Il film: Beetlejuice Beetlejuice, 2024. Diretto da: Tim Burton. Genere: Horror, Commedia. Cast: Michael Keaton, Winona Ryder, Jenna Ortega, Catherine O’Hara, Monica Bellucci. Durata: 104 minuti. Dove l’abbiamo visto: All’81° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, in anteprima stampa.
Trama: Lydia Deetz è costretta a tornare a Winter Rivers per il funerale improvviso del padre Charles. Porterà con sè la figlia Astrid, con la quale non ha esattamente un ottimo rapporto. Ma all’interno della vecchia casa, lo spiritello porcello del primo film brama di tornare nel mondo dei vivi.
A chi è consigliato? Ai fan della prima ora del cinema di Tim Burton, a chi è cresciuto con le scene del primo film cult del 1988, a chi aspettava da fin troppo tempo un ritorno all’artigianalità degli effetti speciali sul grande schermo, a scapito dell’uso improprio della CGI contemporanea.
Era il 1988 quando un giovanissimo talento dietro la macchina da presa di nome Tim Burton si faceva notare in tutto il mondo grande alla sua fantamagorica visione dell’aldilà con lo stravagante e scorretto Beetlejuice. Da quel lungometraggio (che fu tuttavia il suo secondo tentativo da regista dopo Pee Wee’s Big Adventure), fu tutta una strada in discesa per l’iconico cineasta di Burbank, firmando capolavori di genere come Edward Mani di Forbice, Batman, Ed Wood, Il mistero di Sleepy Hollow e via dicendo. A 36 anni di distanza dal primo capitolo, Burton ci riprova con Beetlejuice Beetlejuice, film di apertura fuori concorso dell’81° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.
In uscita nelle sale italiane a partire da giovedì 5 settembre con Warner Bros. Pictures, nella nostra recensione di Beetlejuice Beetlejuice vi racconteremo in anteprima di come questo attesissimo appuntamento cinematografico per i fan più sfegatati del cinema di Burton e dei nostalgici che con il cult degli anni ’80 ci sono cresciuti, racconti più dello stato dell’arte della poetica del regista americano che non come progetto commerciale tout court.
Bentornati a Winter River
Dopo un’inaspettata tragedia familiare, tre generazioni della famiglia Deetz tornano a casa a Winter River. Ancora perseguitata da Beetlejuice, la vita di Lydia (Winona Ryder) viene sconvolta quando la figlia adolescente e ribelle, Astrid (Jenna Ortega), scopre il misterioso modellino della città in soffitta e il portale per l’Aldilà viene accidentalmente aperto. Con i problemi che stanno nascendo in entrambi i regni, è solo questione di tempo prima che qualcuno pronunci tre volte il nome di Beetlejuice e il demone dispettoso (Michael Keaton) torni nuovamente per scatenare il suo caos. Ma a dare la caccia allo spiritello porcello c’è anche la sua ex-moglie Delores (Monica Bellucci), intenzionata a scovare il suo marito fedifrago una volta per tutte, costi quel che costi; e ovviamente, nel mondo dei morti e in quello dei vivi, ne accadranno delle belle.
Sequel diretto del capolavoro della commedia horror datato 1988, Beetlejuice Beetlejuice è prima di tutto un progetto transgenerazionale di prim’ordine. Scritto a quattro mani da Alfred Gough e Miles Millar (il duo dietro al successo del Mercoledì di Netflix) e da un’idea originale condivisa con Seth Grahame-Smith, riporta davanti la macchina da presa gran parte del cast originale del capolavoro del 1988, qui in netto contrasto con la nuovissima generazione. E quindi, non potevamo che aspettarci un nuovo conflitto generazionale in corso, quello tra l’ormai adulta Lydia Deetz e sua figlia, la perspicace e disillusa Astrid interpretata da Jenna Ortega, a conti fatti la nuova musa di Tim Burton dopo il successo strepitoso in streaming nei panni di Mercoledì Addams. Da un lato quindi la madre condannata a vivere la propria infelice vita a strettissimo contatto con il mondo dell’aldilà dopo i traumatici eventi accaduti nel primo film, la seconda invece adolescente al college in cerca di una propria strada nel mondo.
Che lo spettacolo abbia inizio!
Nel mezzo del conflitto, il filo sottilissimo tra il mondo del vivi quello dei morti, il fardello di un passato fantasmagorico ed incredibile che la famiglia Deetz ha vissuto nel corso degli anni successivi più come una condanna che una vera e propria opportunità. Sarà sfruttando l’occasione del ritorno della famiglia nella vecchia casa di Winter River a riaccendere la sfrenata voglia dello spiritello porcello Beetlejuice a fuggire dal coloratissimo e stravagente aldilà per conquistare la vita eterna come essere umano e sposare finalmente la sua “amata” Winona Ryder dopo il fallito tentativo accaduto nel cult movie della fine degli anni ’80. Un’occasione perfetta per riportare dietro la macchina da presa Tim Burton, negli ultimi decenni della sua carriera aggrovigliato in progetti cinematografici dove la sua spiccata e riconoscibilissima vena artistica venica costantemente soffocata da lungometraggi spudoratamente fiacchi e commerciali.
