Il film: Audition, 1999. Regia: Takashi Miike. Cast: Ryo Ishibashi, Eihi Shiina, Tetsu Sawaki. Jun Kunimura. Genere: Horror. Durata: 115 minuti. Dove l’abbiamo visto: Al cinema.
Trama: Un uomo di mezz’età mette in scena la falsa audizione per un film alla ricerca di una nuova moglie. Quando sembra aver incontrato la donna della sua vita, si ritrova all’inizio di un incubo.
A volte ritornano. E quando ritornano in sala, come vediamo nel caso di questa recensione di Audition, grande cult del regista giapponese Takashi Miike che lo ha letteralmente consacrato ad autore di culto, è ancora più bello. Non sempre si ha l’occasione di ritrovare al cinema grandi classici che hanno fatto la storia del cinema e quella del genere; proprio per questo motivo quando arrivano occasioni come questa non bisogna farsele sfuggire.
Il ritorno di Audition al cinema è un vero e proprio evento. Il film, in una nuovissima versione restaurata, verrà distribuito nelle sale, grazie a Wanted Cinema, il 23, 24 e 25 Gennaio. Tratto dal romanzo di Ryu Murakami, è considerato non solo come uno dei migliori film di Takaski Miike (a ragion veduta), ma anche come una delle pellicole più significative, violente e impressionanti del cinema horror. Lungo la sua carriera, Miike si è sempre distinto per una visione feroce, gore e mai banale o castrata delle cose, soprattutto su temi riguardati l’ipocrisia della società giapponese.
La prima apparizione del film risale al 1999 durante il festival di Rotterdam, diventando subito non solo l’attrazione del festival stesso, grazie anche a una serie di svenimenti, indignazioni e urla terrorizzate, ma anche al passaparola, che gli assicurò una visibilità internazionale senza precedenti. Una pellicola capace di sconvolgere lo spettatore e turbarlo nel profondo, portandolo a pentirsi di aver visto il film. Bene però ricordare, come dice lo stesso Takashi Miike, che per quanto un film possa impressionare non sarà mai al livello di ciò che un essere umano è davvero capace di fare. O comunque fin dove possa davvero spingersi.
Il film, inoltre, è stato una delle maggiori ispirazioni cinematografiche e non solo. Da Eli Roth, che in Hostel riprende un po’ la struttura dello stesso film, usando i personaggi femminili e la ricerca d’amore, carnale in quel caso, come esche per adescare la carne da macello per i seviziatori, ai My Chemical Romance che nel videoclip della canzone Honey, This Mirror Isn’t Big Enough to the Two of Us, ricostruiscono praticamente il film.
L’incipit stesso della storia, un’audizione per un film per la televisione che altro non è se non un subdolo modo di un vedovo di trovare una nuova moglie con caratteristiche molto specifiche come l’estrazione sociale, il portamento, la conoscenza dell’arte e un’elevata cultura (ma anche un temperamento mite e remissivo), ci dà una chiara idea di cosa volesse comunicare Miike, usando la contrapposizione dell’archetipo dell’angelo del focolare, legato ai personaggi femminili, con un’omicida senza pietà, imprevedibile e letale. Un vero e proprio angelo della morte, dalla voce soave e le movenze delicate e leggiadre, che sa nascondere molto bene la sua reale natura, colpendo quando meno ce lo si aspetta.
Trama: le apparenze ingannano, sempre
Audition è l’adattamento dell’omonimo romanzo di Ryu Murakami, autore reso celebre dal libro Coin Locker Babies (1980), titolo fondamentale per la scoperta della nuova letteratura giapponese. La trama di Audition si snocciola proprio attraverso un’audizione dove un potenziale predatore crede di poter mettere in “trappola” una potenziale preda, restando però vittima di un gioco ben più complesso.
Shigeharu Aoyama (Ryo Ishibashi) è un uomo giapponese di mezz’età, vedovo da sette anni. Non è ancora riuscito a superare la scomparsa della moglie, e coltiva delle pretese “sentimentali” vecchio stampo che ricalcano le caratteristiche dell’amata scomparsa. Si lascia quindi convincere dal figlio a cercare una nuova compagna. Sentendosi un po’ arrugginito, decide di assecondare l’assurdo consiglio di un amico, il produttore cinematografico Yasuhisa Yoshigawa (Jun Kunimura), e di cercare una “nuova moglie” attraverso un’audizione. Un film per la televisione dove la protagonista incarna esattamente le stesse qualità che Aoyama cerca in una donna. Ed è proprio attraverso il provino di decine di giovani ragazze che Aoyama incontra la dolce e pura Asami Yamasaki (Eihi Shiina), una giovanissima donna, ex ballerina, dal passato doloroso e un po’ misterioso.
