Ma Nightmare Before Christmas è un film di Halloween o di Natale? Un’annosa domanda che da trent’anni assilla i cinefili più appassionati e le generazioni che sono cresciute con l’incubo tra due mondi creato e prodotto da Tim Burton e diretto dal buon Henry Selick. Il capolavoro d’animazione in stop-motion debuttava nelle sale statunitensi il 29 ottobre 1993, esattamentre trent’anni fa, mentre in Italia (con considerevole ritardo), si affacciava al cinema il 5 dicembre 1994. Due finestre distributive per il film esattamente agli antipodi, che già presagivano una difficoltà concettuale di incasellamento: siamo di fronte ad un lungometraggio perfetto per la vigilia di Ognissanti oppure è un inno alla magia del 25 dicembre?
In occasione del trentennale di una delle opere d’animazione più influenti ed amate di tutti i tempi, entreremo con maggiore dettaglio sulle implicazioni socio-culturali dell’incubo prima di Natale ideato dalla mente gotica di Tim Burton, ricordando perché è stato e continua ad essere un prodotto cinematografico assolutamente rivoluzionario e senza precedenti, fino ad arrivare ad una lettura antropologica che ne esalta ancora di più l’eredità nell’immaginario collettivo di tutti noi.
Sinfonia d’autunno
Tutto ha inizio nella mente creativa e controcorrente di un giovanissimo Tim Burton: nei giorni antecedenti alla festività di Halloween, il futuro cineasta aveva notato con particolare curiosità come tutte le vetrine dei negozi di Burbank in California toglievano le decorazioni di fantasmi, mostri e spiritelli per addobbarle con luci e festoni, in attesa del periodo natalizio. Una stagione di passaggio, quella autunnale tra la fine di ottobre e tutto il corso di novembre e dicembre, che aveva profondamente colpito la psiche di Burton. Nel 1982, quando stava ancora lavorando ai Walt Disney Studios ed era fresco del successo ottenuto dal suo cortometraggio “Vincent”, Tim Burton mette nero su bianco e firma un lungo poema narrativo da lui stesso illustrato dal titolo “The Nightmare Before Christmas”.
Una composizione poetica ed ironica che parodizzava titolo e struttura del celebre poema natalizio del XIX secolo “T’was The Night Before Christmas” di Clement Clark Moore, che nel corso dei secoli successivi aveva cristallizzato caratteristiche e tradizioni di una festività di fine anno che saluta di pochissimi giorni di calendario la stagione autunnale e apre le porte alle misteriose meraviglie della notte invernale. Un mondo perfettamente “di mezzo” che il cineasta statunitense riproporrà poi in alcuni dei suoi lungometraggi di maggior successo, sempre in costante e spesso sghembo equilibrio tra il mondo dei vivi e quello dei morti, tra poteri sovrannaturali e concretezza quotidiana, semplice e mondana.
Un incubo a passo uno
Un sogno, quello di realizzare un prodotto multimediale dal suo poema gotico ed irriverente, che diventa realtà nel 1991, quando Burton firma un accordo di produzione con Walt Disney Productions per realizzare un lungometraggio d’animazione prodotto da Touchstone Pictures (il ramo Disney che si occupava di realizzare prodotti più adulti) ed ispirato alla sua composizione del 1982. Alla fine però, l’autore immaginifico rifiuterà di salire al timone della regia di Nightmare Before Christmas per due ragioni: sentiva quel progetto troppo personale per valutare un coinvolgimento così ravvicinato, e poi stava ancora terminando la post-produzione di Batman – Il ritorno per Warner Bros; la regia del progetto rivoluzionario sarebbe andata al fido Henry Selick, mentre Burton avrebbe continuato a svolgere il ruolo di produttore ed autore del soggetto. Una rivoluzione cinematografica che aveva un nome: animazione in stop motion!