Esperienze registiche che, a detta dello stesso amato cineasta, negli ultimi tempi lo avevano talmente demotivato da aver addirittura pensato di abbandonare la carriera dietro la macchina da presa. Poi, l’arrivo di una sceneggiatura degna di omaggiare con cura e leggerezza i personaggi originali creati nel 1988 da Michael McDowell e Larry Wilson, la successiva chiamata alle armi di buona parte del cast primigenio, e la volontà (almeno questa volta) di realizzare un prodotto destinato al grande schermo che fosse esperienza nuovamente energizzante per Burton. E a ben guardare Beetlejuice Beetlejuice c’è da giurarci che il regista si sia divertito un mondo a tornare ad occuparsi degli avvenimenti nel mondo dell’aldilà ( e dell’aldiquà), a vivere tutto l’immaginifico processo della realizzazione effettistica speciale concreta, tattile ed artigianale, in perfetta comunione con quello che era l’obiettivo e lo stile inconfondibile del primo capolavoro di 36 anni prima.
Una fantasmagoria fatta in casa
E quindi, in barba all’abbondanza spesso indecorosa di CGI e alla piattezza visiva degli ultimi suoi poco ispirati lavori dietro la macchina da presa, Tim Burton fa un passo indietro rinvigorente nella sua carriera dietro la macchina da presa e torna prevalentemente alle origini del suo cinema, delle sue influenze e delle sue passioni primigenie. Quelle che avevano plasmato i sogni (e gli incubi) di un giovanissimo cineasta che nel corso degli anni ’80 desiderava raccontare sul grande schermo storie con protagonisti solo apparetemente mostruosi e disadattati, immersi in un racconto dalle tinte vivacemente gotiche eppure super-vitali. Altro che morte! E in Beetlejuice Beetlejuice di morti, funerali, lutti e aldilà si parla ancora abbondantemente, sempre a voler enfatizzare quanto la materia dell’oltretomba sia ben più interessante all’occhio del cineasta statunitense, più del deprimente e complicato mondo dei vivi.
E allora, in distinta contrapposizione ed in linea con i contrasti narrativi e visuali del primo capitolo di culto, anche nel sequel in apertura a Venezia 81 Tim Burton dà sfogo totale ed anarchico alla sua più sfrenata immaginazione gotica nel riportare una seconda volta al cinema il variopinto mondo dell’oltretomba. Tra larghissimo uso di trucchi prostetici vecchio stile, sparuto utilizzo della CGI più contemporanea e generosissima abbondanza di effettistica artigianale, il sequel del film con Michael Keaton e Winona Ryder è una gioia per gli occhi e per il cuore dei più nostalgici, senza essere a tutti i costi il così tanto strombazzato ritorno in pompa magna di Tim Burton dopo anni di cocenti e spersonalizzanti esperienze cinematografiche.
Un atto di disintossicazione
Più che essere lungometraggio originale, sorprendente e rinfrescante (del resto, la sceneggiatura originale di Gough e Millar si prende poche libertà artistiche e radi slanci di anarchica follia, avremmo voluto vedere molto più macabro caos), Beetlejuice Beetlejuice si attesta principalmente come un vero e proprio atto di disintossicazione da parte di Tim Burton nei confronti di un sistema (quello delle avide major hollywoodiane) che lo aveva via via soffocato di ogni sogno ed ambizione personale. Il film in arrivo nelle sale da giovedì 5 settembre è in fondo proprio questo, riappropriazione debita di un’idea di cinema che il regista statunitense aveva messo da parte per fin troppo tempo. Senza essere necessariamente un prodotto perfetto ed indimenticabile.
Coadiuvato da un cast d’insieme che tra vecchie e nuove aggiunte è compatto ed esilarante (su tutti, un Keaton in grandissimo spolvero dopo ben 36 anni dal suo iconico ruolo ed una ritrovata Catherine O’Hara), Tim Burton firma in definitiva un lungometraggio che funziona alla grande come atto di a-tossicità per la poetica dietro la macchina da presa di Tim Burton, dopo anni di collaborazioni opache ed indebiti. E qui, firmando un secondo capitolo più intimo, leggero ma meno anarchico del primo, finalmente torna visibilmente a divertirsi dietro la macchina da presa.
La recensione in breve
Il sequel di Beetlejuice non brilla di certo per originalità e urgenza artistica, ma è un lungometraggio che funziona alla grande più come atto di riappropriazione artistica per Tim Burton dopo anni di collaborazioni opache ed indebiti. Qui, firmando un secondo capitolo intimo e leggero, finalmente torna visibilmente a divertirsi dietro la macchina da presa.
Pro
- L'uso di effetti speciali pratici ed artiginanali, una gradita sorpresa
- Il carisma e la politially incorrectness di Beetlejuice, personaggio irresistibile
- La performance di Michael Keaton, che sembra non aver perso la verve dopo 36 anni
Contro
- La sceneggiatura non brilla certo per originalità e freschezza
- Jenna Ortega, nuova musa di Burton, forse mal sfruttata
- Voto CinemaSerieTV