Asami sembra essere la sposa perfetta. Elegante, affascinante ma mite. Bisognosa di affetto, di attenzioni e di un marito-padre a cui abbandonarsi e affidarsi. Eppure le cose potrebbero essere un po’ diverse dalla realtà. Sebbene inizialmente tutto vada, letteralmente, da copione, dopo un weekend romantico al mare, Aoyama capirà che, forse, dietro la sua dolce Asami c’è qualcosa di molto, molto diverso, è che lui è solo l’ennesima vittima delle sue stesse pulsioni.
La donna-ragno di Takashi Miike
Andando avanti nella nostra recensione di Audition, riscoprire questo grande classico di Miike non solo ci mette di fronte la bellezza feroce di un film senza mezzi termini, dove con ben pochi escamotage visivi si riusciva a turbare lo spettatore sia durante che dopo la visione, senza bisogno di jumpscare, musica tensiva a occupare i vuoti lasciati da sceneggiature poco efficaci o “mostroni” in CGI che lasciano il tempo che trovano; ma soprattutto ci dà l’occasione di vedere nuovamente l’efficacia di un personaggio come quello di Asami Yamasaki, interpretata dalla bellissima e inquietante Eihi Shiina in una prova attoriale in pieno stato di grazia, costruito fondamentalmente sulla base di due archetipi femminili.
Attraverso Asami e l’attrazione del protagonista nei suoi confronti, Takashi Miike dipinge il ritratto perfetto della figura giapponese della donna e il suo modo di essere vista dallo sguardo maschile nella società e di conseguenza il suo riscatto nel cinema horror. Prima ancora di Asami, infatti, dobbiamo fare i conti con un altro spirito, ovvero quello di Ryoko, la moglie morta per malattia di Aoyama, incredibilmente somigliante ad Asami. E i fantasmi di donne morte in modo accidentale o brutale al cinema horror giapponese piacciono particolarmente.
Ryoko appare in brevi flashback e in vere e proprie allucinazioni. La sua essenza è presente solo nel mondo onirico, prima come idealizzazione, poi come nefasto presagio e successivamente come spirito del giudizio. Avverte, confonde e giudica. Non si capisce bene da che parte stia davvero, forse solo dalla propria, da quella delle donne rese mero trofeo, oggetto di piacere o di sfoggio. Quelle donne vittime della società, abusate, umiliate, svuotate e poi non credute. Costrette a un riscatto feroce e personale. Una vendetta che, in Audition, prende forma proprio attraverso il sadismo di Asami.
Fin dal primo secondo di film, Takashi Miike indaga sullo sguardo maschile e la sua visione della donna. Perfino un uomo apparentemente retto come Aoyama, o che crede di essere tale, si unisce alla schiera di chi usa, oggettifica, pretende che tutto gli sia dovuto e che tutto si possa svolgere con i suoi tempi, senza tenere conto che dall’altra parte non c’è una bambola ma un essere umano con dei sentimenti. Ed è per questo che Asami si trasforma in una donna-ragno, una creatura deumanizzata dagli stessi uomini, dagli abusi che hanno ucciso una parte di lei fin da bambina e che l’hanno trasformata in un essere che deumanizzato a sua volta.
L’immagine di Eihi Shiina è ormai iconica con la sua siringa, proprio come una mantide o un ragno pronto a usare il suo pungiglione velenoso e immobilizzare la propria preda. Prima però la deve trarre in inganno, preparare il terreno. Asami è un’attrice che finge di non essere tale. Furba, scaltra, conosce bene le sue mosse ma, soprattutto, quelle delle sue prede. E Miike ce lo mostra fin da subito, dalla lettera di presentazione scritta ad hoc per colpire chi la legge alle audizioni. Nella sua veste innocente e angelicata, quasi come se fosse una sprovveduta, Asami è l’unica che passa l’audizione in modo impeccabile. I suoi passi, proprio come quelli di una ballerina, sono eleganti e raffinati, non naturali bensì coreografati, a differenza delle sue colleghe che al primo provino appaiono goffe, timide o troppo volgari.
Asami è perfetta. Bilanciata, forse anche troppo. La sua particolarità sta proprio nella sua ambiguità: bellissima e letale. Il suo sorriso, creato dalla stessa attrice, ha la forza di inquietare più di qualsiasi altra cosa, mostrandoci proprio l’anima reale della donna mentre la vocina angelica si tramuta in una specie di balbettio malefico. Ed è proprio attraverso quel sorriso da bambina perduta che Asami deumanizza, tortura e mutila. Per tenere con sé quegli uomini che l’hanno idealizzata, promettendo di amarla, ma che finiscono solo con l’usarla per poi abbandonarla; li rende quindi inermi, animali da compagnia tenuti in condizioni orripilanti ma costretti a dipendere solo ed esclusivamente da lei.
Ed è così che nasce la killer perfetta!
Commedia romantica o horror movie? Entrambi!
