Il film: Banel & Adama (Banel et Adama), 2023. Regia: Ramata-Toulaye Sy. Cast: Mamadou Diallo, Khady Mane.
Genere: drammatico. Durata: 87 minuti. Dove l’abbiamo visto: al Festival di Cannes, in lingua originale.
Trama: Banel e Adama, due giovani che vivono in un villaggio nel Senegal settentrionale, decidono di coabitare, nel momento in cui la comunità entra in crisi.
Presentando il programma dell’edizione 2023 del Festival di Cannes, il direttore Thierry Frémaux ha parlato di una sorta di rinascita del cinema africano, presente con molti più titoli del solito in varie sezioni della Selezione Ufficiale, a volte con titoli provenienti da paesi che non avevano ancora partecipato alla kermesse. Tra le presenze in ambito competitivo addirittura un’opera prima scelta per la corsa alla Palma d’Oro, un esordio nel lungometraggio per la giovane Ramata-Toulaye Sy (dopo alcune incursioni nella sceneggiatura per altri cineasti e un cortometraggio presentato a Toronto e Clermont-Ferrand). Un esordio che batte bandiera senegalese, con la partecipazione produttiva della Francia (la cineasta è nata e cresciuta a Parigi) e del Mali, e di cui parliamo nella nostra recensione di Banel & Adama.
La trama: villaggio in crisi
L’azione si svolge in un piccolo villaggio nella parte settentrionale del Senegal, e tra gli abitanti ci sono due giovani, Banel e Adama. Sono innamorati e vogliono crearsi una propria vita, ragion per cui decidono di coabitare, lontani dai vincoli delle rispettive famiglie. Banel è passionale e ribelle, mentre Adama è più introverso, il che contribuisce alla decisione di lui di non accettare di diventare il capo del villaggio, cosa che gli spetta come eredità. La sua scelta crea dei malcontenti, e presto la comunità entra in crisi, con la coppia al centro di uno stravolgimento che potrebbe avere conseguenze negative per tutti.
Il cast: esordienti potenti
Per le interpretazioni Ramata-Toulaye Sy si è avvalsa di un cast composto interamente da non professionisti che vivono nella regione e parlano la lingua locale, il pulaar. Le due presenze centrali sono Mamadou Diallo (Adama) e Khady Mane (Banel), la cui inesperienza nutre le caratterizzazioni di due personaggi ancora alla ricerca della propria identità e posizione nel mondo, in particolare nel caso di lei che non vuole sottostare a tutte le norme che dominano la comunità da sempre. Due bellissime scoperte che impreziosiscono il lavoro della regista, la quale riprende in parte discorsi già affrontati altrove, come nel film turco Sibel di cui è stata cosceneggiatrice, anch’esso incentrato su una ragazza non perfettamente integrata nella gerarchia del villaggio dove vive.
Il deserto delle passioni
Per certi versi il film è un’estensione della riflessione avviata nel cortometraggio Astel, girato nei medesimi territori e con al suo centro una giovane che sfida le convenzioni della sua comunità d’appartenenza. Qui il pensiero si allarga, poiché il corto era incentrato su due personaggi, padre e figlia, mentre qui si tira in ballo l’intero villaggio, la cui mentalità si fa arida come il clima che in più momenti minaccia di distruggere tutto, e non solo fisicamente. Sy, di origine senegalese, esibisce per l’intera durata del lungometraggio una notevole padronanza del mezzo cinematografica, unendo il personale a livello emotivo (non perde mai di vista l’evoluzione del rapporto tra i due amanti) e un gusto per l’ambizione estetica di stampo quasi pittorico, trasformando le location in paesaggi quasi apocalittici, delle nature letteralmente morte in mezzo alle quali la vita dipende dalle scelte di due individui non ancora pronti a prendere decisioni di un certo spessore. E da quel deserto emerge soprattutto la promessa di una nuova carriera da tenere d’occhio, nel duplice contesto del cinema africano e francese.
La recensione in breve
Ramata-Toulaye Sy approfondisce e potenzia la propria poetica con questo primo lungometraggio da regista, che dimostra una grande padronanza del mezzo cinematografico e un'ottima capacità di direzione degli attori.
- Voto CinemaSerieTV