Il film: Black Panther: Wakanda Forever, 2022. Regia: Ryan Coogler. Cast: Letitia Wright, Lupita Nyong’o, Danai Gurira, Winston Duke, Dominique Thorne, Florence Kasumba, Michaela Coel, Tenoch Huerta, Martin Freeman, Julia Louis-Dreyfus, Angela Bassett. Genere: azione, fantascienza. Durata: 161 minuti. Dove l’abbiamo visto: al cinema in anteprima stampa, in lingua originale.
Trama: Il popolo di Wakanda deve difendere la nazione, rimasta vulnerabile dopo l’inattesa morte del re T’Challa. Particolarmente preoccupante è la nuova minaccia rappresentata da Namor, il sovrano del regno subacqueo di Talokan.
È arrivata come un fulmine a ciel sereno, nell’agosto del 2020, la notizia della morte di Chadwick Boseman, stroncato da un tumore al colon a soli 43 anni, e pochi mesi prima del suo ritorno previsto sul set per vestire, per la quinta volta, i panni di T’Challa, uno dei più importanti eroi del Marvel Cinematic Universe. Per un crudele scherzo del destino, la sua ultima apparizione fisica nel ruolo del sovrano di Wakanda è stata in Avengers: Endgame, al funerale di Tony Stark, e con un altro funerale si apre il capitolo conclusivo della Fase Quattro del MCU, di cui parliamo nella recensione di Black Panther: Wakanda Forever.
La trama: dolori sempiterni
T’Challa non è più tra noi: un male non precisato ha avuto la meglio di lui poco dopo gli eventi di Endgame, e a nulla sono serviti gli sforzi della sorella Shuri, che ha cercato invano di replicare il fiore a forma di cuore dopo che Erik Killmonger aveva distrutto tutti gli esemplari. Un anno dopo la dipartita del sovrano, le nazioni del mondo sottovalutano la potenza del Wakanda, e cercano di impossessarsi del vibranio, setacciando anche altri angoli del globo terracqueo. Questo attira l’attenzione del regno subacqueo di Talokan, il cui leader, un mutante estremamente longevo di nome Namor, è convinto che questo sia l’inizio di un’inevitabile guerra con il mondo degli umani. E il primo bersaglio sarebbe proprio il Wakanda, che anch’egli reputa privo di difese in assenza di qualcuno che possa portare avanti l’eredità della Pantera Nera…
Il cast: un popolo unito
Dal film precedente tornano Letitia Wright (Shuri), Lupita Nyong’o (Nakia), Danai Gurira (Okoye), Winston Duke (M’Baku), Martin Freeman (Everett Ross) e Angela Bassett (Ramonda). La principale new entry è Tenoch Huerta, già visto ne La notte del giudizio per sempre, nel ruolo di Namor, uno dei più noti e longevi personaggi Marvel (è stato creato nel 1939, due anni prima di Captain America). Nuove reclute sono anche Michaela Coel nei panni di Akena, una guerriera che fa parte delle Dora Milaje, e Dominique Thorne nel ruolo di Riri Williams alias Ironheart, prodigiosa inventrice che prossimamente sarà protagonista della propria miniserie su Disney+.
Tre film in uno
Diretto nuovamente da Ryan Coogler, Black Panther: Wakanda Forever è, suo malgrado, la dimostrazione di come ciò che accade nell’universo Marvel non sia sempre frutto di un piano preciso. La morte di Boseman, a cui il regista aveva mandato la sceneggiatura pensando di ritrovarlo a breve sul set, ha portato a un ripensamento radicale del progetto, maggiormente incentrato sulla nazione di Wakanda (non a caso, sulle locandine e nei credits del film stesso, il sottotitolo è più grande dell’appellativo del protagonista). È, in parte, una pubblica elaborazione del lutto, con il film che si apre con la morte – fuori campo – di T’Challa e il suo funerale, seguito dal logo dei Marvel Studios che, sulla falsariga di quanto fatto temporaneamente con il primo film su Disney+, contiene solo immagini di Boseman. Ed è la parte più bella e sincera del film, questo addio a un’icona, dentro e fuori lo schermo, con il vero dolore di cast e troupe che si sposa con quello che già nel primo capitolo era un discorso non banale sul mondo dell’anima.
Ed ecco Namor…
La seconda anima del film è quella legata a Namor, antagonista che, pur portando avanti l’espansione costante del MCU, è una scelta coerente per approfondire il mondo di Wakanda, per lo meno per come Coogler lo aveva già portato sullo schermo nel 2018. Ai tempi, con l’inizio ambientato a Oakland nel 1992 (periodo di tensioni razziali dopo il pestaggio di Rodney King) e la figura di Erik Killmonger, il regista era riuscito a coniugare in modo efficace materiale molto personale e le esigenze del grande blockbuster, firmando un superhero movie in ottica Black Lives Matter e attirando l’attenzione di elementi insospettabili come l’Academy, con tanto di nomination all’Oscar nella categoria più pesante. Il secondo film continua in quella direzione, ampliando il discorso anticolonialista prendendo la figura di Namor, tradizionalmente sovrano di Atlantide, e aggiornandola tramite la mitologia mesoamericana, rendendo l’antieroe subacqueo il perfetto successore spirituale del cugino di T’Challa. E su tale fronte, con inevitabile battaglia acquatica, il sequel riesce anche a superare il prototipo nel reparto action, facendo sbiadire il ricordo della CGI altalenante nello scontro finale tra re e usurpatore.
Espansione ipertrofica
Dove invece c’è una caduta, vistosa e sorprendente, è nel modo in cui il film è stato posizionato all’interno del disegno più grande per il franchise audiovisivo della Casa delle Idee. Laddove il primo episodio, pur arrivando subito prima di Avengers: Infinity War, era perfettamente autoconclusivo (salvo il rimando al futuro nel post-credits), il sequel è stato inspiegabilmente trattato come un anello di congiunzione tra le Fasi Quattro e Cinque. E così, insieme a due ore di appassionante thriller geopolitico e meditazione sulla morte, ci sono anche quaranta minuti di sottotrame dove manca solo un “Coming Soon” scritto a caratteri cubitali nei sottotitoli della pagina 777 del Televideo. Quattro anni fa, l’ascesa al trono di T’Challa aveva rivoluzionato il genere, dimostrando che certi pregiudizi industriali su attori e cineasti afroamericani erano del tutto errati. Oggi, la sua morte regala alcuni dei momenti più toccanti del franchise, alternati però a generici scivoloni che appesantiscono inutilmente un film già di suo compromesso per cause di forza maggiore.
La recensione in breve
Il trentesimo film del Marvel Cinematic Universe vuole essere al contempo un sequel del successo del 2018, un omaggio doveroso a Chadwick Boseman, e un calderone dove buttare ingredienti per i prossimi tasselli del franchise. Le tre cose non funzionano con la stessa efficacia.
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