Uno degli aspetti che più colpisce della pellicola di Takashi Miike è la sua doppia anima, esattamente come quella della sua protagonista. Audition è tanto una commedia romantica, un po’ come il film fittizio per cui viene messa in scena l’audizione, quanto un film horror. Le due cose, tra l’altro, combinandosi insieme danno vita alla vera essenza del film: un dramma esistenziale e familiare che ha come protagonisti persone divorate dalla solitudine, alienate e infelici, tutti alla disperata ricerca della loro favola, del loro sogno d’amore destinato a diventare un incubo a occhi aperti. Vittime dei propri costrutti sociali e di quelli degli altri, degli stereotipi e dei ruoli che la società appiccica su di loro.
Tanto Aoyama quanto Asami sono vittime e carnefici dello stesso sistema. Entrambi divorati dal vuoto, dal trauma, dai fantasmi del passato che gli impediscono di vivere e godere del presente così com’è realmente; questo per Takashi Miike è il pretesto perfetto per raccontare il Giappone e, in fondo, anche un po’ di mondo attraverso due generi tanto diversi quanto simili: la passione e l’orrore.
La prima ora di film ha una costruzione tradizionale. Un montaggio lineare, sostenuto e mai vorticante dove a dominare sono i piani fissi. Di tanto in tanto, Miike inserisce piccoli elementi che ci introducono nella dimensione del perturbante, ma senza mai mettere un vero e proprio accento. La formula è semplice: due sconosciuti si trovano, quasi per caso, ognuno un po’ vittima del proprio dolore e insicurezza. Si piacciono subito, si frequentano tra bevute, cenette romantiche dove parlano di se stessi, fino a innamorarsi e lasciarsi travolgere dalla passione durante un romantico weekend al mare. L’atmosfera è calda, sognante, la favola che diventa realtà. Quel vissero felici e contenti tanto agognato, proprio come un film… Già.
Un orrore crescente
Talmente bello da sembrare inquietante, perché è proprio nella normalità, nella banalità che l’anomalia mette le sue radici, saltando improvvisamente all’occhio e segnando il reale punto di rottura, quello dove la favola diventa un inferno di tortura. Ed è proprio così che lo spettatore può confrontarsi, quasi in forma vouyeristica, con un orrore crescente, che prenderà il suo massimo sfogo in questa seconda parte di film, divisa a sua volta tra le visioni lucide di Aoyama tra flashback e allucinazioni – citando l’espressionismo tedesco nella messa in scena di un onirico disturbante e feroce – e il presente di tortura perpetuato da Asami, che strizza molto più l’occhio all’ero-guro (erotismo grottesco, genere tipico giapponese).
Asami incarna la perfetta dicotomia tra brama e terrore. La sua stessa rappresentazione finale in corsetto nero e guanti da macellaio, la rendono ancora più seducente, una visione sessualmente appetibile eppure terrificante. Ed è proprio qui che risiede la bellezza di questo personaggio e il genio perverso di Miike: da una parte noi desideriamo Asami, non possiamo fare a meno di osservarla e restare stregati dalla sua innocente bellezza, ma dall’altra siamo disgustati e terrorizzati dalle sue torture e dalla naturalezza con cui le compie e ce le spiega con infantile soddisfazione.
Il ritratto di un sistema marcio
In Audition, Miike si muove in una dimensione tra l’erotico e il grottesco, trasformando le stesse vittime di Asami in masochisti il cui orrore non può essere davvero espresso e la cui eccitazione resta vivida e fremente nei loro corpi. La amano e la temono, ed è così che la loro anima si tramuta brutalmente in vermi prima ancora che la stessa Asami possa adoperare la tortura su di loro e renderli essere striscianti che possono unicamente nutrirsi di vomito e niente più. Ed è così che Miike ribalta l’immagine della donna addomesticata, vittima di stereotipi e luoghi comuni, rendendo l’uomo l’animale domestico. Ma non solo.
Il suo angelo della morte e della vendetta, diventa anche una lente d’ingrandimento sul mondo dell’arte, dell’industria cinematografica e musicale, degli abusi di potere, delle molestie. Il ritratto di un sistema marcio fin dalle fondamenta che viene punito e che va oltre la rappresentazione del killer donna ma diventa una vera e propria parabola sulla condizione femminile nel mondo. Ed è così che il dramma di Miike si amplifica, andando oltre lo stereotipo, la propaganda, l’orrore sociale. Miike parla di essersi umani, della loro condizione miserevole, della loro solitudine e della rabbia che li domina trasformandoli completamente, e lo fa con uno stile semplice, efficace e violento, capace di rendere indimenticabile, ancora una volta, la visione di questo grande cult.
La recensione in breve
Audition è quel film che ha consacrato Takashi Miike a regista di culto e a distanza di 24 anni possiamo confermare che la sua ferocia, la sua violenza e il suo modo affilato di giocare con gli stereotipi e con i ruoli sociali, capovolgendo le parti, è ancora estremamente efficace. Un mix tra commedia romantica ed ero-guru, che porta su schermo il dramma di una società sola, alienata e fragile, vittima e carnefice al tempo stesso, preda delle proprie pulsioni e perversioni. Una pellicola che ancora oggi sa come disturbare e far provare profondo disagio.
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