Il film: Bentu. Regia di Salvatore Mereu. Cast: Peppeddu Cuccu, Giovanni Porcu.
Genere: drammatico. durata: 70 minuti. Dove l’abbiamo visto: alla Mostra del Cinema di Venezia 2022
Trama: Raffaele è un contadino la cui vita è dedita alla lavorazione e alla raccolta del grano nell’entroterra della Sardegna. Attende l’arrivo del vento che lo aiuterà a separare i chicchi dalla paglia, mentre a fargli compagnia ci sono solo una cavalla e il piccolo Angelino.
L’ultima volta che abbiamo trovato Salvatore Mereu alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia era nell’edizione di un 2020 funestato dall’imperversare della pandemia Covid-19, dove il regista e sceneggiatore sardo aveva presentato in Fuori Concorso il suo Assandira. Quest’anno torna nuovamente al Lido in occasione della 79esima edizione col suo ultimo lavoro, un’operetta tanto spartana quanto elegante che si accasa nella sezione collaterale di Giornate degli Autori. Andiamo quindi ad approfondire insieme in questa nostra recensione di Bentu.
L’essenziale trama di Bentu
Un film che strappa questa classificazione per una manciata di minuti, durandone solo 70, stretto tutto attorno alla figura del contadino Raffaele (Peppeddu Cuccu), uomo anziano dal volto solcato dal tempo passato in mezzo ai campi. Un’esistenza sospesa la sua, dedita alla lavorazione e alla raccolta del grano, frumento di cui la Sardegna è sempre stata grande produttrice e che per questo l’ha resa storicamente terra ghiotta di colonialismo industriale e agricolo, come accenna in apertura una didascalia.
E Raffele attende l’arrivo del vento (il bentu del titolo) che lo aiuti a separare i chicchi del grano dalla paglia, in un’operazione di raccolta che affida le chiavi del successo dell’operazione ai tempi e alle volontà insondabili della natura. Ma il vento non arriva e per questo Raffeale trascorre le sue giornate vorticando in questi campi dorati, con la sola compagnia di un’indomita cavalla e di Angelino (Giovanni Porcu), bambino che ogni tanto va a fargli visita per passare del tempo con questa ruvida figura che tanto lo affascina.
L’affascinante gusto pittorico della campagna sarda
E la prima cosa che colpisce di Bentu è la maniera in cui Mereu sceglie di andare a riprendere questa rurale porzione di Sardegna, incontaminata e quasi totalmente libera dalla presenza dell’essere umano. Lo fa gettando uno sguardo che lavora in controtendenza all’iconografia che spesso accompagna l’immaginario legato all’entroterra dell’isola, molte volte pensato come brullo e aspro, ritrasponendolo invece con una lucentezza dell’immagine a cielo aperto che di fronte a queste colline ricoperte dal grano pare chiamare a sé l’irresistibile fascino di altre regioni italiane sognate con più dolcezza, come ad esempio la Toscana.
Un gran lavoro sta quindi anche dalle parti della fotografia, di Francesco Piras, che al limpido contrasto tra l’azzurro e il giallo dei campi oppone poi i toni chiaroscurali della vita solitaria e monotona di Raffaele che, con il lume di candela davanti al quale consuma i suoi essenziali pasti, evoca le memorie dei grandi pittori fiamminghi del ‘400 e ‘500.
Un lavoro di conservazione
Ma al di là del gusto per l’immagine di cui è pervaso Bentu, Mereu pare relegare l’esistenza di Raffaele in una dimensione dai contorni quasi limbici. La sua è un’attesa ostinata, dai tratti prossimi all’autarchia, che lo taglia fuori dal vissuto sociale di cui arrivano solo echi dal paese distante, dove dimora la moglie, e da un figlio ancora più lontano, in servizio di leva.
L’unico reale punto di contatto con il mondo esterno pare essere Angelino, che dalla gioventù trae il dono della mobilità, il potere di accedere al passato da cui è nutrito Raffaele e a un futuro meccanizzato e automatizzato che preme in maniera sempre più insistente anche con l’arrivo di enormi mietitrebbia disposti a fare in una mattinata il lavoro che il vento non ha voluto fare in tutte quelle giornate di attesa.
Tocca ancora ad Angelino portare una lettera di questo figlio di stanza chissà dove, scritta in italiano corretto perché “questa è la lingua delle lettere”, cioè della modernità, in risposta al dialetto strettissimo e anacronistico parlato da questi due protagonisti che Mereu pare recuperare in maniera filologica e conservare in una nicchia prima che venga travolto dalla violenza del progresso.
Tempi moderni
Bentu, che è liberamente tratto da il racconto Il vento di Antonio Cossu, mescola insomma i semi di un’amicizia forse impossibile tra il prima e il dopo, ponendola a contraltare di quell’avvicinamento ai tempi moderni che mettono l’umanità alle soglie del balzo evolutivo che non sempre però si cura delle specificità e le radici di un vissuto preesistente.
Lo fa con tratto genuino e una spiccata aderenza all’umano che della natura è umile servo, contestualizzando la critica al mondo che verrà ed esprimendola tramite lo sguardo e le emozioni strette tra i denti di Raffaele, sempre più conscio di essere prossimo al divenire spettatore della propria obsolescenza.
La recensione in breve
Salvatore Mereu torna al Festival di Venezia con Bentu, operetta sul rapporto tra umano, natura e progresso raccolto all'interno di un film di appena 70 minuti che si affida a uno sguardo pittorico ed essenziale per raccontare una Sardegna arcaica e ancestrale.
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