The Blair Witch Project non è propriamente ispirato a una storia vera, ma la genesi del film è incredibilmente interessante. La leggenda fittizia della Strega di Blair è stata ideata da Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez nel 1993 e potrebbe essere basata sulla storia di Moll Dyer, una “guaritrice” vissuta nel XVII secolo vicino a Leonardtown. Un gruppo di uomini la aggredì e si disse che, di conseguenza, fu colpita da una terribile maledizione, il che suggerì che forse era una strega o coinvolta in qualcosa di oscuro. Joseph F. Morgan scrisse la storia di Moll Dyer nel XIX secolo, ma non esisteva alcuna documentazione ufficiale su una persona con questo nome, il che significa che “Moll” potrebbe non essere il suo vero nome.
Quando il found footage che avrebbe sconvolto il pubblico fece il suo debutto al Sundance Film Festival a mezzanotte del 23 gennaio 1999, la sua campagna promozionale aveva presentato gli attori come “scomparsi” o “deceduti”, alimentando l’atmosfera di mistero e attirando l’attenzione del pubblico. Il successo ottenuto al Sundance attirò l’interesse di Artisan Entertainment, che acquisì i diritti di distribuzione del film per 1,1 milioni di dollari. La campagna marketing di “The Blair Witch Project” – che potete recuperare in streaming – è stata un elemento determinante per il successo del film: la strategia di marketing è stata innovativa e pionieristica, utilizzando il potere dell’Internet e sfruttando la crescente popolarità di questa piattaforma all’epoca. Prima ancora che il film fosse distribuito, i registi crearono un sito web che presentava la leggenda della strega di Blair come se fosse reale. Il sito conteneva dettagli sulle leggende locali, interviste con i residenti di Burkittsville, foto e documenti falsi, rendendo difficile distinguere ciò che era reale dalla finzione.
Vennero anche prodotti dei finti documentari televisivi sulla scomparsa dei protagonisti. Questi documentari facevano sembrare che la storia narrata nel film fosse una vera vicenda, aggiungendo ulteriore suspense e mistero. All’interno del film, i protagonisti trovano degli strani manufatti nella foresta. In corrispondenza all’uscita del film, vennero distribuiti falsi manufatti come parte della campagna di marketing. Questi includevano, ad esempio, delle “pagine del diario” dei personaggi.
Inizialmente, i registi cercarono di mantenere l’illusione che i tre protagonisti fossero scomparsi davvero. Non parteciparono a interviste pubbliche e furono persino elencati come “persone scomparse” su alcuni siti web. I trailer del film erano molto minimali, mostrando poche immagini del film e concentrandosi sulla reazione delle persone dopo aver visto il film. Questo ha creato molta curiosità e ha generato il passaparola. L’approccio innovativo di “The Blair Witch Project” alla campagna di marketing è diventato un case study nel settore cinematografico. La combinazione di elementi online e offline, insieme all’uso di nuovi media e tecniche di storytelling, ha catturato l’immaginazione del pubblico e ha contribuito significativamente al successo del film: aspetti che abbiamo analizzato anche nella nostra spiegazione del finale di The Blair Witch Project.
Il co-regista, Daniel Myrick, ha raccontato al The Guardian in un’intervista del 2018 di aver iniziato a pensare a una figura di bastone e così è nato il film. Myrick ha detto: “Sono cresciuto nei boschi e nelle paludi della Florida. Per molto tempo ho avuto l’idea di vedere una figura di bastone appesa a un albero e mi ha fatto venire i brividi”. Ed Sánchez, un amico dell’università che ha finito per co-dirigere, mi ha aiutato a trasformarla in un trattamento di 35 pagine su tre studenti che scompaiono dopo essersi recati nei boschi del Maryland per girare un documentario su una strega leggendaria“.
E ha continuato: “L’idea era che questo film venisse montato in un secondo momento, utilizzando il materiale girato da loro. Alla fine degli anni ’90, con l’avvento del digitale, era solo questione di tempo prima che qualcuno realizzasse questo tipo di film in prima persona“.