in una masseria, caduta in disgrazia per la troppa vicinanza alle fabbriche, e condivide con la giovanissima fidanzata il sogno di trasferirsi in città. Quando i vertici aziendali decidono di utilizzarlo come spia per individuare i lavoratori di cui sarebbe bene liberarsi, Caterino comincia a pedinare i colleghi e a partecipare agli scioperi esclusivamente alla ricerca di scuse per denunciarli. Ben presto, non comprendendone il degrado, chiede di essere collocato anche lui alla Palazzina LAF, dove vengono spediti per punizione i dipendenti riottosi. Questi lavoratori ammazzano il giocando a carte, pregando o allenandosi come fossero in palestra. Caterino scoprirà sulla propria pelle che quello che sembra un paradiso, in realtà non è che una perversa strategia per piegare psicologicamente i lavoratori più scomodi, spingendoli alle dimissioni o al demansionamento. Da quell’inferno, per lui, non c’è più via di uscita.
Benvenuti nella Palazzina LAF, edificio distaccato dai reparti e dalle sedi direzionali dell’ILVA di Taranto, limbo punitivo nel quale i dipendenti più problematici vengono frequentemente disposti a tempo indeterminato fino a ricollocamento o discussione di un contratto con nuove mansioni in altri settori della fabbrica, spesso ri-occupazioni umilianti e non consone alle loro competenze. Un non-luogo paradossale e grottesco, che pare uscito direttamente dalla caustica immaginazione cinematografica, ma che invece appartiene ad una triste realtà che alla fine degli anni ’90 danneggiò irreparabilmente la reputazione dell’industria siderurgica tarantina ben prima delle morti per tumore nell’area circostante a causa dell’aria insalubre.
La classe operaia va in Purgatorio
Lo avevamo già accennato, ma lo ribadiamo con forza: Palazzina LAF, esordio alla regia di Riondino (che pure è nato e cresciuto proprio a Taranto), ha il sapore del miglior cinema italiano d’impronta civile, impegnato nel condannare e portare a galla ingiustizie sociali e lotte sindacali di storica urgenza ed importanza nostrana. In quello che è un vero e proprio grido di dolore e sofferenza per la sua stessa terra natìa, Michele Riondino decide di partire per un’avventura rischiosa dietro la macchina da presa (è inoltre protagonista del suo stesso film) e dare vita a Palazzina LAF, invettiva cinematografica di grande e sorprendente efficacia.
Certo, i modelli da cui Riondino prende ispirazione sono quelli che hanno reso celebri gli anni ’70 anche sul grande schermo italiano; su tutte, l’arte di Elio Petri, che con i suoi premiatissimi lungometraggi ha conquistato il mondo e scoperchiato le occulte trame di un sistema, quello dell’Italia degli Anni di Piombo, sociale, politico ed economico. Il regista ed attore pugliese parte idealmente dal racconto grottesco proprio de “La classe operaia va in Paradiso” di Petri per allestire lotte sindacali e soprusi lavorativi al’interno di un luogo purgatoriale, di eterna attesa; un limbo di sconcertante concretezza che si fatica ad accettare come fatto reale e documentato, nemmeno troppo lontano dalla nostra contemporaneità (Palazzina LAF è difatti ambientato nel 1997). Un’accusa durissima che Riondino però mette in scena con giusta leggerezza ed amara ironia, omaggiando sì il cinema civile di Petri, senza però scimmiottarlo o prendere a presto quello o l’altro elemento.
La terra di Michele Riondino
Sulle ali di una leggerezza da commedia impegnata ma senza dimenticare il grande tema che sta affrontando per la prima volta dietro la macchina da presa, Michele Riondino firma un esordio solidissimo e sorprendente che in egual misura diverte ed indigna, tra sorrisi a denti stretti e genuina curiosità di cittadino italiano prima, e spettatore cinematografico poi. Un’ode tragicomica e disperata, quella dell’autore pugliese, che ha origine nella sua città natia, anch’essa non luogo degradante e liminale, suddito di una bestia fin troppo ingombrante (l’Ilva, in tutti i sensi) che risucchia l’anima e il corpo dei propri dipendenti e la dignità stessa del capoluogo di provincia del Sud.
In definitiva, Palazzina LAF segna un debutto registico non indifferente, dove il regista/attore (che qui cura anche la sceneggiatura assieme a Maurizio Braucci dal libro di denuncia “Fumo sulla città” di Alessandro Leogrande) allestisce un paradossale e tenero circo di riottosi in cerca di giustizia degno del miglior cinema impegnato di produzione nostrana degli ultimi anni. Il tocco dietro la macchina da presa di Riondino è di certo a tratti inesperto e poco sottile, ma non mancano grezza efficacia, senso della scrittura dei propri personaggi ed urgenza sociale di quello che vuole raccontare, con lodevole rispetto e sanissima dose di intrattenimento.
La recensione in breve
L'esordio dietro la macchina da presa per Michele Riondino omaggia il grande cinema italiano di impegno civile che aveva reso grande l'operato di Elio Petri negli anni '70. Senza dimenticare però di celebrarlo con la dovuta distanza e riverenza, scegliendo i toni della commedia amara e poche sottigliezze. Solido, agrodolce, inaspettato.
- Voto CinemaSerieTV