Anche comunemente intesa come animazione a passo uno, questa tecnica di realizzazione è stata in passato fortemente sfruttata da Ray Harryhausen per la creazione dei suoi immaginifici pupazzi e creature mitologiche; il capolavoro della coppia artistica Burton/Selick fa larghissimo uso di questa tecnica d’animazione, anzi ne incentra il cuore e l’appeal del tutto inedito per fare breccia nella mente della critica e del pubblico dei primi anni ’90. Grazie alla creazione e all’utilizzo di ben 227 pupazzi per animare movimenti e scene dei personaggi che costellano Nightmare Before Christmas, l’opera cinematografica che oggi compie trent’anni dalla sua uscita acquista un valore aggiunto di grandissima efficacia: i luoghi e personaggi che li vivono risultano all’occhio dello spettatore un incubo vivido e tattile, un allestimento dell’immaginazione sfrenata del genio di Burton che assume concretezza inaudita proprio attraverso il largo uso di pupazzi in animatronic che danno vita ai tumulti del cuore degli irresisitibili protagonisti di questa fiaba gotica.
Un saggio antropologico sulla globalizzazione
L’incipit narrativo del film lo conosciamo del resto un po’ tutti: Halloweentown è un mondo nel quale vivono tutti i mostri della festività governati da Jack Skeletron, il re delle zucche. Tutto ruota intorno alla festa del 31 ottobre, i cui preparativi durano l’intero anno. Jack, tuttavia, inizia a perdere interesse per Halloween e a stufarsi di dedicare la sua esistenza solo a spaventare. Mentre vaga sconsolato nel cimitero del paese, osservato da Sally, una bambola di pezza vivente segretamente innamorata di lui, il re del paese si perde nel bosco insieme al suo cane fantasma Zero. Fino a quando non si trova davanti ad un misterioso cerchio di alberi, ognuno intagliato con un simbolo diverso; preso dalla curiosità, Jack Skeletron apre il pomello con il simbolo dell’abete natalizio, per venire risucchiato nel mondo coloratissimo e gioioso di Christmas Town. Di cui se ne innamorerà perdutamente.
A guardarlo bene, Nightmare Before Christmas trae molto del suo appeal e la ragione sotterranea del suo successo a posteriori (nonostante ottime laudi da parte della critica, alla sua uscita nel 1993 fece fatica a conquistare un target di pubblico in sala) grazie alla lettura fortemente antropologica che gli si può affibbiare. Il suo protagonista, Jack Skeletron, abbandona il Paese di Halloween non per depressione ma per il suo innato istinto verso la curiosità; innamorandosi perdutamente delle gioie scintillanti e agli antipodi del Natale, opera su grande schermo un efficacissimo atto di assimilazione culturale degno delle migliori teorie dell’antropologia classica.
Film di Halloween o di Natale?
Rubando usi e tradizioni del 25 dicembre, il Re delle Zucche nato dalla mente di Tim Burton segue un processo social-culturale che da decenni caratterizza gli occulti percorsi della globalizzazione, nel bene o nel male: cioè appropriarsi (in)volontariamente di costumanze non autoctone, spinte però all’interno di un gruppo sociale ed etnico grazie ad un incessante battage multimediale che influenza consumi quotidiani, informazione, moda e tendenze, e la stessa lingua parlata. Che quindi Nightmare Before Christmas sia una caustica ed originalissima invettiva contro i consumi vertiginosi di una società (quella USA perlopiù) che non solo è capace di lucrare con fredda indifferenza su una festività e l’altra, ma che esporta le sue tradizioni “contaminandole” con le altre?
Se così fosse, ed è quantomeno una lettura di stampo antropologico affascinante, il capolavoro in stop-motion diretto da Henry Selick andrebbe più apparentato con lo scatenato e polemico I Gremlins di Joe Dante (uno dei film anti-natalizi più natalizi di sempre!) che non con la moda goth e depressona che molti dei personaggi nati dalla mente di Burton hanno poi instradato fino ad oggi. Certo è che Nightmare Before Christmas lo si ricorda oggi più per i suoi variopinti protagonisti a passo uno, per il sontuoso corredo musicale firmato da Danny Elfman e per il carro di oggetti e merchandising ancora fonte di straordinaria ispirazione per le nuove generazioni di adolescenti (e di guadagno per Disney), che non per la sua occulta e perspicace natura polivalente. Da consumarsi preferibilmente tra Halloween e Natale, come da tradizione assimilata.