Il film: Alien, 1979. Regia: Ridley Scott. Cast: Tom Skerritt, Sigourney Weaver, Veronica Cartwright, Harry Dean Stanton, John Hurt, Ian Holm, Yaphet Kotto.
Genere: fantascienza, horror. Durata: 116 minuti. Dove l’abbiamo visto: in DVD, in lingua originale.
Trama: L’equipaggio di una spedizione spaziale indaga su un misterioso segnale, con conseguenze a dir poco spiacevoli.
“Nello spazio nessuno può sentirti urlare.” Una delle frasi di lancio più celebri della storia del cinema, con annesse variazioni ogni volta che il film annesso esce nuovamente nelle sale o in home video (“Nel buio della sala, tutti ti sentiranno urlare”, recitava il trailer della riedizione cinematografica del 2003). Una longevità attribuibile all’impatto del secondo lungometraggio di Ridley Scott, un horror efficace e terrificante al punto da non avere bisogno di rimaneggiamenti successivi come accaduto con altri film del registi (il sedicente Director’s Cut è considerato tale solo ai fini del marketing, ed è in realtà un montaggio alternativo che Scott approva ma non ritiene superiore all’originale). Di questo si va a parlare nella nostra recensione di Alien.
La trama: sorpresa, ma non Kinder
L’astronave Nostromo è in viaggio verso la Terra con a bordo un equipaggio di sette persone, al soldo di una non meglio identificata azienda. Il computer di bordo, Madre, li sveglia dall’ipersonno per indagare su un segnale proveniente da un corpo lunare nelle vicinanze, dato che la politica aziendale impone di rispondere ad ogni potenziale richiesta d’aiuto. Scoprono così che il segnale proviene da un velivolo abbandonato e in rovine, senza alcuna traccia di forme di vita nei pressi. Si decide così di continuare il viaggio di ritorno verso casa, ma a insaputa dell’equipaggio un’entità clandestina è riuscita a salire a bordo, e le conseguenze non saranno piacevoli…
Il cast: proletariato spaziale
Intenzionalmente scritti nel modo più generico possibile (per volere degli sceneggiatori, i personaggi sono chiamati solo per cognome e privi di tratti specifici, il che rendeva possibile scegliere qualunque attore per i diversi ruoli), i membri dell’equipaggio compensano questo relativo anonimato tramite le performance forti degli attori, con un cast che include caratteristi d’eccezione come Harry Dean Stanton, Ian Holm e John Hurt, quest’ultimo protagonista della sequenza più orripilante e memorabile dell’intero lungometraggio. Dato che all’epoca non si pensava a un sequel e la struttura è molto più corale rispetto ai capitoli successivi, la futura eroina della saga Sigourney Weaver è solo una di tante presenze, al punto da non essere neanche il primo nome citato nei titoli di testa (tale onore spetta a Tom Skerritt, all’epoca più famoso di lei).
Creatura svizzera
L’altro grande eroe del franchise, forse il più grande di tutti, è l’artista svizzero Hans Ruedi “H.R.” Giger, le cui creazioni denominate “biomeccaniche” portarono al reclutamento da parte di Ridley Scott. Il grigionese, premiato con l’Oscar per il suo lavoro, è all’origine dell’incubo lungo più di quarant’anni, ossia il design dello xenomorfo che ha ridefinito l’immaginario collettivo e la concezione dell’alieno in ottica più apertamente horror (ricordiamo che il film arriva nelle sale sulla scia del successo di Guerre stellari, una fantascienza più orientata verso il fantasy, e due anni dopo gli incontri ravvicinati targati Spielberg, dove le creature extraterrestri sono molto benevole). Aggressivo, androgino e dotato di evidenti connotazioni genitali per quanto concerne l’aspetto e la modalità di attacco, l’antagonista è una visione orrifica di stampo freudiano, parzialmente diluita nel corso del tempo a causa dei capitoli successivi ma ancora visceralmente potente in questa prima apparizione, perfettamente agghiacciante oggi come lo era nel 1979.
Talento inglese
Erede di David Lean per quanto concerne l’epica visiva, Ridley Scott è l’altro tassello fondamentale del puzzle, avendo intuito che, con un budget più limitato rispetto a quello concesso ad altri colleghi, sarebbe stato necessario essere particolarmente creativi per portare sullo schermo la giusta dose di spettacolo al netto della qualità claustrofobica del racconto e del largo uso di interni – esteticamente modesti – che ne consegue. Da questo deriva uno slasher spaziale, praticamente Halloween su un’astronave, che però trasuda una precisione formale degna delle migliori epopee cosmiche, ponendo involontariamente le basi per un vero e proprio universo che nel corso dei decenni si è espanso notevolmente. Ma nulla può veramente competere con il minimalismo calcolato di Scott, fonte di una tensione mozzafiato. Termine particolarmente pertinente in questo caso, dato che notoriamente nello spazio nessuno ci può sentire. O no?
La recensione in breve
Al secondo lungometraggio, il talento visionario di Ridley Scott unisce alla grande l'epica delle avventure cosmiche e la claustrofobia dell'horror più puro, inaugurando una delle grandi saghe cinematografiche americane.
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