Il film: Animali selvatici (R.M.N.), 2022. Regia: Cristian Mungiu. Cast: Marin Grigore, Judith State, Macrina Barladeanu, Andrei Finti, Mark Blenyesi.
Genere: drammatico, thriller. Durata: 125 minuti. Dove l’abbiamo visto: al Festival di Cannes, in lingua originale.
Trama: Matthias, andato a vivere in Germania per lavoro, decide di tornare nel villaggio in cui è nato, in Romania, e arriva in un momento particolarmente teso per la comunità.
Se proprio bisogna andare a scovare un difetto nel quinto lungometraggio di Cristian Mungiu, uno dei nomi di punta del cinema rumeno contemporaneo e dal 2007 “abbonato” al Festival di Cannes (con l’eccezione dell’opera prima Occident, tutti i suoi film sono stati in concorso, e il cineasta ha vinto la Palma d’Oro al primo tentativo), è la scelta del titolo italiano, che non contiene le sfumature multiple dell’originale R.M.N. (abbreviazione della risonanza magnetica in rumeno, che si riferisce a una scena del film, ma anche una possibile allusione al paese stesso, dato l’elemento sociopolitico della storia, liberamente basata su un vero evento xenofobo avvenuto all’inizio del 2020). Sfumature che sono parte integrante della nostra recensione di Animali selvatici.
La trama: ritorno a casa
Matthias, originario di un villaggio in Transilvania, è andato a vivere in Germania per lavoro. Un giorno, mentre è all’opera nel mattatoio dove ha trovato impiego, il responsabile diretto lo offende con un epiteto xenofobo, e Matthias reagisce venendo alle mani. Decide quindi di tornare a casa, ritrovando il figlio Rudi e la moglie Ana, quest’ultima non particolarmente contenta della trasferta non annunciata. Avendo bisogno di un lavoro, Matthias si rivolge alla sua vecchia fiamma Csilla, che collabora con la direttrice di una pasticceria industriale locale. La fabbrica è in espansione e ha bisogno di manodopera, ma nessuno della zona vuole accettare un incarico simile a causa del compenso davvero minimo. Di conseguenza vengono assunti due immigrati cingalesi, e lo stesso sentimento negativo che aveva allontanato Matthias dalla Germania comincia a manifestarsi praticamente sotto casa.
Il cast: famiglia disunita
Marin Grigore è la presenza più intensa del film nei panni di Matthias, con ottimo supporto da parte degli altri membri della famiglia: Marina Barladeanu nel ruolo di Ana, Andrei Finti in quello del padre (protagonista della scena che dà al film il suo titolo originale) e Mark Blenyesi in quello di Rudi. Csilla ha il volto di Judith State, che restituisce bene dalle pagine del copione la caratterizzazione complessa del personaggio, ponte fra il passato e il futuro per Matthias e anello di congiunzione fra le tradizioni del villaggio e l’innovazione rappresentata e dalla componente industriale e dall’assunzione di esterni.
Un paese a nudo
Cristian Mungiu ha sempre esaminato, quasi fosse un medico incaricato di scovare le radici di un male, il decadimento interiore del suo paese, dagli aborti clandestini negli anni finali della dittatura comunista al fanatismo religioso passando per la corruzione a livello costituzionale, il tutto con un rigore formale abbinato a performance forti, scrittura solida e un gusto per il genere con connotazioni thriller. Il quinto film del regista non si discosta da queste convenzioni, anzi, si fa ancora più ambizioso del solito, a partire da quel titolo originale che rimanda direttamente a una cosa ma ne sottintende un’altra, procedendo per simbolismi e allegorie nel raccontare una storia intima su sfondo universale.
E se rispetto ai film precedenti la densità tematica può risultare un po’ impegnativa (a Cannes, dove le proiezioni per addetti ai lavori sono in contemporanea con quelle ufficiali, c’è chi si è lamentato della scelta di proiettare una pellicola così stratificata e non sempre “facile” alle 22), il virtuosismo formale rimane da capogiro (soprattutto considerando che Mungiu ha lavorato con un cast corale in tempi di pandemia, con tutte le complicazioni tecniche del caso), con uno dei consueti piani-sequenza dalla durata estesa che qui si fa summa vertiginosa e ipnotica dell’intera poetica del regista e racchiude in sé tutta la vitalità e la rabbia del progetto, urlo di dolore nei confronti di una mentalità retrograda facile da individuare ma impossibile da estirpare.
La recensione in breve
Cristian Mungiu firma un altro film ricco e ambizioso, a tratti forse un po' troppo, ma con un apparato formale e visivo ancora una volta da capogiro, per mettere a nudo un'altra versione del lato oscuro della Romania.
- Voto CinemaSerieTV