Ottobre è sempre un mese ad alto tasso di cinefilia, prima in Italia e poi in Francia: nel primo caso ci sono le Giornate del Cinema Muto di Pordenone, principale evento mondiale dedicato al tema, e nel secondo il Festival Lumière di Lione, messo in piedi da Thierry Frémaux nel 2009 per omaggiare la storia del cinema in tutte le sue forme. Due eventi che attirano appassionati dal mondo intero (soprattutto a Pordenone), ansiosi di (ri)scoprire grandi classici e film meno noti nel buio della sala cinematografica. Due kermesse che sono attente a ciò che è venuto ma anche a ciò che sarà, per quanto riguarda la salvaguardia del patrimonio audiovisivo.
L’importanza dell’archivio
Anche se non mancano gli ospiti prestigiosi (soprattutto a Lione, dove Frémaux propone anche alcuni titoli attesi in anteprima, solitamente venuti da Cannes o prodotti da Netflix), in entrambi i festival la parte del leone spetta ai rappresentanti degli archivi, che introducono le proiezioni chiarendo da dove proveniva il materiale di partenza e come è stato effettuato il restauro. Particolarmente memorabile l’intervento per l’apertura di Pordenone, inaugurato quest’anno da The Unknown di Tod Browning (con dieci minuti in più rispetto alla precedente copia restaurata), con una perla di saggezza sullo stato degli archivi: non esistono scoperte, ma solo cattive catalogazioni. Un fenomeno che ha generato episodi memorabili nel corso degli anni, dal ritrovamento di sequenze inedite di Metropolis in Argentina al celebre aneddoto su Henri Langlois, fondatore della Cinémathèque Française, che finì per rendersi conto che un film contrassegnato come “sconosciuto” era in realtà quello di Browning. E a volte ci sono dettagli curiosi su chi abbia un certo film: rimane buffo il fatto che il primo film di Alberto Lattuada, grande cineasta italiano e fondatore della Cineteca di Milano, sia conservato non in uno dei nostri archivi, ma in quello svizzero, a Losanna.
Il restauro problematico
Chi frequenta i due festival sa che può aspettarsi non solo le proiezioni, ma anche discussioni sul tema della preservazione del patrimonio cinematografico e del suo successivo sfruttamento. Lione, in particolare, ha un vero e proprio mercato, il Marché International du Film Classique, che affronta queste problematiche nel dettaglio, soprattutto per quanto concerne la spinosa questione del restauro digitale: la prassi, ma non senza diversi problemi legati ai file che, dopo alcuni anni, possono risultare illeggibili (e questo senza considerare il fattore artistico; Jay Weissberg, direttore delle Giornate del Cinema Muto, ha più volte affermato che, dovendo scegliere, preferisce le copie in pellicola perché il DCP tende ad appiattire il bianco e nero di 100 anni fa). Per questo, al Marché è stato presentato in anteprima – e sarà pubblicamente disponibile a breve – il Cinema Preservation Package, una serie di linee guida, valide per l’intera Europa, su come conservare gli elementi necessari in modo che siano ancora utilizzabili tra svariati decenni.
Sala o divano?
Ospite d’onore del mercato a Lione è stato Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna e del Cinema Ritrovato, festival che, come Pordenone e il Lumière, si concentra sulle opere di ieri. E tramite la Cineteca porta anche in sala, otto volte all’anno, pellicole restaurate importanti, su tutto il territorio italiano (il prossimo in cartellone, dal 7 novembre, è Casco d’oro di Jacques Becker). Un’iniziativa, quest’ultima, che dimostra l’appetito del pubblico per i classici sul grande schermo anche quando facilmente reperibili in home video e streaming (vedi, quest’anno, Lo chiamavano Trinità e Psycho): al netto del Covid, dice Farinelli, la media annuale si mantiene stabilmente sui circa 100.000 spettatori. Nel caso delle Giornate del Cinema Muto c’è il vantaggio della proiezione di materiale meno visto, ma anche i grandi nomi (Chaplin, Hitchcock, Keaton) riempiono senza problemi il Teatro Verdi di Pordenone. E al Lumière chi scrive ha personalmente sperimentato la visione al cinema di un lungometraggio facilmente reperibile sulle piattaforme (Disney+ e Amazon Prime Video per la Francia): Fight Club, presentato all’interno di una neonata sezione dove il pubblico giovane votava per i suoi film preferiti degli ultimi tre decenni. Ovviamente sold out, perché se si riesce a creare l’atmosfera dell’evento immancabile non c’è visione sul divano di casa che tenga. Rimane solo da capire, per le sale, come ottenere questo effetto per film che non siano i soliti blockbuster allegramente fracassoni.