Il film: Aquaman, 2018. Regia: James Wan. Cast: Jason Momoa, Patrick Wilson, Amber Heard, Dolph Lundgren, Willem Dafoe, Yahya Abdul-Mateen II, Temuera Morrison, Nicole Kidman.
Genere: avventura, fantastico. Durata: 143 minuti. Dove l’abbiamo visto: su Netflix, in lingua originale.
Trama: Arthur Curry deve accettare il suo retaggio atlantideo quando il fratellastro Orm minaccia la guerra contro gli umani.
Nel 2023, il DC Extended Universe è giunto al capolinea con Aquaman e il regno perduto, talmente mortifero a livello di hype che la Warner Bros. non si è quasi neanche sforzata di promuoverlo. L’esatto contrario di quanto accaduto cinque anni prima con il capostipite, divenuto – un po’ a sorpresa – il più grande successo del franchise incentrato sui membri della Justice League. Un successo dovuto in non piccola parte alla grande sinergia tra il regista James Wan e l’attore Jason Momoa, entrambi consci dell’importanza dell’equilibrio tra serio e faceto nel portare sullo schermo un eroe dall’enorme potenziale ma anche, sotto sotto, un pochino ridicolo. Un eroe di cui parliamo in questa recensione di Aquaman, l’ultimo grande successo di un franchise andato poi gradualmente in discesa verso una morte prematura.
Mamma, ho perso il regno
Dopo aver aiutato Batman e soci a sconfiggere Steppenwolf, Arthur Curry è tornato a occuparsi del faro di cui è guardiano insieme al padre Thomas, con occasioni trasferte in mezzo agli oceani per dare del filo da torcere a pirati e inquinatori. Per il resto, non ne vuole sapere del suo retaggio atlantideo, anche perché nel regno subacqueo non vedono di buon occhio che la regina Atlanna, ai tempi, si fosse accoppiata con un umano. Poi, un giorno, Mera, la promessa sposa del re Orm, e il consigliere di corte Nuidis Vulko, mentore di Arthur quando questi era bambino e non abituato ai propri poteri acquatici, gli fanno presente che il suo fratellastro, attuale sovrano di Atlantide, intende dichiarare guerra al mondo di superficie e sostanzialmente raderlo al suolo. A quel punto, seppure con riluttanza, Arthur sfida Orm per il trono, e inizia un viaggio alla ricerca di ciò che potrebbe porre fine ai dissensi tra i popoli subacquei e riunirli in modo più pacifico.
Il trono di tridenti
Ingrediente fondamentale della pellicola è il carisma di Jason Momoa, che dà ad Arthur Curry la giusta spavalderia da eroe action ma ne sottolinea anche il lato ironico, proponendo con fare epico situazioni che in anni passati sono valsi ad Aquaman la designazione di eroe ridicolo per antonomasia (“Quello che parla con i pesci” è la battuta ricorrente per descriverlo anche nello stesso fandom della DC). Attorno a lui nuota un cast di contorno di tutto rispetto, a cominciare da Patrick Wilson (Orm) e Willem Dafoe (Vulko), senza dimenticare Dolph Lundgren (Nereo, padre di Mera, interpretata a sua volta da Amber Heard) e Nicole Kidman (Atlanna). Ma il comprimario più memorabile, a pari merito con Wilson, è Yahya Abdul-Mateen II, che proprio con questo film, nei panni del mercenario Black Manta, ha cominciato a farsi notare maggiormente in ambito hollywoodiano. Deliziosi anche i camei di Leigh Whannell, collaboratore regolare di James Wan, e Julie Andrews.
20.000 saghe sotto i mari
Prendendo liberamente ispirazione dall’allora recente ciclo a fumetti di Geoff Johns, che in occasione del reboot cartaceo noto come il New 52 aveva reinventato in parte la mitologia di Aquaman per modernizzarla, il film è quello che, nel contesto del DCEU com’era nella sua prima fase, si distacca maggiormente dallo stile di Zack Snyder, cercando di dare all’avventura del re di Atlantide un’identità tutta sua (al punto da contraddire apertamente Snyder su alcuni dettagli, in primis le modalità di comunicazione fra i personaggi quando si trovano sott’acqua). È un kolossal colorato, a tratti psichedelico, a tratti inquietante (la sequenza di The Trench, dove per qualche minuto il compositore Rupert Gregson-Williams cede il posto a Joseph Bishara, autore delle colonne sonore di molti degli horror di Wan), sempre divertente, impostato sulla commistione equilibrata di epica e ironia nel dare al mondo subacqueo una dimensione giustamente larger than life ma anche riconoscibile sul piano più “umano”. È un viaggio che, come il suo protagonista, ha due identità e finisce per abbracciarle pienamente entrambe, accettando spudoratamente le sue radici fumettistiche fin nei minimi dettagli (vedi alla voce Topo, il polpo che suona i tamburi) e creando un mondo che aggiunge un sapore diverso a un franchise che rischiava di essere un po’ monotono sul piano stilistico.
La recensione in breve
Epica ed ironia si fondono con gusto in questa prima collaborazione fra il regista James Wan e l'attore Jason Momoa, perfettamente sintonizzati sulla molteplicità di toni da impiegare per portare sullo schermo il mondo - anzi, i mondi - di Arthur Curry.
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