Trovarsi a spiegare la conclusione di un film horror italiano è un evento decisamente più unico che raro, di questi tempi. E invece, come vi abbiamo spiegato nella nostra recensioe di Piove, il regista Paolo Strippoli è riuscito a trovare lo spazio per parlare dell’orrore con una giusta dose di ambiguità. Questo vale anche per la conclusione, che porta a compimento il discorso umano del film, espandendolo oltre la dimensione da claustrofobico dramma familiare su cui la storia è costruita.
Fino a questo punto, infatti, la vicenda ha seguito da vicino la famiglia Morel, composta dal padre Thomas e dai figli Enrico e Barbara. Thomas ed Enrico, in particolare, sono afflitti dagli effetti di un fumo misterioso proveniente dalla fogne di Roma: chiunque respiri questa sostanza diventa preda di spaventose allucinazioni, in grado di portare a galla pulsioni e rancori nascosti.
Man mano che le visioni prendono piede, i rapporti familiari si fanno più tesi: tra padre e figlio aleggia lo spettro di Cristina, moglie di Thomas e madre dei due ragazzi, la cui morte grava sulle coscienze dei protagonisti. Ecco allora che l’odio represso esplode in modo spaventoso, in una spirale di violenza familiare che raggiunge nell’ultimo atto il proprio, disperato apice. A scanso di equivoci, visto l’approccio ermetico con cui Strippoli mette in scena la conclusione della vicenda, ecco quindi la nostra spiegazione del finale di Piove.
Violenza materna
Nell’ultimo atto del film, Thomas ed Enrico, in preda alle allucinazioni indotte dal fumo, si trovano davanti a una mortifera Cristina. La donna, portatrice di una violenza oscura e inarrestabile, li sprona a sfogare l’odio che avvelena il loro rapporto. Sotto l’influsso della spaventosa visione, padre e figlio si lasciano andare ai propri istinti: mentre una melma scura comincia a sgorgare dai loro occhi, i due si preparano a compiere l’atto estremo e decisivo.
Comincia così una battaglia all’ultimo sangue. Enrico raggiunge Thomas a casa, e prova a ucciderlo con una pistola che ha preso dalla guardia di una piscina in una sequenza precedente – la scena terribile in cui Gianluca, amico di Enrico, viene ucciso dalla medesima guardia sotto l’effetto del fumo. Thomas, però, è armato di un cacciavite, e si difende con tutta la forza che ha in corpo. I due si feriscono a vicenda, finché Enrico, inseguito dal padre, scappa nel garage del condominio.
Un mostro di risentimento
In garage lo scontro fra i due raggiunge il culmine. La situazione viene salvata da un proverbiale deus ex machina: la paralitica Barbara, giunta in garage sulla sua carrozzina, grida al padre e al fratello di fermarsi. Proprio quando il colpo fatale sta per essere inferto, la bambina si alza in piedi, dimenticando per un istante le proprie limitazioni fisiche. Thomas ed Enrico la osservano sconvolti. Barbara cade a terra, e si avvicina strisciando verso i due familiari. Tra i denti pronuncia una frase spaventosa: “Vi odio“. Anche lei, a modo suo, sta sfogando il proprio rancore sopito, proiettandolo però in un modo catartico – in grado cioè di sciogliere il rancore fra Thomas ed Enrico. Alla fine, dietro la coltre d’odio, si nasconde pur sempre dell’affetto: è grazie a Barbara che padre e figlio se ne ricordano.
Quando il dramma sembra essersi risolto, Piove offre un breve sguardo alla materializzazione dell’orrore che percorre il film. Un mostro di fango, dalle sembianza femminili, emerge dal pavimento del garage e si incammina verso i tre, producendo spaventosi gemiti. Poi crolla per terra e si scompone, sciogliendosi per sempre davanti allo sguardo pietrificato di Thomas, Enrico e Barbara. Sulla natura di questa apparizione Strippoli non offre spiegazioni chiare. Difficile non scorgervi, però, un riferimento metaforico alla figura di Cristina, trasformatasi dopo l’incidente in un essere informe, appiccicoso come le emozioni che rappresenta, sconfitto solo nel momento in cui la famiglia supera i propri risentimenti.
Apocalisse familiare
Dopo che la creatura si dissolve, la melma che copre i volti di Thomas ed Enrico si trasforma in acqua: padre e figlio sono finalmente liberi dal livore. I tre membri della famiglia si avviano verso l’esterno del condominio, illuminati dall’unità che hanno ritrovato. Ad aspettarli fuori dall’edificio c’è una visione allucinante: nel cortile del palazzo, alla luce di alcuni falò, un gruppo di famiglie contempla l’apocalisse che si è abbattuta sulla capitale. Sono tutti abbracciati, persi in un momento di condivisione e di affetto, lontani dall’orrore che attanaglia la città.
Anche loro, probabilmente, hanno dovuto superare una prova terribile come quella dei Morel: ogni famiglia, d’altronde, ha il proprio scheletro nell’armadio. Con una sola immagine, Paolo Strippoli riesce quindi a sintetizzare l’universo umano di cui Piove vuole parlare: un mondo di famiglie spezzate, distrutte dal dolore, che solo l’apertura e il dialogo può salvare dall’oblio. Un finale per certi versi buonista, ma rappresentativo di un film che tratta l’horror con tutti il peso drammatico che si merita, e che ritrova le radici emozionali di un genere da riscoprire. In Italia più che mai.