Il film: 60 minuti, 2023. Regia: Oliver Kienle. Cast: Emilio Sakraya, Dennis Mojen, Marie Mouroum, Florian Schmidtke, Paul Wollin. Genere: Azione. Durata: 90 minuti. Dove l’abbiamo visto: su Netflix.
Trama: Il lottatore di arti marziali miste Octavio si trova coinvolto in un dilemma con poche opzioni di soluzione. Questo, infatti, ha solo 60 minuti per presentarsi alla festa di compleanno della figlia, altrimenti rischia di perderne per sempre l’affidamento. Per questo motivo, dunque, abbandona un combattimento rimandato più volte per raggiungerla. Inconsapevolmente, però, si trova ad innescare una serie d’inseguimenti ai sui danni, avendo messo in crisi pericolosi criminali. Questi, infatti, hanno scommesso su di lui ed ora pretendono che torni sul ring. Per lui, dunque, non rimane che lanciarsi in una vera e propria corsa contro il tempo per raggiungere sua figlia e, soprattutto, rimanere vivo.
Prima di mettersi tranquillamente seduti sul divano a guardare 60 minuti, il nuovo action targato Netflix, è necessario indossare un paio di scarpe da ginnastica, abiti comodi e, possibilmente, essersi appena riscaldati o sottoposti ad una sessione di allenamento. Il film diretto da Oliver Kienle, infatti, non è solo un chiaro omaggio all’action movie in stile Jean-Claude Van Damme con un ritmo sicuramente più accelerato strizzando l’occhio a tutti gli appassionati di MMA.
In sostanza, dunque, il film scritto da Philip Koch, costruisce una vera e propria corsa a tempo lungo le strade di Berlino per sfuggire a dei malavitosi utilizzando la struttura classica del genere ma, soprattutto, prendendo in prestito anche l’andamento tipico di un videogioco in cui tutte le azioni si consumano velocemente e senza troppa introspezione narrativa.
Considerato questo, 60 minuti, come viene approfondito nella recensione, si presenta come un prodotto assolutamente ludico dalla fruibilità disimpegnante ma che, nonostante questo, non riesce a coinvolgere fino in fondo a causa di una sterile ripetizione delle situazioni senza alcuna finalità di base.
Trama: Storia di un padre in ritardo
Tutto inizia nella palestra in cui Octavio, lottatore di arti marziali, si sta allenando per affrontare il suo prossimo incontro. Tra una sessione e l’altra, però, l’uomo si apparta negli spogliatoi cercando la concentrazione per scrivere un biglietto di auguri a sua figlia. La piccola vive con la madre ed i due non sono certo in buoni rapporti a causa dell’attività di Octavio e delle sue frequenti assenze. Questa volta, però, ha promesso di non mancare alla festa della piccola Leoni, anche se prima dovrà salire sul ring.
Tutto sembra programmato fin nei minimi particolari, dunque. Una volta terminato l’incontro, dovrà correre da sua figlia con la torta che le ha promesso e per cui la piccola non sta praticamente mangiando nulla. Peccato, però, che tutto viene mandato in fumo da un ritardo nell’inizio del match. Un contrattempo che l’ex compagna di Octavio non è più disposta a comprendere, minacciando l’uomo di togliere qualsiasi diritto sulla piccola se non si presenta a casa in 60 minuti.
Ed è proprio in questo momento che inizia il conto alla rovescia in cui l’uomo fugge dai suoi impegni sportivi per raggiungere la figlia. Quello che non sa, però, è che la sua defezione innesta una pericolosa spirale d’inseguimenti dal chiaro stampo malavitoso. L’incontro, infatti, era truccato e su di lui erano stati scommessi molti soldi legati al giro mafioso della città. Inutile dire, dunque, che in molti si mettono sulle sue tracce per “convincerlo” a tornare sul ring.
La missione di Octavio, però, è non demordere assolutamente dal suo intento. Per questo motivo corre a perdifiato lungo gli angoli più periferici e malfamati della città, affronta scontri fisica e dribbla avversari costantemente. Senza prendere nemmeno un momento di respiro per raggiungere un finale piuttosto scontato.
Quando il cinema diventa un videogioco
Il genere action ha sempre costruito il suo impianto narrativo su una ritmica sicuramente più pressante rispetto ad altre vicende. Il suo fine ultimo, infatti, è divertire lo spettatore con scene di combattimento coreaografate con sempre maggior attenzione e coinvolgerlo nelle vicende del protagonista. Partendo da questi presupposti, dunque, è possibile affermare che 60 minuti sia un esperimento riuscito a metà. Se da una parte alcuni elementi, come lo scorrere del tempo e la necessità di raggiungere una meta precisa, riescono ad accendere i motori della narrazione, dall’altra la fruibilità assolutamente superficiale di tutta la vicenda creano un disinteresse riguardo la sorte del protagonista.
Oliver Kienle, infatti, costruisce l’architettura di un perfetto videogioco trasportato sul grande schermo. A definire la sua natura ci sono messaggi in sovrimpressione che ci segnalano il tempo trascorso, nemici che si materializzano quasi magicamente ad ogni angolo, per finire con uno schermo diviso in due. Insomma una struttura del racconto sicuramente moderna e che ha lo scopo di attrarre un pubblico giovane e abituato a confrontarsi con questo tipo di avventure.
Nonostante tutto, però, l’adrenalina innestata inizialmente è destinata a svanire ben presto con una tempistica ben al di sotto dei 60 secondi. A mancare completamente, infatti, è la conoscenza del personaggio, quegli attimi di pausa fondamentali per comprendere motivazioni, background e, soprattutto, creare un legame con lo spettatore. D’altronde, se non si ha alcuna connessione empatica con il personaggio principale per quale motivo si dovrebbe rimanere in tensione per la sua sorte?
La visione passiva
A differenza di qualsiasi videogioco, poi, il film conduce ad un’esperienza sostanzialmente passiva. Non potendo decidere in prima persona delle sorti del protagonista e non partecipando in nessun modo, non rimane che lasciarsi condurre verso una traiettoria che, fuga dopo fuga, diventa sempre meno efficace.
Al termine dei fatidici 60 minuti, dunque, si arriva essenzialmente con il “fiatone”, non fosse altro per tutti gli sforzi fatti da Octavio ma, allo stesso tempo, con una sostanziale indifferenza riguardo la riuscita o meno della sua missione. Un vero peccato, visto che il film, se approfondito, avrebbe avuto ben altro potenziale, compreso il finale buonista dalla tematica famigliare che non poteva mancare.
Il regista Oliver Kienle ha diretto un film che, nel ritmo e nella forma, trae ispirazione dal mondo del gaming. in questo senso, dunque, costruisce un'avventura priva di pause in cui, nello scorrere dei sessanta minuti, si presentano sempre nuovi nemici da sconfiggere. A questo, però, fa da contorcano una completa mancanza di scrittura e background per quanto riguarda il personaggio. Un particolare da non sottovalutare, visto che non si crea mai alcun legame emotivo con lui. In questo senso, dunque, il film si prospetta come un'avventura ludica, un videogioco a cui, però, non è possibile partecipare in nessun modo.
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